Racconto di Silvana Guarina

(Quarta pubblicazione – 29 gennaio 2021)

 

 

Lo conobbi ad una festa alla quale neanche avrei voluto partecipare ma mio marito aveva tanto insistito che lo accontentai. Era una festa in una villa con uno splendido parco che aveva persino un delizioso laghetto sulle cui rive crescevano salici e canneti. I proprietari erano indiscutibilmente ricchi e potenti. Possedevano infatti alcune aziende in una delle quali mio marito era amministratore delegato quindi accettare quell’invito quella sera era stato pressoché obbligatorio. Indossai un abito elegante e mi rassegnai a trascorrere alcune ore dispensando sorrisi, bevendo champagne e partecipando a futili conversazioni con altre mogli annoiate come me.

Non lo notai subito fra la folla di invitati, mi fu presentato da Marzia, una delle poche amiche che avevo in quel giro. Già, io non appartengo a quel ceto sociale, ci ero capitata solo grazie sposando un uomo che amavo ma di cui non avevo mai condiviso la passione sfrenata per il lavoro e l’arrivismo.

  • Cara, ti posso presentare Ruggero? È nuovo di qui, si è appena trasferito dalla sede di Francoforte.

Un altro dirigente, un altro aspirante alle più alte cariche dell’azienda, un altro arrivista sfrenato. Soffocai un sospiro di noia e gli sorrisi alzando il flute. Non poteva avere più di trentacinque anni, al massimo quaranta; era alto, in perfetta forma ed elegante nel suo smoking come si conviene al genere di invitati per quella occasione. Il viso non era particolarmente bello, solo gli occhi catalizzavano l’attenzione di chi lo guardava: scuri, intelligenti, penetranti. Il suo sguardo vagò sul mio viso e sul mio corpo e mi sembrò che riuscisse a leggermi come fossi un libro aperto. Ne fui turbata pur essendo abituata da tempo agli sguardi lascivi di certi colleghi di mio marito. Qualche parola di circostanza e Marzia ci lasciò soli. Passò un cameriere e ne approfittammo per rifornirci. Lui intanto aveva cominciato a raccontarmi di sé. Come in tante altre occasioni finsi interesse, interrompendo di tanto in tanto il flusso delle sue parole con brevi commenti; all’improvviso mi chiese se mi andava di far quattro passi in giardino. Sbirciai verso mio marito: come sempre era nel bel mezzo di un crocchio di dirigenti a chiacchierare. Avrei giurato stessero tutti parlando di lavoro o delle loro interminabili partite a golf. Quindi perché no? La notte era fresca e mi avrebbe sicuramente giovato per smaltire gli effetti del vino che cominciavano a farsi sentire. Non che fossi ubriaca ma non completamente sobria, diciamo così. Ci ritrovammo in riva al laghetto e fu quasi naturale salire in barca e lasciarsi dondolare dolcemente. Furono i suoi occhi e la sua voce calda e non certo la luna o il luogo romantico a farmi afferrare la sua mano che si protendeva verso di me. Mi attirò a sé e mi lasciai abbracciare. La sua bocca cercò le mie labbra. Mi baciò in modo lento ma profondo e inebriante. Mi sfuggì un sospiro di piacere: troppo tempo era passato da che mio marito era stato così sensuale. Alzai le braccia a circondargli il collo, le dita delle mani immerse nei capelli scuri e morbidi. Il mio cuore batteva a tonfi sordi nel petto mentre le sue mani scivolavano sulla seta del mio vestito per immergersi nella mia scollatura alla scoperta del mio seno e poi sollevare l’orlo per accarezzare la pelle delle mie gambe nude. Per un momento mi persi in visioni di stanze sconosciute e corpi avvinghiati in amplessi passionali, dimentichi di tutto e di tutti. Un improvviso brusco movimento della piccola barca mi riscosse. Mi scostai da lui timorosa non tanto per il rischio di un improvviso bagno nel laghetto, ma per la consapevolezza di quella situazione. Che stavo facendo? Era un bacio appassionato, un bacio a un perfetto sconosciuto: poteva significare nulla come la fine di tutto. Era vero che il mio matrimonio attraversava un periodo di stanchezza e di noia ma il tradimento non sarebbe stato giusto nei confronti dell’uomo che un tempo avevo amato follemente e che, in fondo, amavo ancora. Mi drizzai e saltai sul pontile inseguita dai richiami di quell’uomo che mi aveva tenuto fra le braccia un istante prima. Corsi via. Entrai nel salone e mi avvicinai al crocchio di manager interrompendo il loro eterno parlare di affari.

  • Tesoro – sussurrai – portami a casa. Subito.