Racconto di Ambrogio Bozzarelli

(Seconda pubblicazione)

 

Attraverso quel piccolo interstizio, nella tapparella dalla plastica un po’ malandata, filtravano piccoli corpuscoli che parevano galleggiare sopra un sottile ma vivido raggio di sole.
La camera era fredda e il vecchio dormiva raggomitolato su di un lato con indosso uno sdrucito cappotto pesante, ma che non trasmetteva calore, su di un letto di spessi cartoni accatastati l’uno sull’altro.
Il raggio di sole pareva voler sondare l’ambiente. I muri scrostati, due sedie una in discrete condizioni con il seto di paglia l’altra con il sedile sostituto da un pezzo di legno un po’ spesso e leggermente ricurvo, un tavolo tutto mangiato dalle tarme ricoperto solo per una parte da una tovaglia strappata e sporca con sopra un fiasco di vino. E nulla più.
Patrizia, alla sua prima mansione in qualità di assistente sociale, era stata incaricata di andare lassù, in quella casa isolata sulla collina appena sopra la città per cercare di convincere quell’anziano mezzo matto che lì si ostinava a vivere, se si poteva chiamare vivere quella sua vita, a scendere almeno il giorno di Natale in città per godere di una giornata in compagnia.
Ogni anno un po’ tutti ci avevano provato, ma quel vecchio ogni anno rifiutava.
Non si era mai saputo quando comparve per la prima volta in città a chiedere l’elemosina. All’apparenza già piuttosto anziano, una barba grigia cespugliosa come i suo lunghi capelli che gli arrivavano al collo, sia d’inverno che in estate portava spessi pantaloni di velluto blu scuro, una camicia a quadri sotto un maglione ormai senza più colore ed un pesante cappotto marrone di quelli in uso negli anni settanta.
Il sole, fuori dall’abitazione, continuava a salire in cielo e quel suo piccolo raggio ricco di polvere dorata si spostava all’interno come mosso da moto proprio sino a che si posò sul viso del vecchio. L’uomo emise un brontolio di insofferenza e sollevando la mano destra la passò sulla guancia come a togliere una mosca fastidiosa. Ma il gesto non intimorì il raggio che continuò ad avanzare superando una narice, allungandosi lungo il naso per fermarsi sulla palpebra abbassata.
«Uhm… via, va via…» borbottò nel sonno mentre con la mano continuava a cercare di scacciare quel fastidio. Ma quella mosca, così almeno era per lui, non se ne andava: rimaneva fissa, ferma sopra l’occhio chiuso.
“ Se apro gli occhi se ne dovrà andare” pensava durante quegli attimi di dormiveglia; ma aveva ancora sonno, non voleva svegliarsi del tutto:
“ Forse se mi giro sull’altro lato, il movimento di tutto il corpo dovrebbe allontanarla”.
E così, pur muovendosi con notevole pesantezza riuscì a volgersi sul lato opposto. Ma quello strano fastidio rimase: sempre fisso, fermo, adesso lo colpiva sulla nuca.
Gli assistenti sociali, e alcuni volontari di una associazione umanitaria, dopo aver provato in ogni modo ad aiutarlo, anche cercando di convincerlo di andare a vivere in un ambiente più sano, si erano dovuti rassegnare. Inizialmente oltre a fornirgli quasi quotidianamente il cibo avevano persino provato a render abitabile quella casa: portarono un letto, qualche mobile e delle sedie.
Nel giro di due mesi tutta la mobilia era pressoché sparita.
Alle domande su cosa ne avesse fatto di quei mobili, lui aveva risposto che erano del tutto inutili: lui era venuto lì, in quella città, per cercare qualcos’altro e avrebbe esplorato e aspettato sin che non lo avesse trovato, perché sapeva che era lì.
Patrizia avviò la sua panda bianca, acquistata usata con i suoi primi sudati risparmi di lavoro, e presto lasciò il centro città per dirigersi lungo la stretta strada collinare un po’ male asfaltata, che l’avrebbe condotta alla casa del vecchio. Aveva con sé anche tanti viveri, piatti e bicchieri di carta, un panettone, acqua, vino e una bottiglia di spumante per il caso che il vecchio si rifiutasse nuovamente, come suo solito, di scendere in città. Non sapeva bene perché mai avessero scelto proprio lei. Assunta da poco, le era stato dato un incarico che, come le aveva detto il suo capo era “di notevole importanza e anche di responsabilità”.
Sulle prime ne fu entusiasta, aveva accettato con baldanza, si era sentita importante. Ora, però, mentre l’auto iniziava ad inerpicarsi su per la collina, cominciava ad avere qualche dubbio:
“ Cribbio – pensava – e poi magari, quel tipo che deve anche essere un bel po’ di testa dura, rifiuta di scendere giù e mi tocca sorbirlo tutto il giorno lì. Io, da sola con lui e un pezzo di panettone…”.
