Racconto di Monica Cerullo

(prima pubblicazione – 24 agosto 2020)

 

 

È il momento giusto. So che forse me ne pentirò, ma adesso non posso tornare indietro, letteralmente. Sollevo il cappuccio, do una veloce occhiata alle mie spalle e dopo aver camminato a testa bassa rapidamente, inizio a correre come non ho mai fatto. L’adrenalina scorre talmente forte che penso di aver bruciato già tre chilometri in pochi secondi. Mi lascio il caos, le urla, il buio, qualunque cosa. Me le scrollo di dosso e guardo avanti. Sfreccio nei vicoli e tra le auto parcheggiate alla velocità della luce. Solo quando sento il cuore scoppiare, mi costringo a prendermi una pausa. Mi addentro in una villetta desolata a quest’ora di sera. La percorro tutta e raggiungo l’altra uscita. Ho i minuti contati prima che qualcuno si accorga della mia assenza e venga a cercarmi.
Svolto in via Claudio Miccoli e cerco il numero civico 123. Quando lo trovo, busso al nome giusto. Devo attendere un po’ perché la persona che mi interessa si affacci dalla finestra. Ci fissiamo a lungo.
<<Chi si’?>>
<<Mi manda Aniello>>, dico con affanno. A quelle tre parole, l’uomo rientra per poi far scattare la serratura del grande portone di legno che ho difronte, spingo e avanzo con circospetto e tiro un sospiro appena lo chiudo. Vedo venire verso di me il tipo calvo di poco fa. Ha un’andatura sicura e continua a scrutarmi. Non lo biasimo, onestamente. È poco più basso di me, una stazza notevole, uno spesso strato di barba scura che gli copre buona parte del viso paffuto. Incrocia le braccia al petto e mi studia da capo a piede con le sue iridi castane.
<<Ca’ te serve?>>
<<Una macchina. Aniello ha detto che tu mi avresti aiutato>> annuisce e poi mi invita a seguirlo con un cenno della testa. Mi porta sul retro del palazzo e da lì si accede a un’officina. Scorgo diverse auto, alcune in fase di riparazione, altre già pronte. Almeno credo.
<<Non m’ha mai mannat nisciun, Aniello. Chest significa ca’ mi pozz fidà. Comm’e fatto a sci’?>> si gira a guardarmi.
<<C’è stata un’altra rivolta. Loro stanno facendo ancora o’ burdell e io ce l’ho fatta a uscire, ppe o’ mument>>.
<<Ca’ aie fatto, uaglió?>> Rivivo come un flash gli attimi di quella sera di due anni fa.
<<Ho difeso la ragazza mia dall’ex. A lui avrebbero dovuto dare le misure cautelari per ciò che le ha fatto e, forse, mo’ non stava sotto terra>>. Il ricordo delle sue lacrime, di quegli occhi verdi terrorizzati, la voce che tremava, le labbra gonfie e sporche di sangue. I vestiti strappati. Sfido chiunque a vedere la propria donna in queste condizioni e non reagire, o farlo con lucidità. Perché sì, se mi fossi fermato a due pugni e un paio di calci prima, non lo avrei ucciso, probabilmente, e sarei stato accanto a Nina. Invece sono stato sbattuto immediatamente dietro le sbarre e con l’ordine restrittivo di non poterla vedere, né sentire. I suoi genitori hanno voluto questo.
Già in passato mi consideravano una testa calda. Si sono basati sul mio aspetto estetico, dipingendomi come un ragazzo problematico, aggressivo, ribelle. Alcuni tatuaggi sulla pelle, due piercing, capelli neri lunghi quasi sulle spalle, la moto, sono stati sufficienti per catalogarmi come l’ultimo esemplare utile sulla Terra. Erano snob, altezzosi. L’avevo capito all’istante. Entrambi docenti universitari e benestanti. Ma lei no. Nina non si è mai fermata all’apparenza. Ha guardato oltre.
Ci siamo conosciuti all’università. Lei era più avanti di me, pur essendo più giovane di due anni. Io avevo sprecato un sacco di tempo senza far nulla, a fronte della perdita dei miei genitori, avvenuta un mese dopo il diploma di maturità. Ci fu mio nonno paterno a farmi da balia e a lui, a seguito di piccole cazzate, promisi di rimettermi in carreggiata. Ripresi a studiare iscrivendomi alla facoltà di scienze della comunicazione.
In un giorno di ottobre, il mio sguardo si incrociò con quello di Giovanna Gentile. Sedeva due file oltre la mia, io ovviamente prediligevo gli ultimi banchi. Stava parlando con un’amica nell’attesa che rientrasse il docente, si voltò e fermò le sue iridi chiare su di me. Le rivolsi un sorriso malizioso e ammiccai, guadagnandomi il sorriso più dolce che avessi mai visto e ricevuto in tutta la mia vita. Rimasi basito, perché solitamente le ragazze o mi mandavano a quel paese o si scioglievano completamente.
Dal giorno successivo, Nina si insinuò dentro di me con una delicatezza infinita. Abbiamo passato mattine e pomeriggi a studiare, anche se ci interrompevamo spesso per fare altro. Abbiamo superato gli stessi esami. Lentamente ha preso il mio cuore e l’ha fatto suo. Ci siamo innamorati, nonostante la negazione della sua famiglia, la quale ignorava il tradimento e la violenza dell’ex. Solo perché lui vestiva bene, aveva un viso pulito, apparentemente, e conosceva i suoi genitori. Quando si dice “l’abito non fa il monaco”. Io la amavo veramente. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei.
Poco prima di essere recluso, le era stato diagnosticato il cancro. Quel bastardo aveva scelto la persona sbagliata. Se avessi potuto, l’avrei trasferito a me stesso. Ma Nina era forte, coraggiosa, una guerriera. Stava combattendo il mostro.
Poi, io sono finito a Poggioreale e non l’ho più vista. Ho chiesto a mio nonno di tenermi informato sulla sua salute. Ed è questa la ragione che mi ha fatto evadere.

