Racconto di Silvio Esposito

(Sesta pubblicazione)

 

La cantina della nonna era fredda, buia e polverosa, ma ad Amélie poco importava, era curiosa di sapere cosa conteneva la cassa che avevano portato due uomini in grande segretezza la sera prima e nulla l’avrebbe fermata da tale proposito. Però c’era poca luce e lei non vedeva oltre il proprio naso, al ché prese ad avanzare tastando i muri con le mani per non ruzzolare giù per le scale malamente. Anche se conosceva come le proprie tasche il posto, c’era stata altre volte, meglio essere prudenti, così arrivò al piano sana e salva.

Fatti pochi passi in avanti, urtò contro qualcosa e capì che doveva essere la cassa. Ma prima di aprirla si fermò a pensare alla nonna, a cosa le avrebbe detto nel caso l’avesse scoperta con le mani nel sacco. Però, ripensandoci, ricordò che non sarebbe tornata prima di cena e pertanto si era detta che avrebbe fatto in tempo a mettere tutto a posto prima che la scoprisse. Pertanto, si prese di coraggio e l’aprì.

Non appena il coperchio si sollevò, una luce abbacinante l’abbaglio e Amélie fu costretta a coprire gli occhi con le mani. Solo quando si affievolì riuscì finalmente a vedere quello che conteneva e rimase a bocca aperta: uno scrigno di cristallo di ineguagliabile bellezza. Era quello a emanare la luce intensa e, ciononostante, lei riuscì ad allungare una mano per prenderlo e, dopo averlo sollevato con delicatezza per paura di romperlo, lo portò via su con sé.

Amélie saliva i gradini due per volta in quanto la luce dello scrigno illuminava tutto a giorno ed era più facile proseguire che all’andata. Arrivata su, per prima cosa poggiò lo scrigno sul tavolo e, avvicinata una sedia, si sedette ad osservarlo con attenzione. Purtroppo non c’era nessuna apertura apparente, sembrava un unico blocco. Eppure all’interno doveva esserci qualcosa, lei ne era più che certa, ma come fare ad aprirlo senza romperlo?

Continuava a rigirarlo tra le mani quando la luce cominciò ad affievolirsi e su di esso apparve una scritta a caratteri rossi che elencava alcuni numeri seguiti da lettere: 7 Terminano – 9 Iniziano – 2 Versano – 1 Beve.

Doveva essere un indovinello pensò e la cosa iniziava a farsi interessante. A lei piacevano gli enigmi quindi si mise subito al lavoro per risolverlo.

Presa carta e penna, iniziò con il segnare i numeri che avevano un significato ben preciso: erano stati elencati uno dietro l’altro e questo voleva dire che doveva partire dal primo per dare un senso agli altri. Iniziò dal numero sette. Potevano essere i giorni pensò, quindi la settimana, ma cosa terminava dopo quella scadenza? E cosa iniziava che ne durava nove? Non era certa che nove fossero i giorni, potevano essere ore, mesi, anni o chissà cos’altro. Come aveva intuito, solo se avesse risolto il primo indizio poteva arrivare a comprendere il resto. Pertanto, prese in considerazione i giorni e optò per i lavorativi, ma di solito quelli erano cinque e scartò subito l’idea. Le fasi lunari, forse? No! Quelle erano otto. Allora cosa terminava dopo sette giorni? Pensa che ti ripensa, le vennero in mente i sette giorni del ciclo, il suo era appena iniziato. E sì, si era detta, non potevano che essere quelli. A dare maggiore forza al suo ragionamento, lei sapeva che il ciclo di solito s’interrompeva al momento del concepimento e quindi il nove erano i mesi di gravidanza.

Era vicina alla soluzione, adesso doveva trovare un senso ai due che versavano e… ma sì, che sciocca era, quelli non potevano che essere i seni, e l’uno che beveva a questo punto non poteva che essere il neonato. Aveva trovato la soluzione al quesito: la risposta era la mamma o la madre.

