Racconto di Giovina Flocco

(Prima pubblicazione – 20 dicembre 2018)

 

Mi svegliai di soprassalto.

I raggi del sole filtravano con prepotenza le tende color panna che avevo messo qualche giorno prima.

Le avevo notate al mercatino del giovedì mattina, un giorno, mentre passeggiavo distrattamente per ammazzare il tempo che sembrava non volesse passare mai e mentre, svogliatamente, curiosavo tra le varie bancarelle. Fu amore a prima vista perché quelle non erano semplici tende … NO!

Erano le tende che da tempo cercavo e che non ero mai riuscita a trovare e per le quali, alla fine rassegnata, ne avevo smesso la ricerca.

Fatte di un tessuto naturale, delicato al tatto, erano intagliate e ricamate interamente a mano, ed i ricami rappresentavano piccole farfalle e rose delicate. Nessun colore spiccava in esse … i ricami erano semplicemente di una tonalità più scura delle tende stesse. Erano semplicissime, non avevano assolutamente nulla di particolare e forse agli occhi di tutti potevano sembrare comuni e banali tende,

ma non ai miei … per me erano speciali.

Continuai ad osservarle mentre un leggero venticello le faceva dondolare delicatamente … ed in quel dondolio le farfalle avevano preso vita, sembrava come se volessero spiccare il volo ed andare via, lontano … tanto lontano …

Mi rigirai di scatto sull’altro fianco, se avessi continuato a guardare quelle tende certamente mi sarei riaddormentata, ipnotizzata dal quel lento movimento, proprio come lo sono i neonati ipnotizzati dalla voce della propria madre che canta la ninna nanna.

Stavo per dire “Buongiorno amore!”, ma mi resi conto che l’altra metà del letto era vuota …

Che stupida che ero! Mio marito se ne era andato ormai da quasi un mese ed io non ancora mi abituavo alla sua assenza. Aveva deciso tutto lui… aveva detto che per un po’ era meglio stare separati …

“Una breve pausa di riflessione, amore! Dobbiamo capire cosa conta di più per noi!” – Mi aveva detto giustificando quella che io ritenevo più una fuga che non altro ed anche un rimprovero nei miei confronti,

già! Perché lui attribuiva a me tutta la colpa di quella decisione che aveva preso da solo senza neanche avere la delicatezza di consultarmi o di accennarmela… No! Una sera a cena me l’aveva detto tutto d’un fiato e, senza neanche attendere la mia risposta, si era alzato dal tavolo ed era andato in camera, uscendone dopo circa dieci minuti con la valigia già pronta. Sulla soglia della porta, solo un breve sguardo, neanche un “Ciao amore, a presto!”. Se n’era andato via così e capii che non sarebbe mai più tornato.

Certo il nostro matrimonio negli ultimi tempi non andava proprio bene, c’erano alcuni problemini da risolvere, oltre a quelli che tutte le famiglie hanno da sempre, ma di certo non avrei mai creduto che il mio matrimonio potesse finire e soprattutto non in quel modo. Avevo sempre pensato che pian piano avremmo risolto i nostri problemi, uno alla volta, e finalmente saremmo tornati ad essere la coppia affiatata e spensierata che eravamo stati all’inizio.

Evidentemente mi sbagliavo e alla grande, visto che tutto sommato non mi era stata data neanche la possibilità di replicare e di dissentire a quell’improvvisa decisione unilaterale.

Lui mi aveva abbandonata, ecco cosa … ed io dovevo accettarlo, punto e basta!

Ma come diavolo si fa ad accettare un abbandono? Io non ne avevo idea …

Nei giorni successivi provai a chiamarlo diverse volte al cellulare, avevo bisogno di parlargli, volevo convincerlo a tornare perché, ne ero certa, insieme avremmo potuto risolvere ogni cosa. Ma il suo cellulare risultava essere sempre spento ed era strano, strano davvero per uno che non lo spegneva mai, neanche di notte.
Ogni giorno poi, successivo alla sua “fuga”, mi feci l’esame di coscienza nel tentativo di capire il perché di quella sua decisione, improvvisa ed immatura, ma non riuscivo a trovare alcuna spiegazione, l’unica forse poteva essere il mio smisurato amore per il mare, per il quale, lo ammetto, a volte trascuravo lui …

Ma erano due amori completamente diversi … Necessari ed importanti per me in egual misura: per entrambi avrei dato la mia vita allo stesso modo.

