Racconto di Cristina Biolcati

(prima pubblicazione – 22 luglio 2020)

 

 

Nella città dove per un breve periodo Cinzia aveva abitato, c’era una libreria talmente carina che aveva dovuto entrare. Un pomeriggio di giugno, sebbene fosse stata una giornata lunga, di lavoro estenuante, aveva sentito una forza attrattiva che non poteva contrastare, data dalla disposizione dei libri accostati a ninnoli d’effetto. La libraia, proprietaria e unica commessa, era una donnina canuta e dall’aria infelice, sebbene emanasse una certa classe e buon gusto in fatto di abiti e letture.

Avevano finito, lei e Cinzia, col diventare amiche, quando la ragazza passava a trovarla in uscita dall’ufficio. La donna allora spalancava la porta, dato che Cinzia arrivava sul tardi e non c’erano più clienti, e si fumava una sigaretta di quelle lunghe e sottili, chiudendo gli occhi e assaporando ogni boccata reclinando il capo all’indietro.

Presto Cinzia pensò che valesse la pena passare da quella libreria, anche solo per vedere una signora tutta compita e ligia al dovere, trasgredire in modo così appassionato e dedicarsi con voluttà a uno dei piaceri che più arrecano danno alla salute e che quindi bisognerebbe rifuggire.

Mentre lei rovistava fra i libri, sempre esposti in maniera impeccabile e senza un granello di polvere, la libraia si concedeva quell’attimo tutto per sé, facendola sentire orgogliosa di assistere a un rito che era possibile proprio grazie alla sua persona. Quasi se la ragazza fosse uno specchio e la donna ci vedesse dentro delle possibilità, delle variazioni.

In quei momenti d’intimità, vissuti prima della chiusura del negozio, il rapporto che si andò a creare tra le due divenne surreale. Cinzia taceva, era pura presenza. La libraia fumava, agiva in concreto.

Finché i giorni passarono e, probabilmente, la donna volle azzardare qualcosa di più audace.

Regalò a Cinzia un libro, una biografia di Jane Austen. E per l’occasione, le fece notare quanto quella scrittrice fosse stata sottovalutata dalla critica. Di successo, sì, ma era passata alla storia come una che raccontava solo di figlie a cui trovare un buon partito da sposare; madri che le volevano accasare, con tutta la superficialità che ne deriva. Nessuno però aveva notato – e questo la libraia glielo disse guardandola negli occhi e puntando, in segno di ammonimento, un dito indice nella sua direzione – che in quel modo di narrare c’era una ben precisa ragione, ovvero la sofferenza inflitta alla Austen stessa, quasi se poi la sua scrittura fosse stata una sorta di vendetta velata. Cinzia avrebbe trovato, in quello scritto, le ragioni di tanta leggerezza nel guardare alla società. Si era innamorata anche Jane, e non era affare da poco! La libraia lo affermava con tale cipiglio, che un poco Cinzia ne fu turbata. Lui, l’uomo del quale si era innamorata una giovanissima Jane Austen, era considerato troppo per lei! E qui, divenne addirittura paonazza. La famiglia del ragazzo ostacolò quella relazione, e la madre di Jane, con la quale non vi fu mai un buon rapporto, lasciò che la umiliassero e non mosse un dito.

La libraia era autenticamente sconvolta, per questa sofferenza covata, che forse aveva colpito in qualche modo anche lei. E dichiarò che era assolutamente legittimo, da quel giorno in poi, per la povera Jane prendersi gioco delle convenzioni e pensare solo a dare un buon matrimonio alle sue eroine, quasi se l’amore fosse altra cosa e lei non lo avesse mai sfiorato nei suoi romanzi.

Cinzia rimase turbata. Se ne andò col libro nella borsa, lasciando la donna al suo rito di fine turno, quello della sigaretta, adducendo a una scusa. In realtà non trovava giusto che una persona nel suo ruolo potesse arrogarsi il diritto di influenzare in maniera così netta le letture dei clienti.

Iniziò a vedere la libraia sotto una luce differente. Sfogliò la biografia, lesse alcune pagine. Andò alla ricerca di quel che l’altra le aveva riferito e, quando si accorse che corrispondeva al vero, ugualmente ne fu irritata. La lettura è una cosa personale, possiamo consigliare qualcosa che ci è piaciuto, ma non imbeccare la nostra versione nella sua interezza.

Leggere è essere liberi di spaziare con la fantasia. Ma poiché non voleva che la donna avesse l’idea che una volta ottenuto un libro gratis lei se la fosse filata, quasi fosse stato lo scopo di quell’amicizia, tornò.

Stranamente, l’altra non le chiese la sua opinione. Ma le mise subito tra le mani una raccolta di poesie di Lord Byron, permettendosi di dire che quel farabutto ingannava la gente con un sacco di stupidate melense, quando in realtà aveva avuto una figlia che gli avrebbe rovinato la reputazione da dongiovanni che si era creato, e che nascose e lasciò morire di stenti in un convento del ravennate, piuttosto che occuparsene in prima persona. Cinzia conosceva la storia e, sebbene nel complesso corrispondesse a verità, individuò nel resoconto della sua interlocutrice un sacco d’inesattezze.

Non voleva correre il rischio di vedere il mondo con occhi altrui, magari cinici di chi ha molto sofferto e si è incattivito nei confronti della vita. Per cui prese il libro, ma nemmeno lo aprì.

Fortunatamente, fu il destino ad agire per lei e a interrompere quella strana amicizia, che si stava facendo sempre più inquietante.

Per lavoro, Cinzia fu trasferita altrove, in una filiale agli antipodi. Prima di partire, spedì i due libri direttamente in libreria, con un biglietto d’addio per la donna, fumatrice incallita.

Che lei abbia mai capito quel che era successo, fu un dubbio legittimo. Attenta solo ai propri pensieri, la libraia si sarà rammaricata di non potere fare altri regali così mirati.

Cinzia era certa che non le sarebbe mancata. Anzi, pensandoci bene, non avevano mai parlato di nulla di personale. C’era stata solo una donna matura che aveva imposto indirettamente il suo pensiero su una ragazza giovane, che la vita la doveva ancora tutta sperimentare.

Prima di arrivare a vomitarsi addosso rimpianti e recriminazioni, era stato meglio dividersi.

Le mani come tagliole, da cui s’innalzavano giravolte di fumo, sarebbero state di lì in poi un’immagine indelebile, di cui Cinzia avrebbe sentito a lungo l’effetto sgradevole su di sé. Quasi se chiunque potesse ferirla, o semplicemente adescarla per farle del male.