Amélie non stava nella pelle per aver risolto l’enigma, ma lo scrigno non si apriva, si rabbuiò in volto e urlò a gran voce tutta la sua rabbia: «Perché non ti apri maledetto. Ho risolto il tuo stupido indovinello… è la mamma! O meglio, la madre! Cosa vuoi ancora da me? Sono…»

Non finì di dire di essere stufa, che lo scrigno si aprì così che vide quello che celava all’interno gelosamente: una pietra iridata grande quanto una pesca, ed era lei a emettere luce. Di mille colori, non smetteva di brillare e lei come la prese tra le mani sentì che vibrava ed emanava calore: come se fosse viva e urlò. «Adesso cosa vuoi che faccia… devi dirmelo? Perché io non so proprio cosa fare.»

«Come, ti arrendi di già? Non è da te.»

Amélie si voltò di scatto per rispondere a tono, ma non c’era nessuno. Chi aveva parlato allora? «Chi sei? fatti vedere? Non ho paura di te, sai? So come difendermi, quindi esci fuori e fatti vedere.»

«E quante volte dovrei farlo, ancora?»

«Ma, cosa dici? E comunque quando saresti entrato? No… non dirmi che a parlare sei stata tu?»

A questo punto Amélie lasciò cadere la pietra in terra per poi allontanarsi dal sasso di qualche passo. Non poteva credere che a parlare fosse stata una pietra. Poi, visto che non succedeva nulla, la raccolse nuovamente, non l’avesse mai fatto, la pietra prese a brillare e vibrare sempre più e alla fine la paura prese il sopravvento in lei e svenne.

«Era ora che ti svegliassi! Forza, alzati! Dobbiamo metterci in cammino.»

Ancora intontita, Amélie si guardò intorno, ma niente da fare, non c’era nessuno nella stanza. Poi i ricordi cominciarono a riaffiorare e lei si svegliò del tutto e a gran voce disse: «Ancora tu? Cosa vuoi da me? Lasciami in pace! Ti rimetto nello scrigno e amici come prima.»

Amélie non aveva ricevuto alcuna risposta, allora si alzò e, voltatasi, si accorse che quella non era la sua stanza, la cosa iniziò a spaventarla a morte e urlò di nuovo. «Dove mi trovo, stramaledetta pietra? Se non me lo dici ti ridurrò in mille pezzi! Stessa cosa accadrà allo scrigno.»

«No! Non farlo. E va bene! Hai vinto tu.»

Un puntino di luce azzurra si materializzò nella stanza e Amélie prese a fissarlo mentre questo s’ingrandiva sempre più. E non appena la luce fermò la sua espansione, da esso iniziò a uscire qualcosa che a prima vista sembrava avere delle fattezze umane. Rimase a bocca aperta, non poteva credere ai suoi occhi: la fisionomia di quell’essere era umana solo per quanto riguardava il corpo, la testa, invece, era quella di un lupo. Cominciò ad avere paura, ma non voleva mostrarlo, quindi si diede un certo contegno e, impettendosi, disse rivolta verso di lui con tono di sfida: «per il momento bando alle presentazioni, Signore. Voglio prima sapere come mai mi trovo in una stanza che non è la mia e se è stato lei a portarmici senza il mio consenso!»

«Molto bene signorina, le rispondo subito. Questa non è la sua stanza perché non ci troviamo sul suo mondo e sì, a portarla su Arcadia sono stato io. Abbiamo bisogno di lei per…»

«Cosa! Cosa! Cosa! Non sono sulla terra? Lei è pazzo. E si tolga quella maschera, cosa crede, ho quasi sedici anni sa! Non sono più la ragazzina credulona di una volta. Mi porti subito a casa mia o telefono alla polizia! Non mi crede? Ecco.» Amélie tirò fuori il telefonino dalla tasca dei pantaloni, ma nell’aprirlo si accorse che non c’era campo ed era strano pensò, perché ormai era raro che ci fossero ancora zone non coperte da segnale. Così aveva detto: «Dov’è la porta, Ssignore? Me lo dica, per favore, de-… voglio uscire!»