Forse lui voleva il mio amore tutto per sé, forse non sopportava l’idea di dividerlo con qualcun altro o con qualcos’altro … Ma questa è una cosa assurda oserei dire, perciò alla fine mi convinsi che neanche quello poteva essere il vero motivo del suo abbandono.

Ricacciai indietro le lacrime, non era quello il momento di piangere e di essere tristi. No! Era un giorno speciale quello che stavo per affrontare e niente e nessuno doveva rovinarmelo, non dopo tutto quello che avevo passato e dopo tutti i sacrifici che avevo fatto …

Quel pomeriggio, avrei affrontato il primo ostacolo che mi separava dalla realizzazione del mio sogno prioritario. Un sogno per il quale avevo lottato fin da quando ero piccola, iniziando con i miei genitori che, timorosi, avevano fatto di tutto per rinviarne la sua realizzazione e giustificando quella loro insensata paura dicendomi: “sei troppo piccola, a diciotto anni farai quello che vorrai!”.

Attesi così con ansia quei fatidici diciotto anni, ma quando arrivarono furono una vera delusione perché anche allora non potei nulla per realizzare quel sogno, i miei continuavano a trovare scuse su scuse e le due più ricorrenti che usavano erano: “Non ci sono abbastanza soldi!” oppure “Fin quando vivi sotto il nostro tetto, farai quello che ti diciamo noi, perché noi siamo responsabili di te”.

E questa seconda scusa era usata soprattutto per troncare ogni mio ulteriore tentativo di convincimento.

Fui costretta quindi accantonare quel mio desiderio, anche se di nascosto continuavo a fare pratica, da sola o con amici che avevano abbastanza esperienza per insegnare. E mentre imparavo le tecniche d’immersione, fra me e me pensavo: ‘eppure non chiedo mica la luna? Potrebbero anticiparmi il denaro che renderò loro non appena inizierò a lavorare!’.

In effetti quella mi era sembrata una buona soluzione, ma avevo timore di esporla ai miei, tanto ormai sapevo bene quale sarebbe stata la loro risposta ed un altro ‘NO’ sarebbe stata l’ennesima pugnalata in pieno petto.

Quel mio desiderio continuò dunque a restare un sogno chiuso nel cassetto, come tanti altri, fino a quando non mi sposai, perché quel giorno, ormai assolutamente responsabile di me stessa, decisi di riaprire quel cassetto.

Ed eccomi, ora, in questa straordinaria mattina di giugno …

Il sole illumina interamente la mia stanza, il pensiero triste è stato accantonato ed io devo prepararmi psicologicamente: alle quattro in punto dovrò essere in piscina, dove ci riuniremo tutti, allievi e istruttori, per recarci in mare aperto ed affrontate tutte le prove necessarie per conseguire l’ultimo brevetto da sub, che per me, costituiva il primo fondamentale passo per poter realizzare pienamente il mio sogno.

Mi alzai, scostai le mie adorate tende ed uscii fuori. Era la prima cosa che facevo non appena scendevo dal letto, d’inverno o d’estate senza distinzione alcuna: uscire sul balcone per respirare l’aria del mattino.

A differenza di tutti i nostri amici, che avevano preferito vivere in città, io e mio marito avevamo desiderato una casa in campagna; volevamo una vita più tranquilla, lontana dal caos quotidiano delle città e l’aria agreste era salutare perché priva d’inquinamento. La zona che avevamo scelto era molto distante dalla città, gli amici ci prendevano in giro dicendoci che vivevamo fuori dal mondo, ma per le persone che come noi amano infinitamente essere circondati dalle meraviglie della natura, quello era un piccolo angolo di paradiso.

E poi, non mi importava affatto se per recarmi a lavoro dovevo affrontare svariati chilometri, perché quel rito del mattino, tale lo consideravo ormai, era per me come rinascere ogni giorno; l’aria che entrava dalle mie narici era puro ossigeno che si diffondeva velocemente in tutto il mio corpo, destandolo e preparandolo ad affrontare ogni possibile fatica della giornata. Dopo la mia solita doccia fredda, utile per il mio corpo allo stesso modo dell’aria di campagna, feci colazione. Una sana abitudine trasmessami da mio marito. Aveva ragione nel dire che la prima colazione è il pasto più importante della giornata … Lui ripeteva sempre: “Puoi saltare pranzo e cena ma la colazione mai, è il pasto più completo che permette al corpo di accumulare immediatamente tutte le energie per affrontare il nuovo dì, oltre che al metabolismo di funzionare a dovere, quindi deve essere abbondante e ricca di calorie!” Mi pareva un professore mentre lo diceva e mentre mi puntava il suo indice a mo’ di rimprovero, quando qualche volta quel pasto io lo saltavo … Quando poi mi resi conto che le sue parole erano vere, perché iniziai a sentirne sul serio i benefici sul mio fisico, non c’è stato più un sol giorno che io abbia rinunciato a fare colazione.

