Racconto di Piera Ferrini

(Prima pubblicazione – 15 gennaio 2019)

 

Aspetta, aspetta arrivo…… Come tutte le mattine sono in ritardo ed il capotreno vedendomi spuntare dalle scale del sottopasso della stazione, prima di segnalare la partenza del treno per Firenze si attarda con il fischietto in bocca facendomi segno di salire.

Trafelata, con le guance arrossate ed i capelli spettinati ma felice di avercela fatta anche stamani, attraverso un po’ traballante il corridoio in direzione del “mio posto” che vedo ancora libero ed intanto guardo in modo furtivo gli altri occupanti lo scompartimento. Noto che siamo sempre i soliti pendolari di quel treno che di prima mattina, alle 7.30, parte da Pistoia direzione Firenze: la signora che occupa anche il posto accanto al suo con tre o quattro borsoni di cosa non è dato sapersi (non sono curiosa…), il signore con il borsello che ha già aperto il giornale comprato sicuramente all’edicola della stazione (sta leggendo una cattiva notizia, si nota dalla sua espressione schifata).

La mia attenzione si concentra sul giovane che siede sempre due file prima del posto che occupo abitualmente, lato finestrino. Il fighetto tutto precisino e tutto firmato che non alza mai lo sguardo dall’iPhone di ultima generazione, modello XS Max, non degnando nessuno, anche solo per sbaglio, di uno sguardo “caro mio, la sfrontatezza e la sicurezza che metti nei tuoi gesti si salva solo perché anche tu sei costretto ad alzarti all’alba come tutti noi comuni mortali”.

Basta, mi metto comoda al mio posto di pendolare direzione Firenze dove ho trovato un lavoro che non mi piace, non mi soddisfa e non mi permette di acquistare l’ultimo modello di iPhone ma in compenso, con un contratto a tempo determinato, mi assicura ancora un’autonomia di tre mesi senza una concretezza per il futuro.

Tiro fuori dalla borsa il mio vecchio Samsung Galaxy J3 e controllo se anche stamani ci sono novità sul gruppo FB che ormai frequento da qualche tempo. Tutta gente simpatica, alla mano che ti fa sorridere fin dal primo mattino con barzellette, saluti, fiori, caffè “se questa mattina sei felice 1 non lavori, 2 non te sei pesato” oppure “mi piacciono le persone folli, profumano di vita… buongiorno gruppissimo, buon caffè e buona vita”. Quello che noto con una certa soddisfazione un po’ sadica è che altra gente deve fare le levatacce e, malgrado tutto, ha la voglia ed il tempo di scrivere due paroline da condividere. Noto subito due messaggi su Messenger e apro la pagina sapendo che è lui, il poeta: è la sua ora.

“Ciao, buongiorno, anche stamani in ritardo?”

“Ho il capostazione dalla mia, mi aspetta e a volte mi fa anche una specie d’inchino che non sono sicura d’interpretare in modo giusto. O mi saluta o mi sfotte. Che dici?”

“Vai….hai conquistato anche il capotreno!”

“Per me mi prende in giro però quello che conta è che mi aspetta”

“Lo sai che intrighi”

“In che senso?”

“Anche nella vita reale ti nascondi? Non ti scopri mai?”

“Al mare in estate sempre ahahaha”

“Simpaticona di prima mattina. Lo sai cosa voglio dire”

“Forse è solo timidezza oppure non ritengo che questo sia il luogo adatto per aprirsi più di tanto”

“Ok. Sul profilo niente che sveli la tua identità: fotografie anonime, condivisioni di altri membri del gruppo e quasi mai niente di tuo, un pensiero, un’opinione. Che strategia è questa?”

“Se pensi che sia strategia non hai proprio capito niente di me.”

Il discorso sta prendendo una piega che non mi piace. Perché quando approfondisci con una persona devi poi esibire carta d’identità, foto che raccontano la tua vita dalla nascita a ieri, svelarti in ogni tua piega sia del corpo che dell’anima con la paura che le tue debolezze, le fragilità, dopo averle raccontate potrebbero in futuro essere usate come arma per umiliarti?