Niente da fare: quel fastidio sulla testa lo indusse a svegliarsi definitivamente. Aprì gli occhi, si stirò sbadigliando. Sole, era solo il sole quello che lui credeva essere una mosca. Sorrise. Strinse gli occhi per meglio osservare il pulviscolo giallo che filtrava ora con forza non più solo da un piccolo buco ma da tutti gli interstizi, naturali e non di quella tapparella le cui stecche mezze rotte poggiavano obliquamente sino a terra. Si mise in piedi dimostrando una agilità che, a prima vista, nessuno avrebbe minimamente sospettato. Scrollatosi un po’ il cappotto afferrò quella sedia malandata si sedette e da una tasca dei pantaloni estrasse un piccolo libretto che pose sul tavolo. Era una agenda; ne sfogliò velocemente i fogli giornalieri tutti scritta con caratteri piccoli piccoli ma molto chiari, precisi e leggibili. Giunse ad una pagina vuota, 25 dicembre:
“ Oh no, di nuovo”. Tenendosi la testa tra le tozze mani.
Se le osservò: “Un altro anno, un altro sforzo per rendermi un po’ presentabile”.
Lasciando l’agenda sul tavolo si alzò e si diresse verso una porticina stretta posta su di un angolo buio della stanza. Il suo bagno. In quella casa priva di tutto c’era però ancora l’acqua corrente. Si spogliò, si lavò per poi asciugarsi con un lungo lenzuolo celeste che si trovava appeso al muro con un chiodo trovato chissà dove. Sotto il lavandino c’era un capiente baule. Lo aprì tolse dallo stesso un po’ di biancheria intima, una camicia, un maglione verde giallo ed una giacca a vento bianca a righe nere. Al loro posto infilò alla rinfusa vestiti con i quali aveva dormito. Poi, sempre nudo, uscì dal suo bagno con sotto braccio i nuovi abiti, li scrollò un poco, e si vestì.
Patrizia giunta all’altezza di un grosso e solitario faggio svoltò a sinistra, lasciando la strada asfaltata, come le era stato indicato, per percorrere un breve tratto di una carrareccia che terminava ad un centinaio di metri dalla casa. Fermò l’auto; osservandosi nello specchietto retrovisore si ravvivò con un gesto automatico i lunghi capelli biondi, si voltò verso i sedili posteriori come per controllare che vi fossero tutte le vivande. Poi fatto un ampio respiro, come a prendere ancora un po’ di coraggio, uscì dalla Panda e si avviò per quel sentiero che, così le avevano detto, l’avrebbe portata sino all’uscio dell’abitazione. Nonostante quell’anno il mese di dicembre fosse stato piuttosto freddo, il sole, ormai già alto, ancora scaldava prepotentemente i prati intorno ove notò, con sorpresa, che ancora fiorivano gialle margherite.
Il sentiero all’inizio abbastanza ampio si fece sempre più ripido e dissestato. Credeva di poter vedere la casa ma alberi, rovi e sterpi si susseguivano rendendo sempre più stretto e meno agibile il cammino e adesso cominciava a preoccuparsi: quel sentiero non era poi così breve come pensava. Osservando con attenzione dove posava i piedi si rammaricò di non aver indossato comode scarpe da ginnastica:
“ Mio Dio, per fortuna ho i jeans, spero di non dover portare da sola giù le vivande sino alla casa”; nella sua mente si faceva sempre più pressante l’idea che avrebbe finito per trascorrere l’intera giornata con quel vecchio un po’ matto. E chissà poi com’era anche fisicamente, e l’età?
Alda, la sua collega con la quale aveva stretto subito amicizia e che tanto l’aveva aiutata durante i primi giorni di servizio, le aveva suggerito che probabilmente quell’uomo poteva aver avuto l’età di suo padre. Già suo padre; Alda non lo sapeva, ma Patrizia non aveva mai conosciuto suo padre, sua mamma, morta due anni prima di quel Natale, aveva evitato per tutta la sua vita di parlare di lui. Così quel giorno Alda, senza volerlo, aveva aperto una vecchia ferita nel cuore di Patrizia.
Forse fu proprio a causa del ricordo di quell’episodio, venutole alla mente durante la discesa che non vide quella pietra più sporgente; un colpo e perse l’equilibrio cadendo malamente. Un acuto dolore alla gamba destra che era rimasta piegata sotto il suo corpo. Si mosse lentamente cercando di portarla in una posizione più naturale. Riuscì ad allungarla e prese a tastarla con attenzione: nulla di rotto, per fortuna, almeno così pareva, ma lì accanto vide un pezzo di tacco della sua scarpa.