<<Che intenzioni tieni?>>
<<È malata. Mi hanno detto che è peggiorata, ultimamente. La devo vedere con i miei occhi>>.
<<E pensi di presentarti accussì?>>
Guardo l’abbigliamento e verifico che, in effetti, non ho una buona presenza. <<Queste sono le chiavi della Lancia y nera ma primm, vien cu’ mme! >>. Salvo mi porta a casa, mi spiega che vive con sua madre, vedova da sei anni. <<C’ha sessantasette anni. Sta già dormendo>> annuisco pensando con nostalgia a mia nonna Teresa, con qualche anno in più, allettata. Pure lei non vedo da tempo. Quando ho deciso di scappare, non ho preso in considerazione, nemmeno per un attimo, l’idea di recarmi da mio nonno. Lo avrei messo nei casini, e poi quello sarà il primo posto dove mi verranno a cercare. Accetto di indossare un nuovo maglione grigio con il cappuccio e dei jeans.
<<Fa’chello ca fa’, ma muovt>> mi dice porgendomi anche un cellulare. <<Chist é o nummer mij. Famme sapé aro’ pozz truvà a machin e statt accort!>> mi dà una pacca sulla spalla. Io inspiro, ricambio il gesto e me ne vado. Salgo a bordo dell’auto e mi immetto sulla strada con un occhio che punta davanti e uno allo specchietto retrovisore. Guido velocemente per raggiungere il Vomero e casa di Nina con il cuore in gola. Parcheggio la Lancia a qualche metro di distanza, sollevo il cappuccio e scendo. A passo felpato e con la testa china costeggio alcuni palazzi, un signore di mezz’età mi passa accanto con il cane al guinzaglio. Svolto subito a destra e intraprendo lo stretto viale di un condominio. Lo percorro fino in fondo, svolto nuovamente a destra guardandomi intorno furtivamente, impiego pochi secondi per capire come muovermi. Per ora non mi ha visto nessuno, sicuramente gioca a mio favore il fatto che siano quasi le undici di sera di un giorno infrasettimanale nel mese di marzo. Questo lato dell’edificio è completamente scuro. Meglio di così non potrebbe essere. Al pianoterra è tutto chiuso. Mi arrampico sul balcone adoperando il massimo delle mie forze ma non è qui che devo arrivare. Verifico l’efficacia del tubo che corre lungo il muro; è fissato saldamente, quindi, mi aiuto con esso per salire al piano superiore. Raggiungo l’altro balcone e lo scavalco. Posso tirare un sospiro. La tapparella è sollevata e la tenda davanti nasconde metà della stanza. Si vede la luce del televisore. Mi avvicino alla portafinestra, e da qui posso scorgere la sua sagoma. È a letto, stesa su un fianco, sotto il piumone, ma non sta dormendo. Mi tremano le mani e il cuore mi batte forte. Busso piano per non spaventarla e immediatamente rivolge quelle iridi meravigliose verso l’esterno. Sbatte le palpebre più volte, scosta le coperte e si accinge a scendere. Pensavo di essere pronto, ma mi sbagliavo. Cammina debolmente e si ferma a un passo da me. Apre la finestra e spalanca gli occhi.
<<Ho di nuovo le allucinazioni>> sussurra e allunga una mano per toccare il mio viso.
<<Non hai le allucinazioni. Sono io, piccola>> prendo le sue mani tra le mie e le bacio. Sono diverse. È dimagrita tanto, è pallida, la vestaglia rosa sembra enorme addosso a lei. Dio, quanto mi è mancata!
<<Stef? Non ci sto capendo niente. Non so se sto sognando, se…>>. Mi accorgo del panico nella sua voce e degli occhi che stanno per diventare lucidi.
<<Nina, sono io e sono qui. Ma non lo sarò per molto>>
<<Oddio! Mi dispiace, amore mio! Mi dispiace!>> si dispera, io la stringo a me.
<<Sh! Non piangere, ti prego!>> Mi uccidono queste lacrime e i singhiozzi. Provo a calmarla accarezzando la sua schiena, le spalle e salgo sul collo.
<<È tutta colpa mia! Scusami, Stef! Non ho saputo tirarti fuori da lì>>
<<Non è colpa tua. Tu non hai fatto nulla>> si stacca e mi guarda.
<<Sì, invece! Se non ti avessi mai conosciuto, tu non saresti finito in prigione, perché non avresti mai incontrato Antonio>> replica con tono sommesso asciugando le lacrime con le mani.