«Per di qua, prego. Scendi le scale e troverai davanti a te l’uscita.»

L’uomo con la testa di lupo non l’aveva ostacolata, l’essersi mostrata decisa doveva avergli fatto capire che era meglio non scherzasse con lei. Scesa giù di corsa, aperta la porta quello che vide la lasciò senza parole: non era il suo mondo quello, proprio no. Davanti a sé c’era una distesa a perdita d’occhio di sabbia. Un deserto arido la cui fine non si vedeva; ma dove diavolo l’aveva portata? Ora l’avrebbe sentita.

«Passiamo alle presentazioni? Ti va? Dopodiché parleremo del motivo per cui ti trovi su questo mondo.»

L’uomo con la testa di lupo l’aveva seguita e si trovava proprio dietro di lei. Voltatasi di scatto Amélie lo guardò, e non più con quell’aria di sfida, ma con un grosso punto interrogativo stampato sul volto. «Va bene, inizi lei, tanto credo che già sappia chi sono, non è così! O forse mi sbaglio?»

«È così infatti, so tutto di te ed è proprio per questo che ti ho portata qui su Arcadia: il mio mondo ha bisogno del tuo aiuto. Prima di passare al motivo permettimi di presentarmi. Sono Porthos e non ho una maschera… prego, tocca pure.» L’uomo si avvicinò a lei fino a toccargli il naso con il suo e attese. «Su, su, tocca, stringi, pizzica, fa quello che più ti pare, solo così potrai avere la conferma che dico il vero e… Ahi! Non così forte. Però, che modi sono questi. Sei una ragazzina impertinente.»

«L’ha detto lei di farlo.»

«Soddisfatta ora?»

Gli aveva pizzicato il volto con forza per poi prendergli le guance con le dita e le aveva tirate a sé al punto che l’uomo era stato costretto a urlare per il dolore. La testa di lupo era reale, pertanto disse con tono fermo e deciso. «Sono soddisfatta ora! Dice il vero, ma com’è possibile che lei abbia…»

«Le spiegazioni a dopo, dobbiamo andare o faremo tardi all’appuntamento.»

«Quale appuntamento, io non vengo proprio da nessuna parte con lei signore. Mi riporti subito a casa mia, la nonna tra poco tornerà e se non sistemo le cose prima del suo arrivo saranno guai seri per me.»

«Non posso proprio farlo signorina, mi spiace ma dovrà venire con me volente o nolente.»

«La smetta di chiamarmi signorina, sono Amélie. E poi cosa vuol dire che non può: come mi ha portato mi faccia tornare.» Era stufa di essere presa in giro, soprattutto da un essere con la testa da lupo.

«Davvero, proprio non posso farlo da qui. Se vuoi tornare a casa devi venire con me. Il portale per il tuo mondo si trova ad Allibis ed è molto lontana da qui. Dovrai pazientare ancora un po’, ma ti prometto che se mi aiuti ti farò tornare al tuo mondo sana e salva. Ah, a proposito, ti chiamerò per nome solo se farai lo stesso con me, e poi diamoci del tu, dovremo stare insieme ancora un bel po’ noi due e le distanze non agevoleranno il compito che siamo chiamati a svolgere.»

«Come può essere possibile che il portale si trovi da un’altra parte se io sono qui ora! Mi stai mentendo! C’è un portale da qualche parte in quella casa e non vuoi dirmelo per costringermi a seguirti.»

«Sei arrivata attraverso il portale che si trova ad Allibis, la città stato, non mento! Nel momento stesso che lo hai attraversato, la Regina Artemisia ti ha imprigionata. Sono stato io che ti ho salvata portandoti quaggiù al sicuro, almeno, lo sei per ora… i suoi uomini sono già sulle nostre tracce.»

