Racconto di Silvio Esposito

(Quarta pubblicazione – 31 marzo 2021)

 

 

 

Romeo era l’unico figlio ed erede dell’influente famiglia Montecchi di Verona. Il giovane aveva sedici anni ed era bello, intelligente e sensibile; sebbene fosse impulsivo e a volte immaturo. Inoltre, era abile nell’uso della spada e, nonostante vivesse nel mezzo di una faida tra la sua casata e quella dei Capuleti, non era interessato alla violenza: il suo unico chiodo fisso era l’amore. Dapprima per una certa Rosalina, poi rimase colpito alla vista della bella Giulietta Capuleti. Accadde durante un ballo in maschera e s’innamorò perdutamente di lei. Amore che fu corrisposto ed era stato immediato e irresistibile. Di fatto la sera stessa i due si dichiararono e seduta stante decisero di sposarsi di fronte a frate Lorenzo.

Tuttavia, gli sposi vissero una sola notte d’amore, a seguito di un duello Romeo venne esiliato e Giulietta, per non trovarsi costretta a convolare a nozze con un nobile scelto dai genitori, ingerita una pozione datale da frate Lorenzo, cadde in una sorta di morte apparente. Morte che avrebbe dovuto durare all’incirca quarantadue ore, ma Romeo non era stato avvisato per tempo del piano e credendo che la sua Giulietta fosse morta, impazzito dal dolore, si stava recando al suo capezzale, là dove intendeva togliersi la vita. Romeo non avrebbe vissuto un solo altro giorno senza la sua Giulietta, questo pensava distrutto dal dolore, mentre attraversava testa china le vie di una Verona ancora assonnata. Non c’era anima viva in giro a ostacolargli il cammino, a parte una vasta pozzanghera, che stava per aggirare, ma quando abbassò lo sguardo vide che l’immagine riflessa in essa non era la sua, come avrebbe dovuto, e si voltò per vedere chi aveva dietro. Ma c’era solo la sua ombra allungata dai primi raggi del sole, al ché si sporse nuovamente e niente, la pozzanghera rifletteva il volto di un altro ragazzo e non il suo. Un ragazzo che aveva capelli e occhi neri, come anche la carnagione. Romeo non aveva intenzione di fermarsi per scoprire quali fossero le cause di quello strano fenomeno e, allungata una gamba, con il piede calpestò il volto, incurante.

Non l’avesse mai fatto, quando poggiò la punta del piede sullo specchio d’acqua subito dopo iniziò a formarsi un vortice. Romeo alla vista del gorgo fece subito un passo indietro, tuttavia esso si allargò a dismisura e a quel punto urlò tutta la sua disperazione: sperava che qualcuno sentisse le sue grida e accorresse in suo aiuto. Nessuno però udì le sue urla e le acque lo risucchiarono trascinandolo nelle loro viscere.

Istintivamente chiuse la bocca, ma la mancanza d’aria costrinse Romeo a riaprirla dopo pochi attimi. L’acqua grigia a quel punto invase la sua gola, che in un attimo si fece strada fino ai polmoni facendogli perdere i sensi.

Quando aprì gli occhi, Romeo si rese conto di trovarsi disteso su di un letto, più che altro un giaciglio fatto di paglia. Ma era ricoperto da lino fresco e profumato e la cosa non lo disturbò affatto. Si trovava in una grande stanza le cui pareti erano fatte di mattoni. Al centro della stanza faceva la sua bella figura una tavola apparecchiata con sopra una brocca, forse con dell’acqua, un cesto con della frutta, alcuni ortaggi e del pesce fresco. Al tutto davano luce due piccole finestre poste in alto da cui entravano i raggi di un sole caldo e abbagliante.

Quella non era casa sua, pensò Romeo sbalordito: non c’erano quadri e arazzi alle pareti e dal modo spartano con cui era arredata non aveva dubbi sul fatto che si trattasse dell’abitazione di un contadino. Come poteva essere possibile, si chiese perplesso. E stava per alzarsi e uscire, che la porta si aprì, la luce del sole lo abbagliò e fu costretto a chiudere gli occhi per non ferirli. Solo quando la porta si richiuse lui li riaprì e davanti a sé vide una donna e un ragazzo che lo guardavano come se fossero contenti di vederlo.

