Racconto di Silvana Maroni

(Prima pubblicazione – 19 febbraio 2019)

 

E’ stato uno di quei giorni di marzo quando il sole splende caldo e il vento soffia freddo: quando è estate nella luce, e inverno nell’ombra.

Charles Dickens

 

Aurora si era svegliata prima dello squillo della sveglia. Uno squillo invadente, penetrante e indesiderato. Inopportuno anche, quando dimenticava di escluderla nei giorni di festa.

Quella mattina lo aveva evitato.

Ma non aveva voglia di alzarsi, continuava a rigirarsi nel letto con tanti pensieri confusi nella testa. Più confusi del solito.

“Oggi è il 20 marzo” Pensò all’improvviso “alle 16,20 il Sole sarà nel punto gamma” aveva letto quell’informazione la sera prima “E’ il primo giorno di primavera, e io resto a letto a rigirarmi?”

Si alzò in fretta e guardò fuori, ma rimase un tantino delusa. Nubi grigie e fitte le oscuravano la visuale e la sagoma del Vesuvio all’orizzonte sembrava cancellata da una pioggia di cenere. Il cielo era tanto grigio da tendere al violetto.

Anche la mimosa sul terrazzo, fiorita da giorni, sembrava annaspare in quell’oceano di nebbia.

“Ma tu vedi che schifo di giornata!”

Ormai era in piedi e preparò il caffè al solito modo. Gesti noti, come vecchi  rituali che la accompagnavano da anni.

Poi guardò l’orologio e si accorse che era davvero tardi, doveva sbrigarsi. Indossò gli stessi abiti del giorno precedente, anche un po’ spiegazzati ed evitò di truccarsi con accuratezza, come era sua abitudine, un filo di rossetto e via! Quella mattina andava bene così.

Anche quel giorno era entrata nella ruota del criceto, come tutti gli altri, e da un tempo talmente lungo che non distingueva più gli anni l’uno dall’altro.

……………..

 

Arrivò di corsa alla stazione della metro, fece appena in tempo per il treno delle 8 e 20. Scivolò nel vagone gremito sullo slancio di una corsa che l’aveva vista quasi ruzzolare sulle scale mobili, frenata all’ultimo momento da un bambino con lo zainetto, sfuggito per un attimo alla mamma. Appena in tempo, le porte si richiusero alle sue spalle quasi intrappolando un lembo dell’impermeabile.

Era più tardi del solito e i compagni di viaggio abituali, quelli che facevano il tragitto gomito a gomito con lei tutte le mattine, non c’erano. La folla era la stessa ma le facce erano nuove.

Una nuova Babele.

Aveva le gambe intrappolate da una grossa valigia, che l’uomo di spalle davanti a lei aveva incautamente piazzato trasversalmente all’ingresso.

“Signore, mi scusi, potrebbe spostare la valigia, bastano pochi centimetri, così mi sbilancia e rischio di caderle addosso alla prima frenata.”

L’uomo non la sentì, c’era un vociare fastidioso e poi aveva le cuffiette. Le  usava anche lei di solito, per estraniarsi. Ma quella mattina proprio no, non era giornata, e poi era tardi, tardissimo.

Già pensava a quale scusa avrebbe addotto col capo, un rompiscatole come ce ne sono pochi.

“Signore, la valigia per favore.” Ripeté Aurora tirandolo per la giacca come faceva con suo padre da bambina, quando sembrava non ascoltarla.

L’uomo era visibilmente infastidito.

Si girò bruscamente, per rispondere a quel richiamo. Fu un attimo e i due si bloccarono entrambi, guardandosi negli occhi.

All’improvviso tutto scomparve: la folla, i rumori, l’odore rancido di sudore che ristagnava nel vagone fino ad un attimo prima. Anche la musica nelle cuffiette di lui, l’indimenticabile assolo di chitarra di Jimi Hendrix in “All Along The Watchtower” si affievolì all’improvviso, fino al silenzio.

Un silenzio sospeso nel vuoto, che durò un attimo memorabile, allargato nel tempo dallo stupore di entrambi. Un attimo eterno.

“Scusi, la valigia…” Balbettò lei

“Sì, mi perdoni… non sono abituato a questa folla.”

Scesero insieme, dopo aver scambiato qualche altra battuta di circostanza e aver trascorso lunghissimi minuti a guardarsi negli occhi, senza riuscire a smettere.

Lei trovò il tempo per un caffè con lo sconosciuto, e decise di non andarci proprio al lavoro. Anche per avere il tempo di prepararsi al meglio per la serata, quando si sarebbero rivisti.

Come andò la loro storia? Come tutte le storie: benissimo all’inizio, poi pian piano divenne anche quella una routine, una ruota di criceto, come accade a tutte le storie d’amore.

Ma fu bello, davvero molto bello, ne era valsa la pena.

……………….

Arrivò di corsa alla stazione della metro, stava per giungere il treno delle 8 e 20. Scivolò, sullo slancio di una corsa che l’aveva vista quasi ruzzolare sulle scale mobili. Un bambino con lo zainetto piangeva, voleva scappare via dalla mamma che lo teneva stretto per la mano. Un attimo di distrazione e il coperchio semisollevato di un tombino si frappose sulla traiettoria del suol piede. Una fatalità, che la catapultò sui binari. La stazione era gremita e il treno sopraggiungeva in quell’istante.

Una mattinata nera per i trasporti.

La metro restò bloccata per ore.

……….

Arrivò di corsa alla stazione della metro, fece appena in tempo per il treno delle 8 e 20. La stazione era gremita: tanti passeggeri inattesa, un bambino con lo zainetto le sorrise. Scivolò nel vagone semivuoto, c’erano poche persone, ma le conosceva tutte.

Tutti anche lì sorridevano, come a darle un benvenuto, sua madre, suo padre, anche Filippo, il suo bimbo mai nato. Si sentì pervadere da un senso di benessere, chissà se quel treno si sarebbe mai fermato e dove.

Per adesso non aveva importanza.

Era uscita definitivamente dalla ruota del criceto.