Non ho mai ringraziato Stefano per l’avermi trasmesso quell’abitudine … dovrò ricordarmi di farlo … certo, semmai tornasse da me!!!

Dopo l’abbondante colazione, mi vestii, ed uscii. Era ancora presto e potevo tranquillamente concedermi una bella passeggiata per godere ancora della natura che mi circondava.

Rientrai circa tre quarti d’ora dopo e mi sentivo carica, sicura di me ed avevo la certezza che sarei riuscita a superare la prova con il miglior risultato possibile. Non ero mancata mai ad una sola lezione ed avevo ormai così tanta esperienza alle spalle che era impossibile per me fallire.

Preparai tutta l’attrezzatura necessaria riponendola con cura nel borsone, quindi mi recai in piscina, dove per riscaldarmi, avrei fatto alcune vasche. L’istruttore ce le aveva caldamente consigliate perché sarebbero certamente servite anche per allentare la tensione dell’esame. Con mia grande gioia, notai che non fui l’unica ad aver seguito il consiglio dell’istruttore, quando arrivai infatti trovai Antonio e Maria già in acqua. Loro erano le persone con le quali avevo legato maggiormente durante il corso; tra noi era poi nata una vera amicizia che aveva oltrepassato i “confini” del corso. Non appena mi videro, entrambi mi sorrisero e mi salutarono all’unisono:

– Eccola la più brava del corso! Dai sbrigati, ti stavamo aspettando … – disse Maria col suo fare autoritario.

– Solo un secondo e sono da voi – risposi ricambiando il loro caloroso saluto con un sorriso.

Alla fine quello che doveva essere un allenamento si trasformò in gioco e le nostre risate riecheggiarono per l’intero stabile, fummo interrotti dalla voce dell’istruttore che scherzosamente ci rimproverò per il baccano che stavamo facendo e poi, riassumendo la compostezza e l’autorità dell’istruttore, ci ordinò di prepararci perché era giunta l’ora di affrontare l’esame. Come al solito, io Maria e Antonio perdevamo la cognizione del tempo quando eravamo insieme. Un ultimo sguardo di complicità seguito dalla tipica risata di chi si sente colpevole dopo essere stato colto in “flagranza di reato”, prima di tornare ad essere seri allievi e persone mature che si apprestano ad affrontare un esame.

Raggiungemmo il resto del gruppo pochi istanti dopo, e dopo le ultime delucidazioni dell’istruttore tutti insieme ci avviammo verso il mare aperto.

L’esame era suddiviso in cinque prove teoriche e pratiche che ci avrebbero impegnato per l’intero pomeriggio. Riuscii a superarle tutte con il massimo punteggio e mi sentivo soddisfatta: non un solo sacrificio che avevo fatto nell’arco di tutti quegli anni era andato perduto. L’istruttore si complimentò con me e quando fu sicuro che nessun orecchio indiscreto lo stesse ascoltando mi disse:

– Non avevo alcun dubbio che tu saresti riuscita a superare ogni prova con il massimo risultato. Tra tutti sei sempre stata quella più attenta, e la passione che hai per il mare e per tutto ciò che lo riguarda è stata il tuo punto di forza maggiore. Sono stato tuo istruttore dal primo corso ed ho avuto modo di osservarti attentamente nell’arco di questi anni. Sei una ragazza eccezionale, speciale direi e durante la mia vita, ti assicuro, ne ho incontrate poche come te! …  Sai, io ci ho riflettuto molto e vorrei farti una proposta – seguì una breve pausa, come se stesse cercando le parole giuste per espormi nel modo più corretto possibile la sua proposta. Io attesi in silenzio. Poi riprese:

– Ho deciso di partire, il mio compito qui è ormai giunto al termine e desidero continuare altrove, dove le emozioni e le soddisfazioni legate a questo lavoro sono sicuramente maggiori. Ho bisogno però di una persona che possa affiancarmi e della quale io possa fidarmi … una persona proprio come te, in grado di trasmettere passione ed entusiasmo: ingredienti fondamentali ed indispensabili in questo settore. Lunedì mattina partirò dunque verso l’isola “San Domino” nell’arcipelago delle Tremiti. Sarei davvero felice se tu accettassi il mio invito. Ti prego di rifletterci su, mi spiace che tu abbia solo un giorno per pensarci e decidere, purtroppo io non posso più rimandare la mia partenza, troppe volte l’ho rinviata!