Il ragazzo era lo stesso il cui volto aveva visto riflesso nella pozzanghera. La donna non l’aveva mai vista prima. Anche lei aveva capelli e occhi neri e la carnagione era scura. I due indossavano uno strano abbigliamento: la donna una lunga tunica e il ragazzo un gonnellino, così che il suo torso era scoperto. L’unica cosa che accomunava i due è che erano scalzi.

La donna stava per presentarsi, ma Romeo si alzò di scatto e la zittì. «Chi siete voi e perché mi trovo nella vostra casa? Almeno, presumo che lo sia.»

Con un sorriso caldo e gentile la donna si presentò: «Io sono Tubara e questi è il mio figliolo, Piramo. Ti trovi a Babilonia, mio caro ragazzo, una delle città più ricche della Mesopotamia… e adesso tocca a te, come ti chiami e da dove vieni? Ti abbiamo trovato svenuto sulle rive dell’Eufrate ed è per questo che ti trovi nella nostra umile dimora.»

Romeo non poteva credere alle proprie orecchie. Doveva essere uno scherzo di cattivo gusto, come poteva essere arrivato in Mesopotamia, pensò turbato. Al ché sbottò irritato. «Mi state prendendo in giro? Non può essere vero! Fino a qualche minuto fa passeggiavo per le vie di Verona e…»

«Verona? E che città è mai questa! Dove si trova? Non ne ho mai sentito parlare.» Disse meravigliata la donna che si avvicinò e, dopo avergli preso il volto tra le mani, con tono calmo e comprensivo aggiunse: «Figliolo, devi aver battuto la testa, non esiste una città con quel nome, perché altrimenti io lo saprei… lavoro a corte a stretto contatto con il Re e l’avrei sentita nominare. Riposati, sei ancora scombussolato, poi ne riparleremo.»

Romeo non aveva sonno e stizzito ribatté: «Non ho bisogno di riposare! E voi, Signora, smettetela di farmi passare per pazzo.»

«Ora non ho tempo per parlare con te, figliolo, ma lo faremo stasera al mio ritorno, quindi ti lascio nelle mani del mio figliolo, Palmiro ti porterà a fare un giro per la città e vedrai con i tuoi occhi che non mento. A stasera dunque.» E rivolta al suo ragazzo: «Non farmi pentire, Piramo. Sai a cosa alludo, vero?»

«Sì madre! Non preoccuparti.»

Andata via la madre, Piramo si rivolse a Romeo. «E tu… scusa, come ti chiami?»

«Romeo.»

«Bel nome… anche se è un po’ strano. Come avrai sentito mi chiamo Piramo… assodato questo, vestiti, ho da farti vedere un sacco di cose e non abbiamo molto tempo.»

Sulla sedia accanto al giaciglio c’erano le sue cose: pantaloni, camicia e giubba. Anche la spada e Romeo fu felice di vederla, con lei al fianco si sarebbe sentito più sicuro, anche se l’avrebbe usata solo in caso di necessità.

«Non quelli, Romeo, i tuoi abiti non sono adatti, fuori fa molto caldo e patiresti… e poi se li indossassi attireresti l’attenzione e non è il caso. Abbiamo la stessa taglia, prendi questo e indossalo, ti starà bene.»

Piramo passò a Romeo una sorta di gonnellino bianco simile al suo e lui storse il naso, ma era troppo curioso di andare e li indossò.

«Ti sta benissimo e ti calza a pennello. Prima di uscire, però, spargiti questa pomata sulla pelle, la proteggerà dai raggi del sole, è chiarissima e stasera sarebbero dolori per te.»

Dopo che ebbe fatto, Piramo aprì la porta e invitò Romeo a uscire.

