Racconto di Michele Morrone
(Terza pubblicazione)
Emettendo tiepidamente suoni dal sax, il padre di Mario sentì trillare il telefono di casa, mentre dall’altra parte nella cucina filava la madre che attenta e concentrata lavorava a una collana di fili d’oro. Si sentiva che l’ambiente era stato areato e profumato, e che l’atmosfera psicologica era una fusione totale con l’agglomerato ricamo d’una concentrazione che andava al di là del campo sonoro, dove si stendevano filacciosi i nervi rilassati d’una coppia che niente aveva a che fare con la cultura orientale zen.
– Pronto?! – Non per questo un tiretto lasciato aperto poteva causare all’interno delle scatole craniche acuti graffi sonori e stiamoci zitti che è meglio, succhiandosi il puntino di sangue dal dito. Ci voleva molto di più, per disattendere la notevole presenza artigiana applicata di raffinata capacità e bravura con quella calma talentuosa espressa con il massimo del diniego introspettivo. Palesata intelligenza. Umiltà e orgoglio mischiati alla presunzione di essere genitori di tre straordinari figli. Figli e n’drocchia. Figli dell’inestimabile araldica. Nostri! Guai a chi ce li tocca.
– Ciao Emilio – L’amore di due persone che hanno soppesato l’anima dell’altro e ritenuto idonea la fusione eterna, l’uno con l’altra. Una mostruosità di accortezze e di lusinghe per alimentare la fiamma, mantenendo stabile e unito il loro stare sempre insieme, facendo sacrifici in modo da poter diffondere serenità e sicurezza ai figli. E anche con un po’ di egoismo, godersi le carezze che non di rado si davano, non solo quando esigevano di stare soli. Soli con la loro felicità. Felicità variegata. Corrosiva bontà nell’amare i propri figli, non come fallimento, ma come giusto riconoscimento sponsorizzato dal voler a tutti i costi trasmettere quel quid in più, che permette di non trovarsi soltanto travolti da episodi, “al quanto sconvolgenti”, con picchi di seri scompensi cerebrali, come quando Mario responsabile fu della morte di un signore che passava sulle strisce pedonali. Mario andava con il motorino a 90 all’ora, prendendolo in pieno e in fine uccidendolo sul colpo. Ma anche poi dedicarsi con estrema cautela alla ripresa, facendo fare passi da giganti, non è cosa così semplice.
– E’ successo qualcosa? – Forse qualche sguardo estorto a mo’ di fiducia coagulata. Gli unici risultati, ottenuti i primi periodi di interazione protettiva, erano quelli di una chiara ed evidente recidiva provocazione indotta. Alterata la conduttura del trasporto comunicativo ci si improvvisava con atteggiamenti allusivi, come se stessero comunicandosi qualcosa attraverso l’uso della radio, ma non con le parole ma con i gesti, e che non potevano vedere. O rimanere tristi e affranti davanti a un televisore spento e specchiarsi dentro il buio dello schermo facendo minacciose boccacce. Per non incappare nel temperamento del pensiero meccanico, andato in loop, corrotto, usurato, mescolavano le proprie vite scambiandosele, determinanti al destino di ognuno di loro, ma esclusivamente e unicamente vedere il destino di Mario, ergersi rinforzato e prendersi la rivincita con i suoi simili. A che servono sennò i genitori? A questo! Rinforzare i figli. – O Sant’Iddio! – Renderli autonomi e affidargli la sacra responsabilità di loro stessi. Magari non mortificarli con l’inezia. Semmai insegnargli a rubare il prossimo con gli occhi. Per trovare la giusta forza metafisica, non servono punizioni e rimproveri sulla questione rieducativa ma una totale ed estrema fiducia barattata con banconote di una certa consistenza e procedere in questa preferenza. Questa è la via della guarigione! Dare autonomie e indipendenze ai propri figli. Dargli l’agio e distruggergli le insicurezze. Catapultarli nel subitaneo mondo degli adulti e ridurre ai minimi termini i corroboranti sensi di colpa, che possono svilupparsi come un tumore e fottere per sempre l’individuo.
– Ha chiamato Emilio! Siamo diventati nonni di due straordinari gemelli. Sette chili e sei. Tre chili e otto ognuno.
– Aglià! Tiuù. Mannaggia, mi sono punta. Non ho capito bene, – tutta commossa.
– Sei diventata la donna più bella del mondo. Nonna di due gemelli. Belli come la luce. – Ti sposerei pure in paradiso –. (Si Abbracciarono) Si Abbracciarono! – Madonna è quanto sei bella! – Si tenevano le facce con le mani e si diedero un bacio, labbra e labbra con gli occhi aperti.
– Scendo giù. Metto in moto la macchina.
– Dammi cinque minuti e ti raggiungo.
– Ti aspetto. (Urlandole per le scale).
– Arrivo…
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