Rimasi stupita della sua proposta, stupita certo ma anche lusingata così come mi lusingarono anche i suoi complimenti. Non riuscii ad aprir bocca, l’unica cosa che riuscii a balbettare fu un timido: “Ci penserò ed avrai entro domani la mia risposta!”

Rientrai a casa che ero emozionatissima, non stavo più nella pelle tanta era la gioia di aver ricevuto quella inaspettata proposta. Ero talmente stanca che non cenai neppure. Come un automa trascinai il mio corpo in camera e mi buttai sul letto senza neppure spogliarmi … nella mia mente soltanto la proposta del mio istruttore.
Ma cosa avrei dovuto fare?

Partire con lui significava abbandonare tutto, cambiare completamente la mia vita … iniziarne una nuova e forse non ero ancora del tutto pronta per quel passo. D’altra parte, non era proprio ciò che desideravo fare? Non era quello per cui avevo tanto lottato e su cui avevo riposto tutte le mie energie e forze fino ad allora? Non era ciò per cui avevo risparmiato ogni centesimo possibile, per poter seguire tutti i corsi da sub rinunciando al divertimento con i miei amici e a tutto il resto?

Durante i corsi, poi, avevo preso tutte le altre possibili specializzazioni che gli stessi offrivano: potevo fare immersione notturna, immersione profonda. Potevo fare le esplorazioni dei relitti e delle caverne; potevo fare navigazione subacquea, ero persino specialista in attrezzature … Potevo fare ricerca e recupero, in parole povere, avevo tutte le specializzazioni possibili che mi avrebbero permesso di conoscere l’universo subacqueo nella sua prospettiva più interessante e più emozionante.

Ed ora avevo anche una grandissima occasione …

Crollai, sfinita … con in testa una sola preghiera: “Signore ti prego, aiutami a decidere!”.

Era magnifica quell’isola … Era per me l’isola più bella al mondo, e non trascorreva giorno in cui io non ringraziassi Dio per avermi illuminata nella scelta. I mesi a San Domino, passavano velocemente … Ormai la mia vita era lì e non l’avrei più cambiata per alcuna ragione …

Mi dedicavo alle immersioni tutte le volte che mi era possibile, ne avevo compiute talmente tante che potevo tranquillamente affermare di conoscere l’isola in ogni suo centimetro, eppure ad ogni immersione un’emozione nuova, perché ogni volta notavo qualcosa che mi era sfuggita la volta precedente.

Aprii un mio centro sub, che mi permetteva di guadagnare il necessario per vivere tenendo brevi corsi da sub a turisti in cerca di emozioni. Gli abbracci ed i sorrisi, ed a volte anche le lacrime di commozione, che mi donavano quando andavano via, alla fine del corso e del loro soggiorno, per ringraziarmi di ciò che avevano vissuto, erano la ricompensa più grande che potessi ricevere oltre che la conferma del mio riuscire a trasmettere loro le mie stesse emozioni … emozioni che si sarebbero portati dietro per tutto il resto della vita.

Quando non mi era possibile fare immersioni, invece, dedicavo il mio tempo a lunghe passeggiate.

Ne avevo fatte tante di passeggiate … di giorno ma anche di sera e uscii anche quella sera.

Anche se ero molto stanca, non riuscivo a prendere sonno, così indossai pantaloni, scarpe da ginnastica, ed una giacca a vento … mi recai al porto avevo voglia di prendere qualcosa di caldo, di non sentirmi sola, di ascoltare la voce della gente, come se questa riuscisse a staccarmi dalla mia solitudine mentale.

La locanda dove mi stavo recando era al limite estremo del piccolo porto che ora riposava dopo la mareggiata, le barche ondeggiavano pigre ormeggiate alle banchine mentre la luce del sole scendeva in un tramonto di un giorno difficile, il mare grosso aveva messo a dura prova i pescatori dell’isola, il pescato era stato esiguo, ma ringraziavano ugualmente il dio del mare per averli riportati tutti a casa.