Quello che vide lo lasciò senza parole, rimase letteralmente a bocca aperta e, quando la richiuse, con la meraviglia negli occhi, Romeo disse: «Cos’è quella cosa?» Una pietra enorme con incisi degli strani caratteri si ergeva al centro di una grande piazza frequentata da centinaia di persone che la percorrevano in lungo e in largo.

«È il codice di Hammurabi. Il nostro Re. Si basa sulla legge del taglione, essa prevede una condanna equivalente alla colpa commessa. Così incoraggia il popolo a non farsi giustizia da soli, ma a rivolgersi in caso di bisogno alle autorità. Questa è Babilonia, la mia città e che dire, Romeo, io la adoro. Forza, vieni con me, questo è niente, ti porto a vedere dove vive il Re.»

Romeo seguiva Piramo con occhi pieni di meraviglia, si trovava per davvero in Mesopotamia o era solo un sogno? Però quando si trovò di fronte a quella costruzione immensa si disse che non poteva esserlo e cadde in ginocchio a guardare attonito quella magnificenza architettonica fatta di pietre incastonate una sull’altra alla perfezione.

«Questa è la residenza del Re. Il centro della nostra città: Babilonia. Come vedi è circondata da alte mura riccamente decorate, tuttavia ciò che la rende unica sono i suoi giardini pensili, si dice che siano una delle sette meraviglie del mondo.»

Era qualcosa di incredibile, fiori e piante adornavano muri perimetrali coloratissimi. Da essi a intervalli regolari sgorgava acqua che scendeva giù a cascata. Quello era il paradiso in terra, niente a che vedere con le case dei contadini, pensò affascinato da cotanta bellezza, che erano costruite su tre o quattro piani al massimo.

«Vieni con me, Romeo, noi non possiamo entrare, ti porto a vedere il mercato.»

Attraversata la città di corsa, Romeo si trovò davanti al mercato più grande che avesse mai visto. I mercanti vendevano di tutto e notò che molti si scambiavano le merci attraverso il baratto, non solo, c’era anche chi pagava con delle monete d’oro o d’argento.

Romeo ascoltava estasiato le urla dei mercanti che vendevano cose buone i cui profumi inebriavano i sensi. Ma si era fatto tardi e Piramo l’avvisò: «Dobbiamo andare, mia madre sarà tornata e se non ci vede si preoccuperà. E poi di sicuro avrà preparato qualcosa di buono visto che ci sei tu e ho già l’acquolina in bocca… ci sei rimasto male, vero? Non devi, domani ti porterò a vedere il resto.»

Frastornato da quello che aveva visto finora, Romeo non aprì bocca e lo seguì.

Arrivarono poco prima che il sole tramontasse. Piramo aprì la porta e salutò la madre, che lo accolse a braccia aperte per poi rivolgere il suo sguardo amorevole verso Romeo. «Allora, giovanotto, ti è piaciuta la nostra città?»

«Sì, Signora, ed è incredibile. Ora mi chiedo come io possa esserci arrivato qui da voi. Questa non è la mia città… non è il mio mondo e…»

«Su, su, non preoccuparti, ora mangiamo, ho preparato un sacco di cose buone. Dopodiché andrai a dormire e sono sicura che domani ricorderai tutto.»

Doveva essere un sogno, pensò Romeo, che si era detto che una volta sveglio sarebbe tutto tornato alla normalità, per cui non disse nulla, fece solo un cenno con il capo per dire che tutto era a posto.

«Molto bene, vedo che sei ragionevole, ragazzo. Siediti, ho preparato della polenta e infornato focaccia e farinata per te. Inoltre, ho messo su una zuppa di cipolle, ceci e lenticchie. Se non la gradisci c’è anche del pesce in umido… mi spiace, la carne non sono riuscita a procurarmela, non sono così ricca da potermela permettere.

Romeo non obbiettò e, dopo aver mangiato e bevuto della birra, senza dire nulla, finito si alzò e andò dritto verso il giaciglio.

Piramo stava per fermarlo, ma quando la madre lo guardò ammonendolo lasciò correre. Così che anche lui si sdraiò, ma in terra, visto che il suo giaciglio lo occupava Romeo.