«E perché mai questa Artemisia vorrebbe uccidermi? Cosa le ho mai fatto per arrivare a desiderare la mia morte? Non l’ho mai vista prima e se due più due fa quattro allora questo vuol dire che me lo stai dicendo solo per convincermi a seguirti.»

«No! Ti sbagli, Amélie. La Regina ti conosce benissimo e da tanto anche. Ed è proprio per questo che ti odia, oltre ogni misura… Lascia che mi spieghi meglio. Vedi, il tuo aspetto non è lo stesso che avevi sulla Terra. Non mi credi, vero? Molto bene allora, entra dentro che te lo mostro.»

Se voleva spaventarla c’era riuscito, pensò lei e infatti aveva cominciato a tremare. Non riusciva a credere a quello che le stava dicendo Porthos. Al che si guardò le mani ed erano le sue, non c’erano dubbi. Anche il seno era il suo: non troppo grande non troppo piccolo. Poi si voltò a dare uno sguardo al fondo schiena e alla vista tirò un respiro di sollievo, non era enorme e flaccido come quello della sua amica Juliette e non poteva che essere il suo. Al che rise, ma subito dopo si fece seria e si passò le mani sul volto. Niente, al tatto la pelle era liscia e morbida come la ricordava, era sempre lei. Come erano sue le labbra carnose e le ciglia lunghe da fare invidia. Tuttavia questo non dimostrava nulla, si era detta. Se il suo volto era cambiato non poteva accorgersene toccandoselo, doveva vedere con i propri occhi.

Come Porthos l’accompagnò all’interno della stanza, là dove c’era uno specchio enorme, prima di avvicinarsi a esso si fermò a riflettere: e se lui diceva la verità? E se fosse cambiata per davvero? Non sapeva cosa doveva fare. Nulla si ripromise, almeno per ora doveva stare al gioco, quello era soltanto un brutto sogno e prima o poi si sarebbe svegliata. Convinta che tutto si sarebbe aggiustato, anche se non del tutto, lasciò che le cose seguissero la piega che avevano preso senza interferire. D’altronde che altro poteva fare.

Avvicinatasi all’enorme specchio, quel che vide riflesso la lasciò impietrita. Il volto che ricordava di avere era cambiato, ma la cosa sensazionale è che era bello oltre ogni aspettativa. Lo specchio rifletteva due grandi occhi di un colore viola acceso che a seconda di come la luce li colpiva, passavano al blu intenso. Aveva un naso all’insù, labbra carnose e zigomi perfetti che donavano al suo nuovo volto una bellezza rara. Tuttavia lo sporcavano tre tatuaggi: uno grande sulla fronte e due più piccoli sulle gote: raffiguravano dei serpenti e lei a dire il vero i serpenti li odiava. Però pensò che con quel nuovo look di sicuro ogni ragazzo a scuola le avrebbe fatto la corte e non solo, le ragazze al vederla si sarebbero prostrate riconoscendola come la più bella. Con quel nuovo aspetto le cose sarebbero andate molto meglio a scuola e se la rideva compiaciuta sotto i baffi, incredula.

«Wow! Porthos, sono davvero io quella riflessa allo specchio? Se è un sì quel cenno con la testa allora spiegami che fine ha fatto la mia faccia, perché la rivoglio indietro… come la mia vita. Anche se questo nuovo aspetto mi aiuterebbe molto non mi sentirei a mio agio se lo tenessi. Davvero, è tutto fantastico, ma ora sono stufa. Quindi ti chiedo di vuotare il sacco e dirmi cosa mi sta accadendo… e non tralasciare nemmeno una virgola. Ne ho abbastanza delle tue continue reticenze.»

«Hai ragione! Ma prima dobbiamo andare in un posto, i miei amici non vedono l’ora di vederti. Unitici a loro ti racconterò tutto per filo e per segno.»

«Andiamo? Dove per l’esattezza! Ci troviamo nel bel mezzo del deserto e c’è solo sabbia a perdita d’occhio. E anche se volessimo affrontarlo ti faccio presente che non abbiamo acqua e cibo. Tempo mezza giornata di cammino e cadremmo a terra moribondi.»