Soffocò una imprecazione, ” le scarpe nuove!” – le erano costate una cifra.- Un bel natale , non c’è che dire! E Tutto per colpa di quel maledetto vecchio…”. Si rialzò a fatica e con precauzione provò a muovere alcuni passi. Sì, riusciva a camminare, claudicante, anche per via delle scarpe non più alla stessa altezza per via del tacco in meno.
Lentamente riprese a percorrere il sempre più accidentato sentiero, le faceva male anche un poco la schiena, qualche lacrima di rabbia mista al dolore iniziò a colare dal viso.
Seduto, scribacchiava qualche cosa con la sua minuta grafia sulla pagina dell’agenda dedicata a quel giorno. Sollevò la testa: aveva sentito il rumore di una auto. Nonostante le apparenze il suo udito era finissimo e perfetto, così come i suoi occhi, azzurri e penetranti, che potevano permettergli di leggere anche i caratteri più piccoli stampati sulle etichette.
Si alzò di scatto dalla sedia, bofonchiò qualcosa in merito a dare una pulita al tavolo, cosa che subito fece un po’ distrattamente con le mani. Poi con un sorriso tra il sarcastico e l’ironico, lisciandosi con il pollice e l’indice della mano destra la grigia barba incolta si risedette: “Beh, vediamo chi hanno il coraggio di mandare quest’anno”.
E finalmente il sentiero era diventato pianeggiante e lì, a neppure 10 metri la casa. Patrizia respirò profondamente. Era arrivata.
Si sentiva stanca, distrutta e pensare che la parte più difficile doveva ancora affrontarla.
C’era una porta, di legno mezzo marcio, senza più colore e apparentemente chiusa. Provò a spingerla verso l’interno.
«E’ permesso?» Con voce un po’ titubante. La porta si aprì verso sinistra rimanendo un po’ sbilenca sostenuta com’era da un solo cardine.
«E permesso?» Ripeté, schiarendosi la voce mentre cercava di adattare i suoi occhi a quella luce un po’ strana fatta dai riflessi del sole sulle pareti prive di intonaco. Di fronte a lei, a lato di un tavolo anch’esso malandato stava seduto un uomo di una età indefinibile. Questi si alzò, muovendo il braccio destro invitandola ad avvicinarsi:
« Prego signorina» una voce profonda e calda « L’aspettavo, oggi è il giorno come ogni anno che dalla città mi mandano qualcuno..».
«Buon giorno, mi chiamo Patrizia, sono un assistente sociale…»
«Lo so, lo so, so che è una assistente sociale, tutti gli anni , oggi, il 25… », l’interruppe l’uomo, «si accomodi», poi una breve pausa, come rimasto sopra pensiero.
«Si accomodi» , ripeté, indicandole la sedia , quella più in buone condizioni.
L’osservò mentre lei , gli occhi azzurri un po’ troppo aperti, chiaro segno di timore, si avvicinava lentamente. Due passi ed un suono soffocato; nel posare il piede destro aveva sentito un’acuta fitta.
Il vecchio se ne accorse.
«Signorina, cioè Patrizia, ma lei si è fatta male?».
«…no, no…» cercò di mascherare il dolore forzando il sorriso, e si sedette un po’ pesantemente rilasciando un lungo respiro.
L’uomo si passò la mano sinistra sui capelli: «Eh no, no! No lo dico io: così non va; mi faccia vedere!» e con una insospettabile agilità di movimenti già si era accucciato e aveva preso tra le sue mani il piede della ragazza.
“«Ma dico?! coo… coosa, cosa fa…» quasi gemendo cercando inutilmente di alzarsi dalla sedia.
« E non mi tocchi!» Adesso stava urlando.
Ma il vecchio non mollava la presa, tenendo stretta tra le sue grosse mani la caviglia della ragazza.
«Ferma, Stai ferma!!» Un ordine.
Patrizia alzò le braccia strinse la destra in un pugno, tremava, lui alzò il capo con uno sguardo duro, privo di pietà:
« Adesso basta!» E così dicendo sfilò velocemente prima la scarpa poi la calza, con la mani sinistra tirò un poco verso di sé il piede nudo mentre con la destra spostava più in alto sulla gamba il jeans.
Patrizia era come impietrita, incapace ora anche di profferire alcuna sillaba, il respiro affannoso, gli occhi sempre più spalancati la mascella serrata in una espressione di puro terrore mentre grosse gocce di sudore le scendevano sulle guance.
Nel movimento fatto per tirare un po’ più in alto e più verso di sé il piede nudo, la manica della camicia del vecchio , priva di bottoni, si ritirò un poco più in su sul braccio. Gli occhi impauriti di Patrizia colsero subito quel particolarissimo neo a forma di stella che spiccava sul polso del vecchio nel momento stesso in cui lui vide l’identico neo appena sopra il malleolo del piede della ragazza.
E gli occhi, tutti azzurri si aprirono a lacrime di gioia:
«Figlia mia»
«Papà!»”

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