Racconto di Daniela Ciuffreda

(Prima pubblicazione – 16 aprile 2019)

 

Stamattina l’aria è fresca, la sento sul viso, mi punge fino dentro gli occhi quasi a ferirli. Ho aperto la finestra e la luce mi ha penetrato direttamente in pieno.

E’ancora inverno, stamattina, ma il sole sembra più forte, più deciso, più caldo. Respiro appieno quell’aria fresca, sottile, sento arrivare il freddo dentro il pigiama fino alla carne ancora calda.

Lascio la finestra aperta, diretta su di me, fino a che il freddo mi costringe a chiudere le palpebre e, finalmente scende una lacrima.

Cosa sono costretta a fare ultimamente per piangere. Una lacrima scende e dietro le altre la seguono come gocce, una dopo l’altra. Cadono a terra dritte, senza fare rumore, non c’è bisogno neanche di chiudere le palpebre. Scendono e basta. Senza sentimento.

Così mi illudo di riuscire ancora a piangere,  ma non è così. Ormai non piango più, da tempo. Si piange quando si provano emozioni, io non le provo più, ormai.

La manica del pigiama struscia il viso graffiandomi la guancia e trascina via i residui umidi rimasti, delle mie lacrime senza anima. Respiro forte e chiudo la finestra.

E’ un altro giorno, oggi. Ancora un altro giorno, come ieri, come sarà domani.

Mi vesto e controllo che Anna riposi ancora nel suo lettino. Mi fermo a guardarla come ogni mattina. Tutte le volte sembra non respiri, la devo smuovere per verificare che ci sia ancora. Al mio urto, il suo respiro profondo fa uno scossone. C’è ancora, anche stamani. Posso respirare anche io adesso e affrontare un altro giorno. Lui è già uscito.

Devo muovermi adesso, sistemare tutto, preparare tutto bene prima che rientri a pranzo. Tutto deve essere perfetto, pulito, pronto.

Se ripenso alla mia vita precedente, alla mia infanzia, ai miei sogni. Eppure ho avuto un’infanzia serena, niente di drammatico, una famiglia accogliente, due fratelli.

Non è vero che si fanno scelte sbagliate alla luce di esperienze negative, di infanzia senza amore. Non è sempre vero.

Certo, mia madre ha fatto del suo meglio ma sono cresciuta amata e protetta. Forse anche questo mi ha fregata, pensando che tutto fosse come a casa, che le persone fossero come sembrano, appaiono. Invece a volte non è così.

Antonio non era mai piaciuto a mia madre e io la odiavo per questo. Era carino, gentile, premuroso. Perché non le piaceva? Adesso lo capisco.

Le donne e soprattutto le madri maturano un intuito strano, impercettibile agli altri più di un sesto senso, anzi, una vera e propria premonizione.

Adesso, da madre lo capisco. Sento momenti, attimi prima quando c’è qualcosa che non va in Anna, se sta male, se è triste, se è arrabbiata. È un istinto strano, poco spiegabile.

È come un’emozione, una visione che appare e il più delle volte si concretizza nei fatti e capisci che non sei strana, maga o quant’altro ma soltanto istintiva e ricettiva soprattutto verso i propri figli, nati da te, dal tuo amore, ai quali hai donato ogni attimo della tua vita fin dal primo momento che hai saputo che una creatura stava crescendo dentro di te. Da allora hai capito che puoi compiere il miracolo, il miracolo della vita, il miracolo dell’amore.

Si, donna, hai il dono di dare la vita e solo a noi è dato averlo, capirlo e provarlo. Puoi generare e dare al mondo una nuova persona, un essere umano, una speranza per il futuro.

E’ una grossa responsabilità verso il mondo, questa. Persone hanno salvato il mondo, altre hanno distrutto il mondo.

Che madre sarò? Sarò capace? Sarò in grado di dare amore sufficiente per alimentare un animo, una coscienza nuova? La paura mi assale, mi attanaglia.

Ma quando ho preso Anna in braccio, ancora sporca di vernice caseosa, con il visino straziato dal suo primo urlo verso la vita, ancora paonazzo nel colore rosa porpora e l’ho avvicinata alla mia guancia, stanca e stremata, in quel contatto ho sentito un tocco di morbidezza mai provato né prima né mai dopo. Era una sensazione unica ed irripetibile. Lei si è lentamente calmata e ho capito che potevo farcela.

Avrei affrontato qualsiasi cosa. Non mi sarei fatta più domande non avrei avuto più dubbi. Avrei vissuto per uno scopo più grande da adesso, e basta.

Ho sentito piangere Anna, si sta svegliando. Anna si sveglia sempre piangendo negli ultimi tempi, almeno lei ci riesce ancora. Ma una bambina non può aprirsi alla vita, al risveglio, piangendo. Non è giusto, non è umano.

Certo, ha fatto un brutto sogno, sciocca di una madre. E basta. Solo un brutto sogno. E’ troppo piccola, non può capire, non può ricordare della sera prima. Non ancora!