«E chi ha detto che dobbiamo camminare? Su, alza la testa. Sì. Alza gli occhi e guarda sopra di te, prego.»

Sopra di lei c’era una nave gigantesca con le vele spiegate e galleggiava placida nell’aria come niente fosse. «Che diavoleria è mai quella? Una nave che vola? Non ci posso credere, davvero, ha dell’incredibile e dimmi, Porthos, come fa a…»

«Tutto a tempo debito. Ora sali, non abbiamo tempo da perdere, i soldati di Artemisia potrebbero arrivare da un momento all’altro. Su, su, sali e non dire più una parola fino a quando non saremo partiti.»

Amèlie non ci aveva fatto caso, ma dietro di lei ora c’’ra una scaletta. Era venuta giù dalla nave e non doveva fare altro che arrampicarsi per salire su. Al che lei lo fece, ma saliti dieci pioli iniziarono le vertigini e si bloccò.

Porthos allora intervenne prontamente. «Non guardare in basso, Amélie, continua a salire, dietro di te ci sono io e nel caso cadessi ti prendo al volo. Altrimenti, se proprio non ce la fai, vengo da te e ti porto io sulle spalle.»

«Non farlo! Se ti avvicini a me ti do una pedata e ti faccio cadere! Salgo da sola, fosse l’ultima cosa che faccio.» Non voleva in alcun modo che Porthos la toccasse. Non si fidava ancora di quell’uomo e, tra un sussulto e l’altro, alla fine arrivò in cima.

Una mano prese la sua con decisione tirandola a bordo.

«Benvenuta sulla regina dei cieli, principessa. Io sono Garom, il capitano di questa splendida nave. Siamo dei mercenari come avrà capito e per noi è un onore averla a bordo. Ci dia un ordine, uno qualsiasi principessa Miryam, e noi lo eseguiremo senza alcuna esitazione, a costo della nostra stessa vita.» Dopodiché il capitano e l’equipaggio levarono il cappello e s’inchinarono in attesa che lei desse loro un ordine.

Non poteva credere a quello che vedeva. Anche il capitano aveva la testa di animale: un leone per l’esattezza. E poi c’era l’equipaggio e vide il maiale, la capra, il cavallo, il toro, il topo e via di seguito. Tutti su quella nave volante avevano la testa con le fattezze di un animale.

Stava sognando, non c’era altra spiegazione e doveva svegliarsi, ma come?

«Le chiedo scusa, capitano, ma vorrei dirle che lei si sta sbagliando, io non sono ciò che…»

«Molto bene, capitano. Spieghi pure le vele, partiamo subito! Destinazione Allibis.» Annunciò Porthos con tono autoritario e poi, avvicinatosi ad Amélie, dopo averla presa da parte sottovoce le disse: «Cosa ti salta in mente, sciocca! Questi filibustieri non devono sapere che tu non sei la Miryam che loro conoscono e amano da sempre e… scusa, aspetta solo un momento, devo mettere in chiaro alcune cose e poi sono da te. Intanto tu datti un certo tono, loro vedono in te una guerriera coraggiosa pertanto tu comportati come se lo fossi. Insomma, fai la dura, cammina con passo deciso e guardali tutti con aria di superiorità. Funzionerà! Per intenderci, basta che ti comporti pari pari a come hai fatto con me quando ci siamo incontrati la prima volta.»

Più facile a dirsi che a farsi. Come poteva una ragazzina di sedici anni mostrarsi forte, pensò lei avvilita. E manco a farlo di proposito, quando uno tra i tanti dell’equipaggio si avvicinò lei indietreggiò intimorita, diversamente da come le aveva consigliato di fare Porthos. Al che si riprese subito e assumendo una posa autoritaria guardò dritto negli occhi l’uomo con la testa di maiale.

