Racconto di Valentina De Nart 

(Prima pubblicazione)

 

Mi aggiro per le stanze di un castello che pullulano di invitati, e sono lì in attesa di dar inizio ad una festa. Incrocio gli sguardi sgargianti di ognuno di loro: sembrano conoscermi, quasi sia io la festeggiata, acclamata, tra cin cin, bollicine e nuvole a velo di zucchero filato. Le donne sono magnifiche, l’incarnazione attuale dell’immortale Barbie; smalti fucsia-rosa confetto, chignon di capelli profumati, sandali luccicanti e frou frou di brillantini e perline. Gli uomini ridono, tengono sott’occhio la scena, lasciando sempre un certo spazio ad ognuna di loro. Esco in terrazza e vedo che è proprio l’ora della luce perfetta: quella in cui ogni cosa si veste di tonalità perlate, morbide, e piacevoli agli occhi, come solo un lento tramonto sa regalare. Respiro aria di gioia, voglia diffusa di rilassarsi, propensione agli abbracci, desiderio di estive frivolezze. È come se fosse un ritorno alla vita, dopo un tempo di oblio, di cui però nessuno pare essersi accorto. Davvero state festeggiando me? Sorseggio da un calice verde quella che mi sembra la bevanda più squisita del mondo… note esotiche, stuzzicanti… mango, o forse lime con scorze di zenzero? Al palato non interessa la risposta, socchiudo gli occhi, e vuoto il bicchiere. Poi mi guardo il polso: un bracciale cobalto di fattura etnica mi ciondola addosso, e io mi accorgo solo ora di lui e di tutto ciò che ho indosso. Una strana sensazione di euforia mi pervade, l’avevo dimenticata; quell’onda serpentina che ti senti scorrere sotto la pelle, lungo le vene. Il brivido che si scatena, sempre inaspettato, quando ci sentiamo inspiegabilmente vivi. Mi guardo intorno alla ricerca di un vetro, di un arredamento placcato, di un cestello di metallo, insomma, di qualcosa che possa riflettere la mia figura qui e ora. Avanzo e nella foga quasi inciampo, ma non me ne preoccupo. Ho voglia di vedere i miei occhi, di scambiare uno sguardo complice con la me stessa, che in questo momento è così grata di sentirsi così viva, ancora. Mi faccio largo tra cinture dorate, pochette fluo, battiti di bassi, voci frizzanti e… risate. E solo ora li vedo: sorrisi. Ovunque attorno a me la gente sorride; e sarebbe una cosa normale, se non che in me suscita sorpresa. Sorrido anch’io, di ricambio ad ognuno di loro, e mentre realizzo cosa è successo, beh mi sveglio. Scosto il lenzuolo, vedo la mascherina sulla scrivania. – Davvero ci siamo già abituati all’assenza di sorrisi tutt’intorno a noi? –

Con questo pensiero, ma con addosso l’allegria di chi è appena tornato da un party, sussurro tra me e me: “dicono che i sogni a volte siano profetici… incrociamo le dita e iniziamo la giornata con un, anche se un po’ mascherato, speranzoso smile!”