<<Conoscerti è stata la miglior cosa che potesse capitarmi, Nina. Ho commesso un solo errore. Non ho saputo tenerti con me>> tira su col naso per via delle lacrime infinite.
<<Come stai, piccola?>> le sollevo il mento con le dita per incrociare i nostri sguardi.
<<Sto da schifo, non mi vedi?>> scrolla le spalle e si distanzia per raggiungere il letto. Chiudo la finestra ed entro. La fermo per il polso.
<<Sei bellissima>>, si volta a guardarmi scuotendo la testa.
<<Non è vero. Non ho più i miei capelli, ho questa bandana per coprire quei quattro ciuffi che mi sono rimasti>> tocca la stoffa con palese disgusto e va a sedersi sul letto. Lo faccio anche io prendendo una mano intrecciandola alla mia.
<<Cosa dicono i medici?>>
<<Non lo so>>
<<Che significa che non lo sai? Come sono gli ultimi esami?>> non mi risponde subito. <<Nina, che stai combinando?>>
<<Niente. Non sto combinando proprio niente!>> si altera e si alza.
<<Non ti stai curando? Quando hai fatto l’ultima chemio?>>
<<Sarei dovuta andare tre mesi fa>>
<<Ti sei rifiutata di farla?>> mi alzo per fronteggiarla. La faccio voltare e intanto cerco di mantenere la calma, ma sto bruciando dalla rabbia.
<<Che senso aveva? Mi faceva solo stare di merda!>>
<<Ti stai punendo, non è così, Nina? Ti senti in colpa perché io sono in carcere e preferisci lasciarti morire! Dov’è la donna che combatte? Quella che conosco io?>>
<<Non c’è più. Non ho motivo di lottare se non posso stare con te!>>
<<Hai idea di quello che ho rischiato per venire qui? Potevano bloccarmi con un proiettile alla schiena o da un’altra parte! Potevano arrestarmi immediatamente! E per cosa? Per vedere la donna che amo lasciarsi andare. Pensi che sia facile per me stare dietro le sbarre, lontano da te? No! Non lo è, cazzo! Preferirei starti vicino, ma non posso, perché ho fatto una cazzata!>>
<<Non abbiamo un futuro io e te! Odio tutti. I dottori. I miei genitori. Odio persino me stessa!>> prendo il suo esile viso tra le mani e la bacio. Le mie lacrime si mescolano alle sue. La lingua si ricongiunge con la sua per un breve istante.
<<Non farlo, piccola. Non ti arrendere. Ricordi la promessa? “O insieme o niente”. Troveremo una soluzione>>
<<Non esiste>> bisbiglia.
<<Convinci i tuoi a togliere l’ordine restrittivo. Verrai a trovarmi quando potrai. Torna a fare le chemio, ti prego. Lotta, Nina. Fallo per noi. È difficile, lo so bene. Ti amo, ma sappi che se muori, io ti seguo!>> scuote la testa. <<Non sto scherzando>> insisto.
<<Ti amo anche io, Stef>>, si alza sulle punte dei piedi e mi morde il labbro tastando con le dita ogni centimetro del mio volto.
<<Dimostramelo, amore mio>> annuisce lentamente. <<Me lo prometti?>>
<<Sì>> la abbraccio e vorrei non finisse mai questo momento.
<<Porti ancora la collana che ti ho regalato?>> Sposta il colletto della camicia da notte e solleva il ciondolo a forma di cuore. Sulla superficie è incisa la nostra frase.
<<Non la tolgo mai>>.
<<Me lo fai un sorriso?>> le nasce spontaneo, seppur tra le lacrime. Gliene dono uno anche io. <<Mi fido di te>>.
<<Nina? Sei al telefono?>> la voce di sua madre giunge al di là della porta chiusa.
<<Sì, mamma, ma ora dormo. Buona notte>>
<<Buona notte, tesoro>>. Nina e io ci fissiamo. Accosto le nostre fronti inspirando l’odore della sua pelle per imprimerlo nella mia testa.
<<Cosa farai adesso?>> mormora.
<<Mio nonno mi ha riferito che stavi peggiorando. Non ho avuto il permesso di incontrarti e io dovevo vederti. Sono evaso ma ora faccio la cosa giusta>>
<<Torni dentro?>> mi chiede chiudendo gli occhi. Annuisco.
<<E non sentirti in colpa. Mai! Hai capito?>> fa un cenno di assenso.
<<Ti amo, piccola!>> assaporo di nuovo le sue labbra, le schiudo e intensifico il bacio, certo che non mi ricapiterà tanto presto. La stringo a me un’ultima volta.
<<Sta’ attento>>. La lascio ed esco da dove sono venuto.

