Racconto di Bruno Magnolfi

(Prima pubblicazione – 3 marzo 2021)

 

 

Vera prende il treno ogni mattina. Non ha alcuna possibilità di fare diversamente. Fuori dai finestrini il panorama di sempre, da sotto al vagone il rumore delle ruote d’acciaio sopra i binari, quasi un’ora fino a rallentare tra i casamenti degradati e sporchi della periferia cittadina. Nell’inverno è ancora buio durante quel viaggio, e nell’edificio dove giunge dopo dieci minuti a passo svelto sopra al marciapiede, le luci al neon sono tutte già completamente accese. Cinque piani e cinque addetti per le pulizie, per due ore filate di ognuno, senza neanche respirare. Poi di corsa verso la grande casa famiglia, fortunatamente poco distante, ed ancora cessi da pulire, letti da rifare, cucine da riassettare. Alla fine la clinica privata, dopo circa mezz’ora di autobus, ed in mezzo un panino rosicchiato in piedi, preparato già la sera avanti nella sua casa di paese, dalla mamma con l’espressione seria, che sempre più spesso ormai si limita a guardarla senza neanche parlare, e che comunque per fortuna si preoccupa di tutto, almeno alla sua maniera, con il genero che fa il bracciante e i ragazzini a scuola, senza che non manchi mai niente a nessuno. Vera rientra appena prima di cena, un’altra ora di treno e di voglia di dormire, però anche oggi è andata, e domenica è vicina, ancora un pochino di coraggio prima di tirare il fiato. Poi si mette a tavola, due parole con i figli, ed infine tutti a letto presto, non c’è più tempo per nient’altro.

Che vita è questa, si chiede Vera mentre la carrozza piena di gente ed arredata con appena l’essenziale si scuote tutta quando passa sugli scambi. Ma non c’è il modo per porsi delle domande di quel genere, tutto deve procedere ogni giorno come è stato già previsto, senza intoppi, senza incertezze, che persino quando quel treno di pendolari accumula qualche minuto di ritardo, si presentano subito i primi antipatici problemi. Sempre a dire scusate, o per favore, con l’espressione di chi si aggrappa a tutto pur di rimanere a galla in questo mare profondo, pronto come sembra ad inghiottirla senza tante spiegazioni. Non era così che doveva andare, le capita a Vera di riflettere, subito allontanando questo pensiero da dentro la sua mente, che sono soltanto cose insane queste, e non possono portare mai a niente di buono. Nessun rilassamento, tutto di corsa, senza respiro, ad iniziare dal suono sgradevolissimo di quella sua sveglia del mattino, fino al momento quando coricandosi lei predispone nuovamente e con un urto di malessere la stessa suoneria. Scappare da qui e condannare tutti gli altri a ripagare chissà per quanto tempo quel suo gesto. Oppure abbassare la testa e ridere ogni tanto, almeno quelle rare volte in cui è possibile.

“La conosco”, dice a Vera un uomo ben vestito, sopra al treno. “Non mi pare”, fa invece lei senza concedere niente, ma anche senza scortesia. Poi parlano, del più e del meno, ognuno delle proprie cose, come persone estranee, che tanto scendono in stazione centrale tutt’e due. Lei sorride leggermente, finge di vivere così quasi per scelta quando spiega a lui la propria giornata, però una certa amarezza sembra proprio attanagliarla dentro sé, ma lei scaccia questa sensazione, o almeno tenta, e lo fa con tutte le sue forze. “Potrei darle del lavoro”, le dice lui che ha compreso benissimo quella fatica di portare avanti delle giornate di quel genere. “Un ufficio, una scrivania, uno stipendio adeguato, in due o tre giorni posso farle spiegare tutto ciò che serve”. Lei lo guarda, non riesce neanche a formulare una risposta, ma fa un cenno affermativo con la testa, e lui prende i suoi dati, il numero di telefono, tutto quello che ci vuole. Infine scendono in stazione, si salutano cortesemente, quest’uomo potrebbe essere mio padre, pensa Vera, forse incarna quel piccolo colpo di fortuna che è necessario per riuscire ad andare ancora avanti. Quindi si affretta per raggiungere senza ritardi il suo primo posto dove svolgere le pulizie. In tutto il giorno ripensa due o tre volte a quell’incontro, si guarda attorno, le fa sempre più fatica tutto ciò di cui deve occuparsi, ma si rinfranca proprio attraverso quel pensiero positivo. La sera infine riprende il treno, si siede in un posto libero e guarda fuori le luci che corrono lungo i binari. Non importa, pensa poi alla fine: tanto sarà sempre così.