Racconto di Lori Marchesin

(Terza pubblicazione)

 

Il luogo dell’azione è una strada di periferia, potrebbe essere a Torino o in un’altra città qualsiasi, considerato il suo essere totalmente anonima. Sulla sinistra vince il colore grigio che va dal cielo al marciapiede, un grigio incombente interrotto dalle poche vetrine, quelle di un parrucchiere, di una panetteria e una vetrata debolmente illuminata dalla scritta –Banco dei Pegni -.
Pochi passanti, a testa china, camminano frettolosi lungo il marciapiede avvolti in giubbotti e berretti per ripararsi dalla gocciolante foschia.
A destra il grigio si scontra con il rosso cupo dei caseggiati e le insegne gialle al neon del supermercato. Lungo il marciapiede alcune macchine parcheggiate.
Da una Toyota bianca scende una donna: gambe lunghe, fianchi rotondi compressi nei jeans e lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo; si china dentro l’abitacolo e stringe tra le braccia un bimbo, un neonato di pochi mesi in tutina blu, che strilla a pieni polmoni. La donna gesticola all’altra passeggera, un’adolescente, sicuramente la figlia: gli stessi capelli biondi e lunghi come lei e lo stesso naso dritto, appuntito. La ragazzina lascia la chioma cadere lungo le spalle e sugli occhi, un paravento dietro al quale nascondersi; indossa un paio di jeans azzurri con fori sfilacciati sulle cosce e ginocchia e una felpa nera con la scritta bianca -Io ci sono-. Ora il bimbo è sul carrozzino, continua a strillare sputando il succhiotto che la madre gli ficca in bocca mentre gesticola alla figlia; la ragazza, riparata dalla cortina di capelli, finge di non sentire e si siede sulla panchina estraendo il cellulare dalla tasca.

L’occhio curioso zooma sul terzetto che sta creando movimento in quella strada desolata. Le poche macchine che passano, lasciano una scia di odore acre che proviene dal tubo di scarico.
Un close up inquadra la ragazza mentre digita sulla tastiera di whatsapp alla velocità che solo i giovanissimi sanno raggiungere, con abbreviazioni incomprensibili e scariche di faccine. La madre, a pochi metri, le sta gridando di aiutarla a quietare il bambino, ma sembra chegli auricolari siano una valida barriera contro i richiami.  Ogni tanto sbircia tra le ciocche dei lunghi capelli evitando il volto della madre, ma lanciando occhiate furtive intorno.
Il bambino finalmente smette di urlare e, soddisfatto, succhia un biscotto. La madre si avvicina alla ragazza lanciandole improperi che lei non sente. Ha smesso di digitare, ma sta osservando qualcosa sul lato opposto della strada. Una macchina si è fermata davanti al Banco dei Pegni: ne esce un uomo, alto che indossa una felpa grigia con cappuccio che gli nasconde metà volto. Il guidatore rimane in macchina, con il motore acceso.
La ragazza sa che ora deve seguire la madre dentro il supermercato; una chiamata velocissima, poi lentamente si alza con lo sguardo che segue l’azione sul marciapiede a destra.
La donna furiosa, la ragazza curiosa e il bambino, finalmente zittito, entrano nel supermercato.

Passano pochi minuti: la ragazza non ha distolto lo sguardo dal marciapiede di fronte; sente un suono di sirene avvicinarsi, sempre più acuto e lacerante. Ora tutti dentro il supermercato stanno guardando: tre macchine della Volante con luci lampeggianti blu e bianche bloccano l’area del banco dei pegni. L’uomo in felpa grigia esce correndo dal negozio, dopo pochi secondi, viste le armi spianate, si arrende e alza le mani. Il compare che attendeva in macchina è già in manette.
Un close up finale sulla ragazza che sorride mentre arriccia ciocche di capelli con le dita: la sua chiamata al 118 ha funzionato.
In whatsapp, per giorni, il suo gruppo preferito ha chattato dei frequenti assalti ai banchi di pegno in città.
Riprende a digitare, le dita scorrono velocissime sulla tastierina.

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