Aveva funzionato, l’uomo subito abbassò lo sguardo e disse con un tono sottomesso: «Deve scusare il mio ardire, principessa, ma eravamo preoccupati un po’ tutti per la sua sparizione improvvisa e sa, abbiamo creduto addirittura che fosse morta. Così ora al vederla sana e salva la cosa ci riempie il cuore di gioia.»

Doveva evitare a tutti i costi di farsi trasportare da quella conversazione, però l’uomo con la testa da maiale non mollava. Doveva troncare il discorso, ma prima di dire qualche sciocchezza, visto che lei non sapeva niente sul loro conto e poteva tradirsi facilmente, ponderò bene le parole. «Grazie di esservi preoccupati tutti per la mia salute, però non dovevate, non è ancora nato colui che riuscirà a uccidermi.»

«Ha ragione, principessa, siamo stati degli sciocchi a pensarlo, d’altronde contro una spadaccina imbattibile come lei nessuno potrebbe sperare di farla franca. Scusi ancora. Però, ecco… avevamo una curiosità, dove è stata tutto questo tempo?»

A quella domanda non sapeva proprio come rispondere e rincalzò con un’altra domanda. «Mi farebbe piacere vedere la cabina di comando e la sala macchine, sempre se è possibile.»

«Certamente, principessa. Come le ha detto il capitano ogni suo desiderio è un ordine. La prego, se vuole seguirmi le farò strada.»

Intanto la nave era partita, ma Amélie non si era affacciata, aveva ancora la nausea data dalle vertigini avute mentre saliva. Porthos non si faceva vedere e aveva intenzione di scoprire qualcosa di più sul mezzo di trasporto su cui si trovava. Certo, non avrebbe potuto fare domande specifiche in proposito, la loro Miryam era molto probabile che conoscesse a menadito il funzionamento dell’imbarcazione e se ora avesse detto qualcosa di strano li avrebbe fatti di certo insospettire.

Giunti davanti a una porta, il mercenario l’aprì e Amélie vide che le scale scendevano verso il basso: alla sala macchine, il luogo che più di tutto voleva visitare.

«Principessa le faccio vedere per prima la sala macchine, il comandante si trova alle prese con le carte nautiche per stabilire la rotta ed è meglio non disturbarlo. Se non le dispiace visiteremo dopo la cabina di comando.»

«Affatto, vada per la sala macchine.»

«Prima di scendere giù devo avvisarla che sotto fa molto caldo, se vuole ripensarci io… »

«No! Andiamo pure, sono abituata alle alte temperature. Non è la prima volta che visito una sala macchine.» Amèlie incrociò le dita dietro la schiena mentre diceva la bugia più grossa che fosse mai uscita dalla sua bocca.

«Ho ridetto una sciocchezza, vero principessa? Che stupido sono, ma certo che ci è già stata, se non sbaglio lei era al comando della Ferocity fino a qualche tempo fa. La nave più grande e bella di Allibis. Mi lasci dire che navi come la sua non se ne vedono più in giro… forse quella della Regina Artemisia potrebbe eguagliarla… ma non ne sono tanto sicuro. Comunque, bando alle chiacchiere, da questa parte, prego.»

Arrivati alla sala motori, una vampata di calore avvolse Amèlie lasciandola senza fiato.

La qual cosa non passò inosservata a chi le faceva da guida per cui intervenne. «Cosa le avevo detto. Non ci si abitua mai al calore rilasciato dalla pietra magnetica. Bella vero? Pensi, l’abbiamo trovata proprio da queste parti. Ricordo che levitava a un’altezza inimmaginabile e prenderla non è stato affatto facile per il capitano. Ma come può ben vedere alla fine ci è riuscito. Se non fosse per questa pietra a quest’ora i soldati della Regina ci avrebbero già raggiunto. Questa pietra è unica nel suo genere, principessa, essa ci fa levitare ad altezze che altre pietre simili non riescono a raggiungere. É più unica che rara e ne andiamo tutti orgogliosi.»