Parlarsi attraverso i posts non è il massimo ma per un’anima solitaria come me usare facebook è un po’ come partecipare ad una terapia di gruppo dove a volte mi sento sola e chiusa nel mio silenzio a leggere le emozioni, le barzellette, i discorsi pseudo politici, le anime in tempesta, i poeti folli che con le loro poesie arrivano a toccare il cielo con il cuore, altre invece sono io che per scelta trasmetto le mie sensazioni, i miei pensieri e non importa che tutti capiscano, non ho bisogno di attenzioni ma esprimo il mio pensiero perché voglio sorprendermi senza per forza dover sorprendere gli altri.

Non vado mai sul profilo delle persone con cui scambio messaggi. Preferisco dare spazio all’immaginazione e costruirmi nella mente, a seconda delle sensazioni che provo, delle vibrazioni che percepisco, un ritratto molto personale di chi, con la sua sensibilità riesce a stupirmi con un sorriso, una frase simpatica, una poesia. Le foto, i profili, non dicono nulla: potrebbero essere falsi, artefatti, studiati ad hoc per apparire quello che uno non è realmente ma soltanto ciò che vuole apparire o che vorrebbe essere.

Del poeta conosco solo la piccola foto che usa come “logo” nel suo profilo su Facebook e anche quella, per quanto mi riguarda, mi disturba, mi distrae e ci butto solo l’occhio distrattamente.

La miglior difesa è l’attacco e allora attacchiamo:

In compenso ci sei tu che, con i tuoi versi intimi e profondi, riesci sempre a scrivere quello che senti, che provi e lo trasmetti senza mezzi termini – vorrei che mi ascoltassi capissi ogni mia frase creata per te. Non vivo solo per vivere ……ma esisto solo per amarti-”

Noto con piacere che apprezzi i miei versi o, forse, i miei deliri”

“Chi non li apprezzerebbe? Oltre ad emozionare a volte sono talmente sconcertanti da provocare un certo imbarazzo. Comunque hai colpito nel segno: se volevi avere un harem che ad ogni tuo respiro ti manda apprezzamenti più o meno celati corredati da cuoricini, eccoti servito!”

“Percepisco un velato rimprovero. Riesco solo a scrivere l’amore: bello, gioioso, passionale e incazzato. Non è colpa mia se questo sentimento è apprezzato solo dal sesso femminile. Forse gli uomini hanno pensieri più concreti o forse si vergognano di condividere certe mie frasi non proprio da macho. –Sento la tua mano che accarezza la mia pelle e con il tuo cuore caldo di desiderio tocchi la mia anima rendendola calda…gli sguardi si incrociano come una poesia che fa vibrare il mio cuore…-”

Come sempre il tempo è volato e sono quasi arrivata a destinazione “prossima fermata Firenze, stazione di Santa Maria Novella” annuncia la voce gracchiante dell’altoparlante.

Da alcuni mesi ormai i nostri appuntamenti quotidiani diventano sempre più frequenti e, anche se non sappiamo quasi niente l’uno dell’altra, mi viene improvvisamente un’idea, meglio se non ci penso troppo:

Che ne diresti d’incontrarci? Mi sembra il momento giusto per fare la conoscenza non solo delle nostre anime?

Mi stupisci e sono piacevolmente sorpreso della tua proposta. Dove e quando?

Ok. Domani pomeriggio verso le 16 al caffè della stazione di Santa Maria Novella a Firenze?”

Mentre scrivo il messaggio mi avvio verso il portellone d’uscita ma una brusca frenata mi fa perdere l’equilibrio già precario e travolgo il passeggero che si trova davanti a me….il  fighetto. Nell’impatto il suo prezioso iPhone cade rovinosamente per terra e dal crac che percepisco sono sicura che il vetro del display si è rotto. Non ho parole per descrivere lo sguardo di puro odio che mi lancia ma non raccolgo la sfida e scendo con il mio cellulare fra le mani ancora intatto. Prima di premere “invio” ricevo un messaggio dove mi si apre un mondo:

Accidenti, potresti inviarmi data, luogo e ora per il nostro appuntamento perché una befana, racchia e occhialuta, mi ha dato uno spintone mentre scendevo dal treno e mi ha fatto rompere il vetro del telefono. Quelle come lei non dovrebbero mandarle in giro ma tenerle rinchiuse in gabbia allo zoo.

Mi blocco di scatto, mi giro e vedo il bastardo che smanetta a più non posso sul suo prezioso oggetto. Capisco. Prendo il cellulare e tolgo subito l’amicizia al poeta.

Storia mai iniziata e già finita.