Non avrei mai pensato, immaginato la mia vita ma soprattutto la vita della mia bambina così. Da piccola parlavo con le bambole perché avevo due fratelli maschi, più grandi di me. Ero la piccola di casa, la terza, arrivata così inaspettatamente dopo tanti anni dai primi figli. Quasi uno scherzo dell’età per i miei genitori. Mi avevano accolta come una piccola aliena. Soprattutto i miei fratelli. Urlante e piangente come solo le bambine femmine sanno fare. Ero la loro piccolina, dolce, ma distante da loro, dai loro giochi, dai loro pensieri ormai da piccoli uomini in crescita.

Così le mie bambole erano le mie sorelle. Come tutte le bambine ci parlavo, le vestivo, ci giocavo ma per me assumevano un aspetto diverso, erano mie sorelle. Femmine. Abitavo in campagna e dopo la scuola ero sempre sola nei pomeriggi, come per i fine settimana. Non avevo amiche intorno a casa e quindi mi confidavo con le mie bambole, a volte sorelle, a volte amiche, a volte le mie bambine. Nel mio mondo immaginario dei giochi erano le mie confidenti, sincere. A loro raccontavo tutto come in un diario segreto e loro con me condividevano i miei sogni di bambina, fino all’adolescenza.

Mia madre era troppo distante da me, per differenza di età e non solo. Cresciuta in campagna viveva di cose semplici, essenziali. Il suo tempo era occupato essenzialmente a seguire la casa e noi figli da accudire. Mai una vacanza, mai uno momento per se stessa. Ho sempre pensato che tanto non mi avrebbe capita. Lei così concreta, io così sognatrice. Cosa potevamo avere in comune? Ogni volta che mi vedeva guardare fuori dalla finestra e perdermi nel vuoto mi richiamava fortemente alla realtà delle cose. Svegliati! Muoviti! Fai qui! Fai là! No, non avrei sciupato i miei sogni condividendoli con lei. Non mi sarebbe servito.

Così sono cresciuta da sola, creandomi un mondo tutto mio dove avrei realizzato i miei sogni, le mie aspettative come le volevo io, con le persone che volevo io. Con le persone come me. Con un uomo simile a me. Avrei avuto la mia famiglia, da giovane, in modo da avere dei figli da giovane, con i quali istaurare subito un rapporto di confidenza e di amicizia. Una mamma giovane ecco cosa avrei fare nella mia vita. Questo nei miei sogni…

Antonio era arrivato così, all’ improvviso. Era più grande di me, di diversi anni. Anche questo preoccupava mia madre. Io ero poco più di una ragazzina e lui un giovane uomo. Da giorni lo notavo all’uscita della scuola. Stava fermo davanti al suo scooter a guardare, osservare, scegliere. E un giorno ha scelto me. Ero così orgogliosa, io piccola donna ancora acerba, scelta da un ragazzo così grande. Poteva avere tutte le ragazze che voleva, ma aveva scelto me.

Il mio cuore impazziva, batteva forte, rimbalzava dentro lo sterno come uno scalpitìo di cavalli impazziti. Ero in preda alla perdita assoluta di ogni controllo su di me. Mi ero innamorata.

Gli ho donato la mia giovinezza, il mio cuore, la mia fiducia. Incondizionata. Fino in fondo. Lui era grande, avrebbe saputo “cosa fare”… Sono bastati pochi mesi, invece, e Anna cresceva già dentro di me.

Ho lasciato tutto e l’ho seguito. Ho lasciato la mia famiglia, la scuola, le mie amiche. Presto sarebbe arrivata Anna e io sarei stata sua per sempre.

Antonio, invece, ha iniziato a dire che ero una stupida, insignificante e… troia, che si fa mettere incinta a 17 anni dal primo che arriva, forse ce ne erano già stati altri e forse la bambina non è neanche la sua.

Il primo ceffone… brucia ancora come una lama tagliente, dentro l’anima.  Improvvisamente ero diventata una donna senza significato,  senza  rispetto,  senza  amore.  Le  botte  non  le sentivo neanche più, non sentivo più dolore,

Quando si perdono i sogni, le speranze e le emozioni il dolore diventa impercettibile. E diventi automa, la tua anima vola lontano, vola distante per non morire, per imparare solo a sopravvivere…

“Mamma!!!” Eccomi amore, perché piangi? Perché mi guardi così? “Mamma, bua, occio”. Corro allo specchio. Le botte di ieri hanno di nuovo lasciato il segno. Ho un occhio livido, gonfio. Mi gira la testa, mi sento svenire, le gambe mi cedono. Cado. Mi risveglio e Anna non piange neanche più.

Mi faccio schifo per la mia codardia. Non sono capace di proteggerla perché non sono in grado di proteggere me stessa. Apro di nuovo la finestra e guardo giù… sarà facile… indolore, anche per Anna, insieme.

Anna urla “Mamma!”. Mi scuoto, prendo il telefono e chiamo: “Mamma…sono io. Vieni subito. Corri! Ho bisogno di aiuto”…