Racconto di Sandra Carresi

(Prima pubblicazione)

 

 

 

Vania lavorava in Pizzeria, faceva la cameriera, si guadagnava da vivere con questo lavoro, otto ore al giorno portando piatti ai tavoli, con antipasti, primi, pizza e dessert. Non era molto svelta nel servire i clienti, ma i conti, quelli sì, li sapeva fare bene e velocemente.

Era carina, snella, una brunetta con la coda di cavallo, naso dritto e magro e occhi color nocciola che la facevano sembrare un dolce cerbiatto.

Non le piaceva molto fare la cameriera, lei era ragioniera e avrebbe voluto lavorare in ufficio, magari in uno di quei grandi palazzi, dove gli impiegati scendendo a pranzo, venivano a consumare un piatto di pasta.

Una volta aveva lavorato presso un commercialista, ma poi lui si era trasferito altrove e lei era rimasta senza lavoro, così si era dovuta accontentare di quello che le era capitato: un lavoro onesto, a contatto col pubblico, scarpe basse un grembiule davanti, i capelli raccolti e su e giù con i piatti fumanti.

Quel sabato sera la pizzeria era piena, per lo più ragazzi giovani e qualche coppia più matura. Tante chiacchiere, bottiglie di birra e lattine di coca cola.

Stava proprio servendo una coppia di quarantenni: lui alto, magro, con tanti capelli ondulati e solo qualche filo d’argento ai lati, lei, una donna morbida e mielosa, messa in piega fatta da poco, con ciuffo ben phonato, vestito da boutique color verde smeraldo come i suoi occhi che brillavano al solo guardarlo.

Vania ebbe un momento di fastidio, aveva problemi con la glicemia e troppo miele la faceva nauseare. Perfettamente professionale, prese le ordinazioni, sorrise e tolse la sua persona da quel tavolo velocemente.

Un senso di nausea l’assalì d’improvviso, ma determinata nel suo lavoro, fece finta di non farci caso e servì alla coppia la loro fumante pizza. Lui, preso dalla compagnia della “verdona” le aveva appena rivolto un sorriso distratto, ma quasi subito la richiamò:

  • “ Signorina, prego, con questi coltelli non è possibile tagliare la pizza, può portarci qualcosa che assomigli ad un coltello tagliente?”
  • “ Certo, rispose Vania, sorridendo ma infastidita e nauseata, arrivo subito.”

Vania voleva fare tutto velocemente, almeno per una volta, e mentre portava ancora due piatti fumanti di spaghetti all’astice, teneva i due coltelli con la punta rivolta in alto, ma il destino volle che appena arrivata al tavolo della coppia, inciampasse arrovesciando gli spaghetti in terra e drammaticamente uno dei due coltelli andò a centrare la parte alta dietro il collo di quell’uomo giovane e bello.

La candida camicia si macchiò immediatamente di sangue, lui accasciò la testa sul tavolo senza un lamento, mentre la donna gridava disperata. Nella frazione di un attimo nella sala ci fu un gran baccano: la gente si era alzata, urlava, Vania piangeva con le mani al volto. Il proprietario chiamò immediatamente l’ambulanza, ma per l’uomo non ci fu  più niente da fare e quando arrivarono i soccorsi era già morto: centrata la vena del collo, un lavoro che solo un chirurgo avrebbe potuto fare con tale precisione.

Nei giorni che seguirono Vania rimase a disposizione della polizia. Di lavorare non se ne parlava, e poi, chissà se avrebbero ancora avuto bisogno di lei.

Era stata una disgrazia, d’accordo, ma chi l’avrebbe nuovamente assunta?

Passò un po’ di tempo, Vania si guadagnava da vivere facendo le pulizie negli appartamenti, sbarcando così il lunario, sempre più triste e afflitta.

Poi un giorno, sentì bussare alla stanza che aveva preso in affitto; era la proprietaria che con aria preoccupata, le annunciò la presenza della polizia.

Le fecero molte domande, lei all’inizio era smarrita ed i suoi occhi da cerbiatta facevano pena a tutti, poi, a mano a mano che la matassa si ingigantiva, soprattutto quando il Commissario le fece notare che lei, quando in altri tempi, era bionda e con i capelli a caschetto era stata alle dipendenze dell’uomo morto in pizzeria, Vania diventò abile, aggressiva ed i suoi occhi color nocciola, assomigliavano sempre più a quelli di un puma dentro una gabbia.

Diceva che non lo aveva riconosciuto, che era cambiato, che stava lavorando e che non aveva tempo né voglia di osservare i volti dei clienti, ma il commissario era sospettoso e le disse chiaramente che per lui questo era un omicidio e non una disgrazia.

Ma come poteva una ragazza così semplice, dolce, lavoratrice, avere la mente di una assassina? Poi, la precisione di quel coltello…, era da attribuire ad un chirurgo o… ad un esperto.

Ce l’aveva quasi fatta Vania e stava preparando le valige per andarsene e dimenticare, sì, dimenticare quell’amore grande per quell’uomo che non l’aveva neanche riconosciuta…, era bastato un colore e un taglio di capelli diverso per annullarla completamente. Aveva avuto quello che si era meritato. Sapeva che frequentava quella pizzeria e si sarebbe fatta assumere anche venendo a patti col diavolo.

Le donne abbandonate, soprattutto senza una motivazione chiara, quando sono innamorate possono essere capaci di tutto.

Peccato che il Commissario, non avesse mai creduto alla sua innocenza, e che in ultimis, avesse scoperto il lavoro di anni della madre presso un Circo familiare dopo che il marito, il padre di Vania l’aveva lasciata con una bimba di appena due anni, trovando in quell’ambiente, conforto, protezione e amicizia. Facendo la “donna”  del lanciatore di coltelli. Vania, aveva sempre respirato la confidenza delle armi bianche, tanto da rimanerne affascinata; era stato proprio lo Zingaro Milock, che parlando col Commissario, rammaricandosi dell’assenza di Vania da anni, gli aveva raccontato di come all’epoca, la piccola,  avesse recepito bene l’arte di saperli lanciare alla perfezione….

“Impara l’arte e mettila da parte”, dice un antico proverbio.

Vania lo aveva fatto.