Un’enorme pietra, nera come la notte più buia, galleggiava a mezz’aria ancorata allo scafo da quattro enormi catene poste ai lati della nave. Sotto la pietra ardeva un fuoco vivido ed era da esso che emanava quel calore intenso. Alcuni uomini continuavano ad alimentare il fuoco con del carbone per far sì che la magia si avverasse. Più la pietra veniva riscaldata più acquisiva proprietà antigravitazionali. Ed erano tali da far levitare nell’aria la nave ad altezze inimmaginabili. Le vele servivano a darle la spinta necessaria per farla spostare in avanti e dipendeva tutto dal vento.

«Accipicchia, davvero notevole. E ditemi, dove…»

«Scusami, potresti lasciarci soli?» A interrompere la guida era stato Porthos.

«Certo mio Signore, allora vi lascio ai vostri affari. Principessa è stato un piacere.» Il mercenario andò via lasciandoli soli.

«Cosa ti è saltato in mente! Se solo ti fosse uscito qualcosa da quella bocca circa il tuo mondo saremmo finiti nei guai entrambi.

«Non ho detto niente di compromettente. Non sono mica una stupida, io! Tu non venivi e ho chiesto a quel simpatico mercenario di farmi visitare la nave. Tutto qui, non ho fatto nulla di male. Ero solo curiosa.»

«Va bene. Ho capito. Ora chiudi quella bocca e seguimi senza fare tante storie.»

Saliti i gradini che portavano su, Porthos fece entrare Amèlie nella sua cabina. «Adesso siediti e ascolta attentamente, debbo parlarti della Regina Artemisia e di te… Miryam. Si perché ora impersoni lei e lo farai fino a quando non ritornerai nel tuo mondo. Fattene una ragione, è così che andrà. Pertanto, è molto importante che tu ti cali in questa parte se non vuoi morire. Se il capitano e il suo equipaggio scoprissero la tua vera identità, potrebbero pensare che sei una spia mandata da Artemisia e ti faranno fuori. Perché vedi, la vera Miryam è morta! Sì, mia cara, io l’ho tenuta tra le braccia fino a quando non ha espirato l’ultimo respiro. Quindi loro hanno solo te se vogliono tornare a essere liberi. Devi dimenticarti il tuo nome e combattere con loro e me la guerra che sta per iniziare, anche perché solo se la vinceremo potrai tornare a casa tua.»

«Guerra? Ma quale guerra, io non ho intenzione di fare nessuna guerra. Fatevela da soli la vostra stupida guerra. Nel mio mondo non esistono da un bel pezzo e non…»

«Non interrompermi, lasciami finire e capirai. Allora, dove ero rimasto… uhm, ah sì!  Come ti dicevo, solo se vinceremo la guerra che tua sorella Artemisia ha…»

«Cosa, cosa, cosa! Io non ho sorelle. Sono figlia unica e… no! Non dirmi che Miryam e Artemisia lo sono. E se così è allora perché la Regina vuole uccidere sua sorella? Questo è troppo, non voglio averci a che fare. Voglio tor…»

«Ti ho detto di non interrompermi! Capirai tutto a tempo debito. Basta che ascolti quello che ho da dire. Dunque, sì, Artemisia è la sorella di Miryam e quindi anche tua visto che hai l’aspetto di quest’ultima. Se Artemisia vuole ucciderti è perché sei passata dalla nostra parte, tutto qui. Un tempo su Arcadia le nostre razze vivevano pacificamente: quella umana e quella semi-umana, intendo. Ma uno della nostra specie s’innamorò di un’umana, purtroppo e, siccome gli umani non tollerarono quell’unione, in quanto era contro i loro principi morali, iniziò un lungo confronto tra i nostri due mondi. Confronto che portò a un compromesso: i due si sarebbero frequentati e amati, ma non avrebbero mai potuto avere figli. Il vero problema è che gli umani non volevano perdere la loro supremazia su quelli come noi. Perché dall’unione tra una umana e un semi-umano, o viceversa, sarebbe nato sempre e solo un semi-umano. Così il nostro Re, mio padre, rifiutò di assoggettarsi a quella barbarie e la Regina Artemisia, tua sorella, gli dichiarò guerra. Vuoi sapere chi erano i due innamorati in questione, Amélie? Eravamo Io e Miryam, mia cara. Ora ti lascio riflettere su quanto finora ho detto, ma non pensarci troppo, c’è ancora dell’altro che devi sapere per non arrivare a delle conclusioni errate. Però non lo farò adesso, si è fatto tardi e devi riposare. Laggiù c’è un comodo giaciglio dove potrai sdraiati e riposare un po’. Io intanto andrò a parlare con il comandante e poi andrò a riposare anch’io… al primo sorgere del sole passerò a svegliarti.»