A volte però, non si era sempre così fortunati e ci si ritrovava a bere, nella vecchia locanda, al ricordo di un amico mentre, con sorrisi tristi, si parlava di lui.

Il mare dona tutto ma a volte pretende tutto e richiede un contributo di vite ed è pesante, per chi rimane, pensare a chi non c’è più e per giorni si continua ad aspettare sul molo una barca apparire oltre il promontorio seguita da una schiera di gabbiani, pur sapendo bene che, quella barca, quei cuori, non faranno mai più ritorno.

Questa volta tutte le barche erano rientrate, domani si ritornerà ad affrontare il mare, ma sarà domani e non ci si pensava, un altro giorno di vita era passato e ci si ubriacava la mente ed a volte anche il cuore dentro quella vecchia locanda di quell’isola lontana.

La vecchia locanda del porto, che odorava di fumo, di fritto di pesce, di birra e di fatica, dalle luci basse e calde con alle pareti vecchie fotografie di uomini di mare, di onde che s’infrangono imponenti sulla scogliera, di antichi strumenti di navigazione e di bottiglie vuote dalle strane etichette, dal mobilio di legno scuro e dalle scomode ma accoglienti sedie.

L’oste, un tipo dall’aria rude, con in mano un canovaccio bianco ed un bicchiere da pulire,  pronto sempre alla rissa ma che sa ascoltare quando la solitudine prende il cuore, aveva sempre ospitato tutti senza distinzione, anche ora che la locanda era diventata un’attrazione turistica e non di rado frequentata da forestieri curiosi che si aggiravano tra i vecchi tavolini alla ricerca, magari, di una storia da ascoltare come bambini affascinati di un mondo che per loro è lontanissimo e che, forse, hanno solo sentito sui libri di storia o di favole.

L’isola una volta apparteneva solo ai pescatori, ai marinai ed ai gabbiani ora invece era diventata meta turistica per giovani ed inesperti esploratori degli abissi, per pescatori dalle armi sofisticate, per abbronzati uomini d’affari con le loro compagne e per chi si crede lupo di mare, solo per aver affrontato la traversata su un vecchio e malandato traghetto o per possedere una barca dalla vernice lucente …. ed ha accolto anche me.

Nel porto, oltre alle vecchie e lente imbarcazioni costruite per affrontare il mare grosso alla ricerca di pesce, era sorto anche un porticciolo turistico, dove eleganti barche da diporto, facevano bella mostra di se, con attrezzature moderne, motori potenti, linee affusolate e spesso, i vecchi marinai rimanevano a guardare sorridenti le acrobazie effettuate dai proprietari delle stesse per entrare in porto o per un semplice ormeggio e, quei “lupi di mare”, neanche si accorgevano di essere derisi tanto erano soddisfatti di non aver distrutto quel costoso giocattolino.

Come in tutte le locande di un qualsiasi porto, anche in quella locanda la gente era sempre cordiale ed era facile, per una donna sola come me, trovare qualcuno che le si avvicinasse per offrirle qualcosa da bere. Ed io, pur declinando cortesemente tutte le avances degli uomini del posto, rimanevo a parlare con loro, cosa che comunque trovavo piacevole.

Mi raccontavano di avventure, di luoghi lontani di persone strane come il vecchio marinaio che tutte le sere si sedeva a bere birra. Gli abitanti del posto lo chiamavano “il capitano”, aveva la pelle bruciata dal sole e dalla salsedine, occhi profondi come il mare stesso e che troppo spesso, rimanevano a fissare il vuoto come se in quel momento stessero navigando.

Capelli radi, barba incolta, sulle labbra baffi bianchi ingialliti dalla nicotina di una sigaretta che pendeva sempre dalle sue labbra, ed un sorriso, un sorriso che illuminava l’anima anche se il più delle volte era un sorriso triste. Indossava sempre un pesante cappotto di panno blu ed uno zuccotto di lana anche nelle giornate estive più calde, diceva che per non soffrire il caldo bisogna coprirsi e forse chissà, aveva anche ragione.