Finito di rassettare, Tubara andò a riposare nella stanza adiacente e Piramo, a quel punto, si alzò, si vestì e uscì.

E Romeo, che non riusciva a prendere sonno, quando lo vide andare si alzò e lo seguì.

***

Piramo e Tisbe erano due fanciulli babilonesi che abitavano in due case contigue; grazie alla vicinanza si erano conosciuti e col tempo, tra loro, era nato l’amore. Ma le rispettive famiglie non volevano che si vedessero così loro si parlavano attraverso una crepa sorta nel muro comune alle loro case. Cosa che avevano fatto la sera prima, attraverso quella fessura si erano messi d’accordo per incontrarsi al sepolcro del Re Nino, sotto l’albero a loro tanto caro.

Anche Tisbe uscì di soppiatto senza farsi sentire dai suoi e, col volto velato per non farsi riconoscere, imboccò il sentiero e poco dopo arrivò davanti al sepolcro. Si guardò intorno, ma Piramo non era ancora arrivato, allorché si era seduta sotto l’albero prestabilito in attesa lui si facesse vedere.

Ma una leonessa, che aveva appena fatto strage di buoi, con il muso intriso di sangue stava  andando a dissetarsi alla fonte proprio lì accanto e quando Tisbe la vide, si alzò e corse a rifugiarsi in una grotta poco distante. Però, mentre lei fuggiva spaventata il velo le scivolò dalle spalle e cadde in terra.

E la leonessa, sedata la sete, stava tornando sui suoi passi che si trovò sul cammino il delicato velo e lo strappò ferocemente con le fauci ancora sporche di sangue.

Piramo era quasi arrivato sul luogo dell’appuntamento quando scorse le orme inconfondibili della belva e affrettò il passo temendo per la sua amata. Ma trovato il velo macchiato di sangue, che riconobbe essere quello della sua amata, pensando che la belva l’avesse divorata invocò anche per sé stesso la morte, in quanto ne era la causa. Distrutto dal dolore, Piramo raccolse i brandelli del velo di Tisbe e, arrivato ai piedi dell’albero convenuto, si conficcò un pugnale nel ventre e morì.

Quando Tisbe fu sicura che la leonessa era andata, uscì dal nascondiglio e s’incamminò per tornare sul luogo stabilito. Ma durante il tragitto fu costretta a fermarsi: il passaggio era bloccato da un corpo riverso in terra in una pozza di sangue. Lei dapprima si avvicinò circospetta, però quando riconobbe che quel corpo agonizzante era quello del suo amato Piramo disperata affrettò il passo e arrivata al suo fianco vide che teneva ancora stretto nella mano il velo intriso dal sangue lasciato dalla leonessa. Il suo amato si era tolto la vita credendo che la leonessa l’avesse uccisa, pensò lei distrutta dal dolore e tolto il pugnale dal ventre di lui, al suo posto inserì dei fiori bianchi colti lì accanto, poggiò la punta della lama sotto il suo petto, lama ancora calda del sangue di lui, si curvò in avanti e lasciò che la punta le trafiggesse il cuore.

***

Romeo aveva assistito a tutto impotente, tuttavia il loro dramma gli aveva aperto gli occhi: e se Giulietta, come Tisbe, non fosse morta per davvero, come invece gli avevano detto? A quel pensiero orribile iniziò a formarsi un gorgo come la prima volta, gorgo che lo risucchiò riportandolo indietro e si ritrovò davanti alla pozzanghera. E stava per aggirarla e andare dalla sua Giulietta a controllare, che una voce a lui conosciuta lo fermò, era quella di Frate Lorenzo.

«Sei tu Romeo? Benedetto Dio, ti ho trovato finalmente. Devo parlarti… ecco, non so come dirtelo, ma vedi, la tua amata Giulietta non è morta, come forse hai creduto. Ha solo ingerito una pozione che le ho dato io per darla a bere ai suoi genitori. Domani si sveglierà e potrai riabbracciarla di nuovo… te l’assicuro, dopodiché potrete fuggire insieme per lidi meno ostili e vivere felici il vostro grande amore.»