Racconto di Morena Martini

(Prima pubblicazione – 15 maggio 2019)

 

Quelle fedi luccicanti non lasciavano dubbi. Eravamo due sposini in luna di miele. Ci sembrava di vivere in un sogno, un mare stupendo i cui colori si fondevano con quelli del cielo, quell’acqua limpida dove i pesci guizzavano allegramente. I nostri corpi accarezzati dal vento su un lettone che ci impediva il contatto con la sabbia bianchissima. Lì il sole picchiava forte. Il tempo di asciugarci e via nella nostra coloratissima suite. Marco, come sempre dolcissimo, mi aveva avvicinato all’orecchio un enorme conchiglia rosa per farmi sentire il rumore del mare. Poi mi sussurrò dolcemente “Ti amo”, tre vocali e due consonanti, bastavano le punte delle dita di una mano per contarle, eppure racchiudevano un mondo magico, un mondo astratto, dove non c’era spazio per nessuna spiegazione logica. Era il nostro mondo. Spesso passeggiavamo mano nella mano, all’interno di quella foresta di mangrovie, eravamo immersi nel verde, le orchidee crescevano spontaneamente sugli alberi, gli scoiattoli saltellavano tra i rami, gli uccellini con il loro cinguettio intonavano melodie dolcissime, le farfalle variopinte volteggiavano nel cielo limpido e noi come due bambini, ci divertivamo ad inseguirle. Quello per noi era il Paradiso ed eravamo felici.

A dieci anni di distanza, i colori del gigantesco sombrero che copriva il ristorante erano un po’ sbiaditi, mentre la natura intorno era rimasta immutata e così il nostro amore. Eravamo innamorati come il primo giorno ma con il passare degli anni una spina dolorosa stava penetrando sempre più nel mio cuore. Avevo un grande desiderio di maternità e quel figlio purtroppo non riuscivamo a concepirlo. Eravamo disposti a qualsiasi sacrificio, sempre nell’etica della nostra Fede Cattolica, ma le risposte non avevano lasciato spazio a speranze: Marco era sterile. Fiumi di lacrime avevano solcato le nostre guance mentre i nostri cuori straziati dal dolore, cercavano consolazione in uno sguardo o in un sorriso. Quante notti insonni avevo trascorso, cercando il sostegno nelle sue mani che trattenevano le mie. Con quella complicità che caratterizzava la nostra unione, finalmente avevamo deciso: avremmo adottato un figlio! Certo dover passare attraverso la burocrazia italiana non era cosa semplice e molti per abbreviare i tempi si rivolgevano altrove. Anche noi eravamo orientati verso un bambino straniero. Comunque grazie alla nostra giovane età avremmo potuto aspirare anche ad un bambino al disotto di un anno. Per questo eravamo ritornati lì in quel paradiso dove la natura accanto a fiori e piante dai bellissimi colori ha creato dei bimbi con quei grandi occhi scuri che ti conquistano al primo sguardo.

Purtroppo non avrei mai visto crescere la mia pancia, sentire i suoi movimenti, vedere le sue tenere manine muoversi durante l’ecografia, non avrei bevuto la cioccolata calda per svegliarlo durante il monitoraggio, non avrei urlato di dolore al momento del parto, non avrei provato la gioia di attaccarlo al mio seno. Mamma, papà, nonna dal punto di vista grammaticale sono nomi comuni di persona, ma dal punto di vista affettivo il bene di una mamma, di un babbo o addirittura dei nonni nei confronti di un figlio o nipote è infinito. È nei loro cuori che cresce un sentimento che si chiama Amore. Noi avevamo solo una certezza l’avremmo ricoperto di baci e carezze, di tanto affetto. Questo bimbo o bimba, non avevamo preferenze, ci avrebbe chiamato mamma e papà per tutta la vita. Intanto eravamo lì davanti a quel cancelletto, emozionati ed impazienti. Ad un tratto un pianto straziante penetrò nelle nostre orecchie arrivando fino al cervello. Il pianto di un neonato che ha fame ti graffia l’anima, ti strazia il cuore. Saresti disposto a tutto pur di farlo tacere. Invece improvvisamente un altro lamento simile si sovrappose al primo.

Avanzavamo quasi in punta di piedi in quel corridoio dalle ampie vetrate celate da tendine colorate. La suora che ci accompagnava, in perfetto italiano, fece il punto della situazione. Si chiamavano Pietro e Luca i due gemellini rimasti orfani a poche ore dalla nascita, la loro mamma era volata in cielo, per complicazioni successive al parto. Erano intolleranti al lattosio e stavano provando ad alimentarli con latte d’asina che a loro non piaceva. Noi non li avevamo ancora visti, era bastato un solo sguardo tra noi e la decisone era stata presa. Avremmo adottato i due gemelli. I nostri occhi brillavano di gioia, forse anche di commozione, eravamo veramente felici. Suor Emma aprì la porta e una lunga fila di lettini si presentò davanti a noi. Erano tutti molto piccoli, definirli belli era riduttivo, erano una gioia per i nostri occhi, di una tenerezza unica. Senza esitare presi in braccio Pietro, mentre Marco sollevò Luca. Quelle immagini sembravano dipinte con un inchiostro indelebile nei nostri cuori, niente e nessuno avrebbe potuto cancellarle. La prima cosa che mi colpì fu l’odore, infatti la loro pelle profumava di biscotto. Incredibilmente i due gemellini, tra le nostre braccia, smisero di piangere immediatamente. Mi sembravano così fragili, avevo quasi paura di fargli male, di non essere capace a tenerli in braccio. Pietro, invece, con quella manina dal dorso ricoperto di peli, afferrò il mio dito indice e lo strinse con tutta la sua forza. Quello fu il nostro primo contatto fisico. Sicuramente da quella stretta Pietro non poteva ricevere il mio DNA, ma la mia gioia, la felicità, l’immenso amore che fuoriuscivano da ogni poro della mia pelle, erano giunti fino al suo cuore e sereno si era addormentato. Credo che al mondo non vi sia immagine più bella di quella di un bimbo che dorme. Lo adagiai lentamente nel suo lettino, lasciando per qualche minuto il mio braccio sotto la sua testolina, per rassicurarlo. Nel frattempo anche Luca dormiva profondamente. Avrei voluto ricoprirli di baci, mi trattenni solo per timore di svegliarli.

Eravamo così emozionati che con Marco non ci eravamo scambiati nemmeno una parola, ci stavamo avvicinando quando suor Emma con la faccia triste ci disse: -Non ho il coraggio di dirvelo…- Mio marito mi strinse talmente forte la mano che mi fece male. Il nostro sorriso svanì, il volto si incupì e una fitta di dolore attraversò il nostro cuore. Tutti i nostri sogni in un attimo svaniti nel nulla. –Dovete perdonarmi -aggiunse la religiosa –purtroppo devo confessarvi una cosa riguardante i gemelli che forse vi farà cambiare idea. – I nostri cuori stavano per esplodere. La felicità ci aveva sfiorato e poi… Accetterò la vostra decisione. – Con un filo di voce precisò la suora. –La verità è che oltre a Pietro e Luca, c’è anche Laura che e in incubatrice perché sottopeso e ha un lieve problemino respiratorio. – Cercai gli occhi di Marco per capire dal suo sguardo la sua decisione. Come i miei erano pieni di lacrime che in un attimo si trasformarono in lacrime di gioia. Nel nostro immenso amore c’era posto anche per Laura.