Nella vecchia locanda si metteva seduto sempre in un angolo che ha giusto lo spazio per un tavolino, sorseggiava lentamente il suo boccale di birra mentre la cenere della sigaretta gli cadeva sul capotto. Ormai era diventato un tutt’uno con la locanda e, dalle 19 alle 21, rimaneva lì a fissare il vuoto, poi spariva. Nessuno sapeva dove andasse ancor di più da dove venisse. Non era nato sull’isola, era comparso un giorno sbarcando da una nave in transito con un vecchio sacco bianco in spalla ed era andato ad abitare in una vecchia e malandata casa abbandonata, una volta usata dai pescatori per lavorare il pesce, all’interno di una piccola baia all’altro capo dell’isola.

All’inizio, qualcuno aveva provato a chiedere notizie su di lui, spinto più dalla curiosità di quello straniero misterioso che da altro e per avere qualcosa da dire nelle sere invernali, dove l’unico passatempo era parlare degli altri.

Molti dicevano che aveva qualche rotella fuori posto, e questo per le storie fantastiche che diceva di aver vissuto.

Quando qualche turista aveva voglia di sentire qualcosa di strano sul mare, veniva mandato da lui ed il vecchio marinaio iniziava a raccontare, senza mai distogliere lo sguardo dal vuoto.

Qualcuno, alla fine del racconto, fece scivolare qualche moneta tra le mani legnose del vecchio che ringraziava portando le dita alla fronte.

Alle 21 in punto si alzava, pagava la birra e spariva come se avesse un appuntamento, nessuno ha mai saputo dove andasse.

Iniziai a scrutare tra le luci basse per cercare di riconoscerlo, ed eccolo, in quell’angolo lontano, quasi buio, incrociai un attimo i suoi occhi e poi sparì, controllai l’orologio: le 21.

Uscii dalla locanda, mi aveva fatto bene bere qualcosa e chiacchierare lasciando liberi i pensieri, ma non volevo ancora rinchiudermi tra le quattro mura di casa e mi avviai verso la scogliera.

La notte era bellissima, il cielo era pieno di stelle, la luna si rifletteva sulla superficie liscia del mare tracciando una scia luminosa … Era uno spettacolo meraviglioso.

Mi sedetti su di uno scoglio, cercando una posizione abbastanza confortevole, iniziai a fissare con interesse ed avidamente tutto quello che mi circondava, come se quella fosse l’ultima volta che potessi godere di un simile spettacolo. Lasciai liberi i miei pensieri. Ripercorsi con la mente la mia vita, ripensai a tutti i sacrifici fatti per arrivare dove mi trovavo in quel momento. Ripensai al giorno in cui mio marito era uscito di casa con la valigia in mano e quel suo ultimo e breve sguardo e poi alla porta che si chiudeva dietro le sue spalle. Rividi me stessa inerme, in piedi a fissare per minuti interminabili quella porta nella speranza o forse nella convinzione che si sarebbe riaperta poco dopo e che mio marito sarebbe riapparso ridendo a gran voce mentre mi diceva: “Ci sei cascata eh!” …

Ma come ho fatto ad essere così stupida ed ingenua?

Impiegai giorni prima di capire che quello era un abbandono ed altrettanti giorni per farmene una ragione … Ma solo ora mi rendevo conto che in realtà una ragione io non l’avevo mai trovata, perché Stefano mi mancava e Dio solo sa quanto avrei voluto condividere quei momenti insieme a lui.

Ero così assorta nei miei pensieri che non sentii i passi alle mie spalle. Sobbalzai quando udii la voce del vecchio marinaio dietro di me … stavo quasi per cadere, ma lui mi afferrò prontamente per il polso e mi tirò su prima che io potessi cadere rovinosamente a terra.

– Mi spiace averla spaventata Signorina, credevo mi avesse sentito arrivare! – e senza neanche attendere risposta continuò – Anche io vengo sempre quassù. Quando ho bisogno di riflettere, lontano dalla gente, questo è il posto che preferisco. Da qui riesci a vedere ogni cosa ed è proprio qui che capisci quanto la natura sia stata generosa con quest’isola … una natura che ha sapientemente accostato tutti i suoi elementi: terra, mare e cielo hanno lavorato insieme ed in perfetta armonia hanno creato questo meravigliosa terra, unica e completamente diversa da tutte le altre isole.

Rimasi a fissarlo senza dire nulla, ero tanto curiosa di sentire la sua storia, di conoscere il suo passato, di sapere della sua vita ma non avevo il coraggio di chiedergli nulla. Temevo di sembrare invadente ai suoi occhi e d’altra parte io non avevo alcun diritto di ficcare il naso nei suoi affari. Forse il mistero che aleggiava intorno a lui doveva rimanere tale, così mi limitai ad accennargli un sorriso e a dire:

– Questo è davvero un posto meraviglioso ed io sono felice di aver scelto di ricominciare la mia vita qui.

