Racconto di Zia Bice
(Prima pubblicazione – 7 agosto 2020)
Terzo set. Vantaggio interno. Match point. A noi schiavi è concesso di intrattenere i potenti al massimo per 3 set, non siamo abbastanza capaci da permetterci un 3 su 5.
D’altronde siamo feccia, tenuta in vita per puro diletto di chi ha potere sulle nostre vite.
Sto grondando, la temperatura è salita di diversi gradi, negli ultimi giorni. Non piove da mesi, la polvere si alza inesorabile.
Il pubblico è dalla mia parte, ma solo per il colore della mia pelle. Il mio avversario ha la sfortuna di essere nato con la pelle di un altro colore. I suprematisti bianchi, unici ammessi alle tribune, lo massacrano con ogni genere di insulto gratuito.
Lui non ci fa caso. È concentrato sul match, ha escluso tutto il resto, come gli avevano insegnato nella vita precedente del mondo, quando era un Campione e le folle lo osannavano.
Il retaggio rimane, lui gronda, quanto me, ma non sente. È l’unico modo di prolungare la sua vita ancora un po’, questo, e si attacca con tutto il suo essere a questa possibilità.
Ci eravamo scontrati altre volte, prima, e lui mi aveva quasi sempre battuto.
Io ora, contrariamente a lui, mi devo aggrappare al presente, alle incitazioni di coloro che ho sempre disprezzato e combattuto, motivo per cui mi trovo qui.
Servo la prima. Rete. Un errore da principiante sul lancio di palla.
La seconda entra, facilissima da giocare per un campione di quel livello. Infatti, la gioca.
Un tiro profondo, incrociato. Ribatto, come posso, mi ha spiazzato. La sua voglia di vincere, e di vivere, è maggiore della mia?
Lui scende a rete, è imponente. La folla si scatena e gli grida contro. La regola del silenzio nel tennis, come molte altre, non vale più da tempo.
E succede l’imprevedibile. Lui mi guarda, mi fa un cenno d’intesa, e sbaglia. Sbaglia buttando clamorosamente la palla in rete.
Il mio avversario, il mio amico, ha dato la sua vita per salvare la mia.
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