Racconto di Isa Ligabue

(Prima pubblicazione – 10 dicembre 2020)

 

 

Il lavoro nella piccola fattoria era tanto e così per la fienagione e la vendemmia venivano chiamati degli aiutanti a giornata. Molto spesso erano gli stessi che venivano confermati di anno in anno e finivano con l’essere di famiglia. Dante era uno di questi. Quell’estate aveva preso ad arrivare con la sua vespa quando gli altri erano già in campagna. Cristina a casa da sola, se lo trovava davanti all’improvviso. Cominciò a dirle che era davvero cresciuta e le chiedeva serio di farsi guardare bene, perché era diventata proprio carina. Prendeva le sue cose dal portaoggetti e, prima di incamminarsi verso gli altri nei campi, le allungava ogni volta un regalino. La bambina osservava tra le dita quegli oggettini e poi li dimenticava senza dargli importanza. Non capiva perché quell’uomo glieli desse. Lei preferiva continuare a giocare con le sue bamboline fatte con le pannocchie di mais dalle lunghe infiorescenze bionde o ramate, così simili a capelli fluenti, con i vasetti di vetro, piattini e bicchieri scheggiati, nelle casette costruite con le cassette di legno da uva. Con le bambine che abitavano nelle fattorie vicine passava pomeriggi interi a sfidarsi a nascondino o a bandiera e a fare la corsa per vedere chi era più veloce o chi resisteva di più. Guardare insieme le nuvole al tramonto, sdraiate nell’erba fiorita era poi bellissimo. Quell’anno l’assedio di Dante proseguì tutta l’estate.

Cristina si sentiva a disagio per le attenzioni che quell’uomo le riservava, ed era confusa perché lui si comportava allo stesso modo anche in presenza dei suoi genitori che non sembravano infastiditi o preoccupati. Dante si mostrava generoso e disponibilissimo e loro ne erano molto compiaciuti. Un giorno erano andati tutti insieme a casa sua: abitava in un piccolo appartamento in città. In casa c’erano anche la moglie e le sue due figlie, più grandi di Cristina di qualche anno. Mentre i grandi parlavano, la bambina osservava la donna magra e triste, come sciupate e solitarie le sembravano anche le due ragazzine, che ricambiavano lo sguardo da un angolo del salotto senza parlare o avvicinarsi. Dante, tutto orgoglioso, stava mostrando il telefono appena installato ai meravigliati genitori della bambina. All’improvviso prese in braccio Cristina per farle provare l’esperienza di una telefonata; lei non riuscì che a balbettare qualcosa: Dante così vicino odorava, le sue braccia le tenevano troppo forte le cosce e i peli ispidi le pungevano la pelle delicata. Cercò lo sguardo di sua madre, ma anche quella volta la sua espressione non rivelava nulla da eccepire. Poi una domenica Dante capitò a casa loro per un saluto. Dopo un po’ di chiacchiere con i grandi, propose di andare a prendere del gelato per mangiarlo poi tutti insieme sotto l’albero. Cercò con lo sguardo Cristina, la prese e la sistemò dietro sul sedile della vespa con la velocità di un rapace, lasciando i genitori senza parole con dei mezzi sorrisi gelati sul viso. Disse loro, anticipandoli e ammiccando rassicurante, che così avrebbe fatto fare anche un giretto alla bambina. Cristina non avrebbe voluto andare e aveva paura di cadere. Non arrivava ad appoggiare i piedi sulla pedana della vespa e non sapeva dove tenersi: non voleva toccare Dante. L’uomo, intuendo il suo pensiero, le prese le braccia e le posizionò ai suoi fianchi; le disse che doveva per forza tenersi forte a lui mentre la vespa era in movimento. Cristina era turbata perché sentiva il calore del corpo di quell’uomo attraverso la maglia. La bambina quasi non respirava dall’angoscia. Fuori dallo stradello, lui rallentò l’andatura e cominciò a sferrare l’attacco. Si girò un poco e le chiese di fargli vedere la “passerina”.

– No. Lo aveva detto o lo aveva solo pensato? Senza via d’uscita con il cuore a mille, Cristina restava immobile, senza fiato, gli occhi ben aperti, malgrado il vento in faccia, come un piccolo animale braccato.

– Se me la fai vedere ti faccio un bel regalo.

– No.

– Perché?

– Perché non voglio.

Cristina taceva. Una strana calma, come di rassegnazione alla lotta, la stava trasformando in ferro da dentro.

– Ti piacerebbe una bella bambola? O preferisci dei libri? Vorresti l’enciclopedia degli animali? Ti piacerebbe avere l’enciclopedia degli animali?

– Si.

– Te la regalo se me la fai vedere.

– No.

– No cosa?

– Non la voglio.