Poi lui mi fissò dritto negli occhi, come se volesse leggermi dentro. Mi sentii vulnerabile e d’istinto distolsi il mio sguardo dal suo, ma in quel breve istante in cui i nostri occhi s’incrociarono, sentii una forza strana nascere in me e capii che c’era ancora qualcosa che mi mancava … qualcosa che mi avrebbe fatto sentire una donna completa …

D’un tratto, distogliendomi da quel pensiero, lui mi disse:

– Conosco quello sguardo Signorina, lo conosco davvero bene … Lei mi ricorda me alla sua età! Io so a cosa sta pensando e so perfettamente cosa le manca. Ho visto con quali occhi lei osserva il mare e nel suo sguardo ho percepito il desiderio di vivere in esso e per esso.

– Ma lei come fa a sapere queste cose su di me?

– Gliel’ho detto no?  Mi ricorda me da giovane! Le conosco perché il suo sguardo è il mio stesso sguardo di allora. So distinguere perfettamente chi ama il mare da chi invece crede di amarlo, ed è raro trovare al mondo persone che sappiano rinunciare ad ogni confort e agiatezza per dedicargli la propria vita.

Lei ha già fatto questo primo passo … ha rinunciato ad una vita che son sicuro era abbastanza agiata, e si è trasferita in quest’isola ma ha ancora sete, sete di conoscere e di saper ancor di più sulle meraviglie che questo mondo ha da offrire. Forse avrà pensato che i corsi da sub che ha frequentato potessero essere sufficienti, ma non è così. Il mare non si finisce mai di conoscerlo, e se si vuol davvero approfondirne la conoscenza, è necessario viverlo intensamente, attraversarlo, solcare le sue onde, subire le sue tempeste ed imparare a tenergli testa, in un certo senso … è solo così che si ottiene il suo rispetto e si diviene una sua creatura, senza mai dimenticare che, però, è sempre lui a condurre il gioco.

Mi raccontò così tutta la sua vita.

Mi raccontò di quando si arruolò volontario nella Marina Militare, conseguendo diverse specializzazioni e della vita vissuta in mare in quegli anni di servizio.

Mi disse della sua decisione di non rinnovare il servizio alla scadenza, poiché in quegli anni, innamorato profondamente di una donna, desiderò sposarla e formare una famiglia insieme a lei; del lavoro da responsabile dei servizi di terra di un’importante compagnia di navigazione, un lavoro che gli piaceva ma che non gli permetteva di solcare i mari.

Mi parlò poi del suo senso d’inquietudine e d’insoddisfazione per quella vita che sentiva appartenergli ogni giorno sempre meno.

Mi raccontò di quel giorno in cui prese piena coscienza del suo desiderio e di quando ne parlava a sua moglie pregandola di seguirlo, promettendole comunque una vita agiata; quindi della sua decisione di separarsi da lei, all’ennesimo rifiuto di quest’ultima, insensibile alla sua preghiera.

Successivamente mi elencò tutti i suoi sacrifici per riuscire a mettere da parte la somma necessaria all’acquisto di una modesta imbarcazione e della gioia che provò il giorno in cui riuscì a raggiungere questo suo primo obiettivo.

Poi mi parlò di quel giorno in cui, dopo aver lasciato un biglietto sul guanciale, accanto a sua moglie che stava ancora dormendo e dopo aver posato un ultimo bacio sulle labbra di lei, uscì di casa. Mi disse che aveva atteso un’ora circa, seduto su di una panchina al molo dove era attraccata la sua imbarcazione nella speranza che sua moglie, cambiando idea all’ultimo istante, alla fine lo avesse raggiunto e quando capì che invece lei non l’avrebbe mai cambiata, s’imbarcò e partì, da solo, per solcare i mari di tutto il mondo.

