Racconto di Galliano Remo De Agostini

(Seconda pubblicazione)

 

 

Una mattina d’estate, il Saturnia ormeggiava nel porto di Santa Maria. Ogni bagaglio della stiva era carico di sogni, illusioni e storie collettive. La fretta dei viaggiatori faceva oscillare l’angusta scaletta di sbarco. Una bambina, con gli occhi socchiusi dallo spavento, attorcigliava le nude braccine attorno al collo di un uomo. Era Norina, che assieme a suo padre e sua madre, scendeva a terra.

La famiglia si stabilì fuori città. Il padre, uomo intraprendente e opportunista, non lasciava nulla in mano alla sorte, era sicuro che la fertilità di quella terra bruna gli avrebbe dato prosperità. Tempo dopo, giunse la cicogna con un maschietto, lo chiamarono Primo. Norina ne fu entusiasta, lo cullava con accurato svago. Durante  gli anni accompagnò le gravidanze della madre, con lei transitò per strani ed emotivi momenti… e giunsero altri fratelli, gli furono imposti i nomi dei primi numeri ordinali in ordine progressivo. Questo fu il contesto in cui la bambina crebbe.

Per lei la favola della cicogna serviva solo a dare fantastiche risposte ai più piccoli.

Norina, come unica figlia femmina, fioriva sotto il vigile sguardo del genitore. La bellezza della giovane sconfinò il quartiere. Non le mancarono pretendenti, che lei portava a conoscere la sua famiglia. Il ragazzo veniva accolto in salotto, dove i ritratti dei nonni erano dei muti guardiani severi… ma con il cipiglio bonario e paterno. La madre di Norina serviva caffè e dolci. I due giovani si parlavano con l’eloquenza degli sguardi innamorati, interrotti dalle sornione risate di qualche fratello, che, guarda caso si installava nel salotto a giocare.

Il culmine era quando arrivava il padre. Il volto di Norina si accendeva e se ne andava. L’uomo restava solo con il candidato.

Come per una tacita omertà, cessavano i rumori della casa.

I chiassosi fratelli, nelle loro camere da letto, si sforzavano di silenziare le innocenti buffonate. Mentre in cucina, madre e figlia preparavano la cena senza proferire parola. Abituate ad aspettare, sapevano la durata dell’incontro tra i due uomini, avrebbero sentito la ferma voce del padre che si congedava. Poi, con il suo eterno sorriso sulle labbra, si sarebbe presentato in cucina, dove “le mie due ragazze ”, come lui le chiamava, lo aspettavano per il pasto serale.

Trascorsero gli anni, ed anche per Norina finì il tempo dei fidanzatini. Il padre, fattore supremo, diceva: – La preservo per delle migliori occasioni –  mai avvenute. Nel mentre introduceva la giovane nella conoscenza delle sue svariate attività.

Norina amministrava, contrattava e accordava patteggiando. Il genitore la guardava con orgoglio e, senza rendersene conto, sembrava ritirarsi dalla scena.

L’egemonia del padre non dette gli stessi risultati con i figli maschi, che in diversi momenti presero il volo verso differenti destini. Alcuni in proprio, altri verso nidi foranei, non mancò chi fece la strada a ritroso, ritornando nella terra degli avi, terra mille volte immaginata attraverso le narrazioni udite.

Un giorno il padre partì con il suo eterno sorriso, lo stesso che aveva quando sbarcò, sentendo il timoroso abbraccio di Norina e la generosa ospitalità di quella terra che lui adesso si raccomandava.

Norina vestiva  sempre lunghe vesti scure, non ebbe bisogno di cambiamenti per mettersi a lutto. Il sentimento della perdita lo teneva per sé. Non pianse, non gridò, il suo atavico pudore non glielo permetteva. In cambio il suo corpo sì. La sua splendida capigliatura cambiò di colore, da corvino a cenerino, eppoi a bianco neve. Norina divenne il maestoso specchio di quelle Alpi Giulie dallo spirito forte come le pietre coronate dalle nevi eterne.

Norina rimase sola, la casa sembrava disabitata, ma non lo era, ogni stanza albergava orme e sussurri che la facevano viva. Poi si ripopolò con le voci e le risate delle nuove generazioni, che rispettavano la sua matriarcale autorità.

Sotto la pergola, Norina, già anziana, organizzava tutti gli eventi famigliari. Al brindisi qualcuno, sbottonandosi il gilè, accendeva un avana.

Lei gradiva ricordare il passato e con gli occhi socchiusi sorrideva, riconoscendo le bizzarre figure arabesche che formavano le volute di fumo.

La riportavano alle vecchie riunioni famigliari della sua infanzia.

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