Il viaggio di pochi chilometri sembrava interminabile mentre Dante ripeteva sempre la solita domanda, ma non andò oltre le parole. Quando finalmente venne riportata a casa, Cristina si allontanò non vista senza assaggiare il gelato. Era stanchissima, con mille interrogativi che le giravano nella testa a cui non sapeva dare risposta. Era incuriosita: mai nessuno si era tanto interessato a lei, ma allo stesso tempo sentiva istintivamente un pericolo in quell’uomo. I suoi genitori non le chiesero perché quel pomeriggio fosse sparita così in fretta. Nelle settimane successive cominciarono ad arrivare in casa i fascicoli dell’enciclopedia degli animali. Cristina non capiva, era sospettosa. La mamma le disse che Dante era stato così gentile da proporsi di prenotarli per loro in edicola. Non era contenta? I giorni passavano e Cristina li leggeva e rileggeva, divorando con gli occhi le bellissime illustrazioni e le fotografie degli animali nel loro ambiente naturale. La bambina comunque, dopo quel pesantissimo giro in vespa, cercava di evitare Dante. Si era fatta molto attenta e quando sentiva arrivare qualcuno, rientrava in casa di corsa e saliva su in alto sino al sottotetto, e spiava nel cortile dalla finestrella senza essere vista. Vedeva Dante che si muoveva nervoso prima di raggiungere gli altri nei campi e non sembrava più tanto sorridente e amabile. A metà settembre, una calda domenica pomeriggio, Cristina era nel cortile con il secchiello con le granaglie appeso al braccio: le galline che erano tutte intorno a lei mentre i genitori e il nonno erano dietro la casa impegnati nella stalla. Indossava la gonna a fiorellini con il bordo in pizzo bianco e il fiocchetto sulla tasca, la canottiera arancione con gli zoccoli verdi da olandesina, che le aveva comprato la mamma per il suo compleanno, perché i suoi vestiti stavano diventando di colpo stretti e corti. I capelli lisci e dorati erano cresciuti e le sfioravano le spalle, mossi da un venticello tiepido. Era assorta ad osservare quegli strani e famigliari uccelli: li guardava mentre beccavano i semi che cadevano a terra tra i sassolini del cortile, ne osservava i piumaggi colorati e diversi e le loro movenze e le differenze della forma dei bargigli e delle creste. Quando si accorse della vespa che aveva già percorso tutto il viottolo, era ormai troppo tardi per nascondersi. Le galline scapparono tutte svolazzando mentre Dante parcheggiò sul cavalletto proprio vicino, a bloccarle l’accesso alla porta di casa. L’uomo si muoveva senza staccare da lei il suo sguardo azzurrissimo e freddo. Cristina, che era rimasta come gelata da quegli occhi, lo vide avvicinarsi troppo, oltre il limite stabilito.

– Ciao Cristina, finalmente ti fai vedere!

E mentre la sovrastava con tutta la sua persona, lo vide allungare la sua mano verso la scollatura e tirarle la canottiera sul petto fino a scoprirlo, con un dito solo, come un artiglio. -Ti sono cresciute proprio due belle tettine!

Lo disse sarcastico, con la voce roca e bassa. L’urlo le uscì dal profondo e fu veramente potente. Non sapeva da dove le venisse tutta quell’energia. Scattò via liberandosi da quel maleficio e corse gridando e piangendo dai suoi genitori. Le parole accumulate nella angoscia di tanti mesi, le uscirono in fretta e inarrestabili come l’acqua di un fiume in piena che rompe gli argini con l’ultima goccia, allaga tutto e va libera dove vuole. I genitori, capirono comunque che Dante doveva aver fatto qualcosa di gravissimo a Cristina: lo raggiunsero correndo che già era salito sulla sua vespa e gliele diedero di santa ragione, urlandogli di non farsi vedere mai più in quella casa. La bambina, esausta come se avesse sostenuto una corsa di resistenza, rimase a lungo nascosta dietro la casa, al sicuro come quando giocava a nascondino con le amiche e lei era introvabile e alla fine liberava tutti. Anche quella sera e nei giorni che seguirono, i genitori non le chiesero niente, non venne detta una parola e non ci fu neppure un gesto per consolare, rassicurare e curare la ferita. Non erano diversi con lei, ma era come se non fosse successo nulla. Li sentiva distanti, tanto che la bambina si chiedeva se avesse sbagliato qualcosa.

– Mamma perché non mi chiami più stellina? Mi piaceva tanto quando mi chiamavi così…

La mamma non rispondeva, non sapeva quando era successo che aveva smesso di chiamare la sua bambina stellina. Rimaneva pensierosa e attonita, come qualcuno che si accorge di aver perso qualcosa di prezioso ma non sa più quando e dove.