Racconto di Daniele Cretaro

(Seconda pubblicazione – 28 febbraio 2019)

 

Incrocio stradale, mentre torni a casa, dopo un venerdì notte in cui avresti voluto solo restare a guardare, magari un punto fisso, magari altrove, ed invece hai provato a svolgere il tuo dovere. Aspetti che la macchina davanti a te svolti verso la propria giornata, avanzi, guardi a destra, prima di svoltare a sinistra, e fai caso ad un uomo che cerca di spingere la sua monovolume oltre il dislivello. Ti dai cinque secondi per pensare che, di scendere ed aiutarlo, proprio non hai nessuna voglia, che la tua infiammazione cervicale non potrà non risentirne, che vorresti già stare a letto, ma anche che quell’uomo non verrà aiutato da nessun altro. Così scendi che i secondi passati sono due, spingi insieme allo sconosciuto per circa cento metri, lui ti ringrazia, con parole che dimentico dopo aver fatto un metro; torni indietro, più morto che vivo, pensando che hai compiuto uno sforzo evitabile per una persona che probabilmente non vedrai mai più. Ti siedi, riparti, e durante tutto il tragitto, con la voce di Ferretti che parla di affanno continuo, di radio accese, pensi a quante cose hai provato a fare per gente che conoscevi eccome, e che non hai visto più… Poi pensi a quante volte non sei stato tu, pronto, a recepire il “fare” di una persona, nei tuoi confronti. Attimi di confusione. Allora è chiaro, che lo step successivo, è quello di pensare che la differenza non la fa la persona che hai di fronte, ma te stesso. Ruota sempre, tutto, intorno al modo in cui decidi di porti, dinanzi ad una determinata situazione, di fronte ad un qualsiasi individuo. Ti rendi conto che, mentre hai scoperto l’acqua calda attraverso determinati pensieri, sei nel parcheggio di casa tua, senza averci fatto caso poi molto; spegni lo stereo, scendi, entri, vedi la tazza comprata qualche giorno prima, non per te, nonostante rappresenti forse il tuo gruppo preferito, nella credenza; senza nessun nesso apparentemente logico, decidi che è ora di scartarla, perché ormai è tua, come quando trovi un cucciolo abbandonato, e non riesci a restare indifferente. Così la disinfetti, mentre fai bollire l’acqua per il tuo the, la riempi, inizi a bere, ti scotti la lingua, cerchi di bestemmiare ma non ti va, ti rendi conto che hai bisogno di dormire ma non sei sicuro che ci riuscirai. Butti le due dita di the rimaste nella tazza, nel lavello, vai in camera; la tua gatta è lì, felice di vederti, tra fusa e miagolii vari. Pensi che vorresti che fossero tutti come lei, pronta a dimostrarti tutto l’affetto di cui è capace per, in cambio, qualche coccola, e un po’ di cibo. Pensi che sia meglio provare a chiudere gli occhi, che qualche ora più in là, nessuno vivrà la tua vita al posto tuo.