«Non sono affatto stanca e non ho sonno! Continua, voglio sapere tutto su voi due.»

«Forse tu non sarai stanca, ma io lo sono e tanto. Dovrai aspettare domani per sentire il resto, comunque non ti parlerò di me e Miryam, intesi?»

«Uffa! E va bene, va pure, però io non dormirò. Non ho sonno!»

«Fa pure come credi, ma domani non lamentarti se poi non ce la farai a seguire il passo. Perché per arrivare ad Allibis ci sarà da fare un bel pezzo di strada a piedi e io non ti porterò di certo sulle spalle.»

Amèlie aveva detto di non essere stanca e di non avere sonno, ma non era affatto vero. Il giaciglio indicato da Porthos era invitante e lei, dopo essersi svestita, ci si buttò sopra con un salto felino. Poi aveva posto le mani dietro la nuca e ora rifletteva su quanto le aveva detto l’uomo con la testa di lupo. Sul fatto che Miryam fosse la sorella di Artemisia lo aveva intuito, ma che lui e Miryam fossero amanti… beh, non l’avrebbe mai detto. E stava per girarsi di fianco quando una luce l’abbagliò… «Ma che succede? Nooooo! Di nuovo?»

Come la prima volta una luce si era palesata davanti a lei, e anche questa volta nel momento in cui si affievolì lei aprì gli occhi e sorpresa, si trovava nella sua stanza sul suo letto. Si girò intorno intontita e vide che c’era l’impianto stereo alla sua destra, il poster del cantante preferito appeso al muro, il teletrasporto a sinistra e, proprio davanti al suo letto, i suoi amici e la nonna che la guardavano con un sorriso grosso quanto una fetta d’anguria.

«Sorpresa! Buon compleanno, Amélie.» Urlarono tutti in coro.

La nonna a questo punto si avvicinò al letto e disse: «Ti è piaciuto il regalo che ti ho fatto? Non te lo aspettavi, vero? Beh, cos’è quella faccia sorpresa, non credevi che proprio io che li odio in modo viscerale ti regalassi il nuovo gioco virtuale 4D della Minsado. Non tenermi sulle spine, su, dimmi, sono curiosa, ti è piaciuto il mio regalo? I tuoi amici non stanno nella pelle per avere le prime impressioni riguardo al gioco. Il gestore del negozio che me l’ha venduto mi ha detto che una volta entrati è difficile distinguere cosa sia reale e cosa non all’interno. Allora, non lasciarmi sulle spine… hai sempre voluto vivere un’avventura e ora che te l’ho servita su un piatto d’argento non dici nemmeno grazie?»

«Un gioco? Tutto quello che ho passato era solo uno stramaledettissimo gioco? No! Non ci credo, nonna. Era tutto così reale che non posso pensare sia possibile che siano arrivati a tanto.»

«Si che lo è, guarda tu stessa. Qui c’è la scatola con le istruzioni e questi che vedi sono gli elettrodi che ho appena staccato dalle tue tempie. Al mio ritorno ti ho trovata che dormivi e ne ho approfittato per applicarli. Ma ora basta, continuerai il gioco dopo, adesso è il momento di tagliare la torta, i tuoi amici sono venuti per questo e non aspettano che di assaggiarla.»