4 anni dopo

Oggi sarà l’ultimo giorno che trascorrerò in questa struttura. Una comunità che accoglie detenuti ed ex detenuti con lo scopo di reintegrare la persona nella società seguendo un percorso complesso ma efficace. Qui mi hanno dato modo di rimettermi sulla retta via, per merito degli educatori, assistenti sociali, psicologi, i quali, attraverso i vari progetti stabiliti, mi hanno trasformato in un uomo migliore. Dopo un lasso di tempo notevole e sedute intense di psicoterapia, mi sono pentito della brutale violenza con la quale ho vendicato le molestie subite dalla mia donna. La violenza non genera mai nulla di buono, anche se in quel momento pensi di avere ragione.
Mi sono reso disponibile con chi era più in difficoltà, mi sono sporcato le mani lavorando in un pezzo di terra, osservando il frutto della mia fatica, ho scoperto altre capacità che non sapevo di possedere. Sembra assurdo, eppure ho stretto amicizia qui dentro. Ma, soprattutto, mi ha restituito l’amore. Ho rivisto mio nonno. Ho parlato con mia nonna, purtroppo sempre più debole.
Ho riabbracciato Nina appena l’ordine restrittivo è stato annullato. Il “bastardo” se ne è andato, ha capito che con lei era una sfida persa e ora è ancor più bella di prima e in piene forze. I suoi genitori continuano a non appoggiare la nostra storia ma alla mia fidanzata non importa. Per me contano soltanto lei e i suoi desideri. È pensando al nostro futuro che mi sono impegnato al massimo, esattamente come ha fatto lei. E posso dire che ce l’abbiamo fatta. Da domani inizierò a lavorare come tecnico della pubblicità e lo farò con Nina. L’anno scorso ha inaugurato uno studio, al conseguimento della laurea. Ero talmente fiero che ho pianto davanti a lei come un deficiente, quando si è recata subito qui con ancora la corona d’alloro poggiata su quel caschetto castano alla moda.
Abbiamo anche trovato casa. Finalmente la nostra vita potrà ricominciare.

Finisco di radunare le mie ultime cose e, nell’attimo in cui chiudo la cerniera del borsone, entra Giacomo nella stanza.
<<Allora, Stefano, sei pronto?>> mi metto dritto e annuisco.
<<Sì. Sono pronto>>. Lo stimo molto. È uno degli operatori che più mi ha tenuto d’occhio, mi ha formato e fatto accrescere autostima. Ha quarant’anni, nove più di me, ed è un uomo in gamba.
<<Giù c’è una persona che ti aspetta. Una bella donna, alta, mora, affascinante, ti ricorda qualcuno in particolare?>> gli rivolgo un sorriso beffardo.
<<Penso proprio di sì!>>
<<Andiamo! Sei stato già troppo qui!>> mi avvicino e lui mi dà una pacca sulla spalla. <<Ti vengo a trovare, lo sai?>> È sia un avvertimento sia una promessa.
<<Certo!>>
<<E mi aspetto l’invito al matrimonio!>>
<<Ci puoi scommettere!>>. Scendiamo le scale dell’edificio e arrivo al pianoterra. Saluto con affetto chi incontro lungo il tragitto. E lì, ferma nell’atrio della sala ricevimento, scorgo la sua figura. È il mio raggio di sole. Sono trascorsi un po’ di giorni dall’ultima volta che ci siamo visti. La raggiungo in fretta, lascio cadere il borsone e stringo il suo bellissimo volto tra le mani e la bacio. Quando sorride, capisco che andrà tutto bene e, stavolta, farò il possibile per tenerla al mio fianco.
Mi stacco un secondo per permetterle di respirare. <<Ti amo da morire!>>
<<Lo so. Anche io, amore mio!>>.