Racconto di Silvana Maroni

(Settima pubblicazione – 23 aprile 2021)

 

 

 

Mi sembra ieri. Correvamo veloci verso il futuro, sicure di possedere la formula magica della felicità, quella che non arretra davanti a nulla, che scavalca le montagne e attraversa gli oceani. Avevamo sedici anni: un’età in cui ti senti padrona del mondo e le tante possibilità che ti si schiudono davanti agli occhi e nei meandri variopinti della fantasia sembrano tutte possibili, tutte realizzabili.

I sogni diventano realtà e la realtà ha il sapore dei sogni più belli.

C’intendevamo con uno sguardo e tutte e due provavamo a rincorrere amori irrealizzabili, lungo il declivio delle dolci colline del percorso umano nel mondo, con gli occhi di chi non conosce il male, di chi pensa che la crudeltà e le miserie umane non esistano e che la vita sia una lunga favola a lieto fine.

Certo, poi la vita ti presenta il conto, e con gli anni cala il sipario sulle favole e i sogni sforano nel mondo degli incubi.

Non sempre però, i miei sogni ad esempio, da voli liberi e spensierati si sono trasfigurati nei ritmi ossessivi delle giungle urbane, delle metropolitane affollate, degli amori monotoni e ripetitivi come i tapis roulant dei centri commerciali.

Per Paola no, le cose erano andate diversamente. Lei aveva continuato a credere che la realtà potesse corrispondere alle aspettative più alte, lei aveva sempre puntato direttamente alle stelle senza passare per la Luna.

Pensava di cambiare il mondo attraverso i gesti, la gentilezza, lo studio. Credeva nel potere della cultura e della bellezza, che aveva completamente incorporato anche nella sua carne.

Era bella Paola, come solo certe donne intelligenti sanno essere.

Intelligenti, ironiche e sognatrici, nonostante tutto, nonostante le avversità, nonostante la vita.

Era bella come la gioventù e la spensieratezza dei sedici anni, a cui sembrava essere rimasta.

“Sai Marina” mi diceva qualche annetto fa, quando la patina del tempo iniziava a sfiorarla posandosi sulla sua pelle ambrata e luminosa, e la gravità, impietosa, cominciava ad infierire senza riguardi sulle rotondità dei suoi magnifici seni. Io credo che avrò sempre sedici anni, l’età anagrafica è un dato aleatorio, non è costante, passa e cambia continuamente. L’età della mente resta la stessa a meno che non si cominci rinunciare a qualcosa. Puoi avere ottanta rivoluzioni terrestri sul groppone ma restare una bambina se riesci a tenere acceso un fuoco, se hai ancora obiettivi da realizzare.” Io pensavo alle mie quarantaquattro rivoluzioni e alla cenere dei miei sogni infranti, ma l’ammiravo, come si ammira una dea, una donna angelo, come forse doveva fare Dante con la sua irraggiungibile Beatrice.

Ho pensato anche di avere un trasporto particolare verso di lei, verso quella carnalità esuberante, esibita senza vergogna, ma ora so che era soltanto ammirazione, forse condita con una punta di invidia ma nulla di morboso. Lei era la personificazione della mia giovinezza finita troppo presto, scontratasi con la realtà della solitudine e delle bollette da pagare.

Per questo provo rabbia, una rabbia sorda, impotente.

Come poteva essere successo proprio a lei? Non ad una sprovveduta, non ad una donna pavida e sottomessa ma ad una valchiria coraggiosa e forte. Bella come l’aurora boreale. Me lo raccontò proprio lei che gli antichi popoli nordici credevano che le “luci del nord” fossero il riflesso degli scudi delle giovani e coraggiose guerriere che cavalcavano nella notte indecisa di quelle latitudini.

È successo che un orco travestito da Principe si è frapposto nel suo cammino di donna libera promettendole un Paradiso divenuto subito una bolgia infernale, un orco che ha fatto scempio delle sue carni. Un demone che sosteneva di amarla.

Non la dimenticherò mai e continuo a pensare all’inaudita violenza del mostro che ne ha troncato il respiro, che ne ha spezzato le ali coraggiose, una violenza a cui Paola, donna forte e indipendente, aveva cercato di opporsi con tutte le sue forze, senza riuscirci.

Ora, a distanza di anni, ancora la sogno ogni notte e piango per la sua giovinezza mai finita, e per la mia, a cui ho rinunciato troppo presto.