Mi descrisse quella sensazione di libertà che provò immediatamente dopo e di quella gioia che l’invase dappertutto. Non smise mai di pensare a lei e mai dimenticò quel dolore che certamente le aveva arrecato, ma col tempo capì che l’amore, proprio come il mare aperto, non ha confini e che, se sua moglie l’avesse davvero amato, avrebbe rinunciato a quella vita di lusso che conduceva, una vita che non l’avrebbe mai arricchita nell’anima e nello spirito …

… ed, infine, mi raccontò ogni cosa della sua vita in mare … di tutto ciò che esso gli aveva donato, ma anche tolto; delle volte in cui aveva cercato di rubargli l’esistenza e di come, invece, lui aveva saputo tenergli testa; delle volte in cui gli aveva quasi distrutto la barca e l’aveva costretto a restare fermo per giorni e giorni prima di riuscire a ripararla e riprendere di nuovo a navigare.

Quell’uomo aveva davvero solcato tutti i mari, aveva consacrato la sua vita al mare ed aveva saputo conquistare il suo rispetto, la sua stima. E nonostante ciò, lui lo temeva ancora, perché, mi disse: “E’ proprio quando smetti di temerlo che il mare si riappropria di tutto ciò che ti ha dato!”

 – Quando capii che era giunto ormai il tempo di ritirarmi, scelsi, tra tutte quelle sulle quali ero approdato, proprio questa: l’isola di San Domino. Era la più affascinante a mio avviso, ma non solo, era l’unica che mi avrebbe permesso di continuare a vivere le emozioni che il mare offre … era l’unica che mi avrebbe permesso di continuare ad ascoltare la “voce del mare” … ed è stato così, perché ancor oggi quest’isola è tutto questo. –  concluse il vecchio marinaio allargando il suo braccio, quasi a voler dimostrare l’immensità di quel luogo.

Rimasi incantata ad ascoltarlo per tutto il tempo, senza interromperlo neanche una volta. La sua voce mi aveva rapita, affascinata … la sua storia mi aveva preso mente e cuore e mentre lo ascoltavo, in me, aumentava sempre più la consapevolezza di ciò che mi mancava.

Mi fissò ancora una volta dritto negli occhi ma questa volta io non distolsi il mio sguardo perché non mi sentivo più vulnerabile. Quel vecchio marinaio non era più uno sconosciuto per me, ora, era come se io lo conoscessi da una vita intera … e lo abbracciai … Si! D’istinto, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi più forte che potessi. E lui, dapprima stupito, ricambiò poi il mio abbraccio con altrettanto calore. Ed in quel calore percepii la sua solitudine ma, nella forza delle sue braccia, riconobbi la fierezza delle sue scelte, riconobbi l’orgoglio di un uomo che avrebbe rifatto le stesse scelte se gli fosse stata data la possibilità di vivere una seconda volta.

E mentre eravamo ancora abbracciati, assistemmo ad uno dei più bei spettacoli che la natura possa mai offrire: vedemmo il sole sorgere, proprio lì, dove il mare ed il cielo si toccano per divenire una sola cosa.
Osservai quel nuovo giorno nascere con una strana gioia nel cuore, poi guardai il vecchio marinaio e nei suoi occhi commossi ebbi la conferma di quello che più desideravo al mondo:

– Mario insegnami ad ascoltare la “voce del mare” … ti prego!

Il vecchio marinaio, mi prese il volto tra le sue mani e dopo avermi posato un bacio sulla fronte mi rispose:

– T’insegnerò tutto ciò che io ho imparato dal mare, ma non posso insegnarti ad ascoltarne la sua voce perché tu … – prendendo la mia mano e posandola sul mio cuore – sai già ascoltarlo!

… e mi risvegliai, i raggi del sole filtravano con prepotenza attraverso le tende …  quelle tende color panna acquistate qualche giorno prima al mercatino del giovedì, mentre passeggiavo distrattamente per ammazzare il tempo che sembrava non volesse passare mai e mentre, svogliatamente, curiosavo tra le varie bancarelle.

Mi voltai e Stefano dormiva beato accanto a me. Mi resi conto che quello che era accaduto era stato tutto frutto della mia fantasia, un sogno …

O forse no?

Mi alzai in preda ad una frenesia inspiegabile, iniziai a sfogliare alcune riviste accantonate sulla poltrona, alla ricerca di un articolo letto forse troppo velocemente e …

eccola: l’isola di San Domino nell’arcipelago delle Tremiti.

Un sorriso illuminò il mio volto.

Un sogno che diventa realtà …

Pochi indumenti gettati alla rinfusa nella valigia, un bacio sulla guancia di Stefano ancora dormiente, un biglietto scarabocchiato adagiato sul suo comodino e …

la vita oltre la porta di quella casa di campagna.