Racconto di Zia Bice

(Terza pubblicazione – 7 ottobre 2019)

 

Giovanni Alberti, nominato ufficiale in settembre, partì dalla città una mattina brumosa, per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.

Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c’era una grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.

Aveva il carattere duro dell’ufficiale di carriera, perciò non indugiò in convenevoli con la madre, anch’ella donna forte dai modi un po’ bruschi, tipici della gente di campagna, e non addolciti dalla permanenza in città.

Sapevano entrambi che non si sarebbero visti per lungo tempo, ma erano convinti dell’opportunità di quel destino, scelto da Giovanni e sostenuto senza esitazione da lei;  a questa certezza si aggrappavano quindi, con forza, per superare l’angoscia della separazione.

Il giovane uscì velocemente nell’aria fresca, fiero nella sua uniforme nuova e importante, portando con orgoglio il suo piccolo bagaglio, e si avviò per la strada deserta in direzione della stazione ferroviaria, da dove sarebbe partito per raggiungere il luogo in cui avrebbe trascorso molti anni di servizio.

Si sentiva strano, leggermente agitato e con il tipico restringimento allo stomaco di quando si affrontano situazioni nuove e dai risvolti imprevedibili. Era determinato a compiere qualche impresa militare che, se non lo avesse fatto passare alla storia, avrebbe almeno reso orgogliosa sua mamma, dopo tutti i conflitti da lei affrontati per rendergli possibile quella carriera. Aveva deciso di dedicare la sua vita a servire la patria con onore, e così avrebbe fatto, fino alla morte.

Il padre, morto da un’anno ormai, l’aveva ostacolato in ogni modo, poiché pensava che non avesse senso intraprendere “il mestiere della guerra”, poco remunerato e troppo rischioso. Avrebbe voluto, invece, che il figlio portasse avanti l’azienda vinicola di famiglia, un’attività ben avviata e molto redditizia, per la quale aveva rinunciato a tutto. Anche a sua moglie, sempre in disaccordo con lui sulle scelte relative al figlio, e con la quale aveva un rapporto molto contrastato, che portava, in alcuni estremi casi, alla violenza, più verbale che fisica, ma ugualmente dolorosa, e ai numerosi tradimenti che consumava nelle vigne, durante il periodo della vendemmia, con le ragazze prese a lavorare per contribuire alla sua fruttuosa attività di produttore vinicolo.

Alla sua scomparsa Giovanni non aveva pianto, aveva anzi provato una sensazione quasi di sollievo, misto ad un inevitabile senso di colpa, per sé e per sua madre. Si sarebbe pentito a lungo, in seguito, di quegli egoistici sentimenti, soprattutto poiché avevano offuscato la sua percezione del dolore materno, distrutta dalla perdita del marito e privata del dovuto conforto da parte del figlio.

Giovanni salì sul treno, e uscendo dalla città sentiva sempre più acuirsi quel senso di disagio che aveva provato la mattina appena sveglio, nella sua casa silenziosa. Come un presentimento, un senso di solitudine estrema che lo avvolgeva, un’ombra sui suoi occhi nerissimi.

Il treno si inoltrò attraverso le colline e lungo i filari che fino a poco tempo prima erano stati della sua famiglia, ma che lui non aveva mai sentito come suoi.

Era la fine di settembre, la vendemmia era nel pieno dell’attività, ragazze e ragazzi con ceste piene di frutti, che sembravano emanare un dolcissimo profumo soltanto a guardarli da lontano, si affaccendavano con zelo lungo i filari. Lavoravano alacremente per guadagnare il giusto compenso alla fine della giornata, ma, nonostante l’evidente fatica, sembravano felici, in totale armonia con la natura circostante.

Le viti iniziavano già timidamente a lasciare il loro colore verde brillante per assumere le mille sfumature tipiche dell’autunno, rosso, giallo, ocra, verde, marrone, uno spettacolo che gli riempiva sempre gli occhi e il cuore.

E, per la prima volta nella sua esistenza, ebbe un attimo di rimpianto, un momento di debolezza, al pensiero di un’altra vita possibile, passata tra quei filari variopinti, a coltivare la terra sulla quale era nato e in compagnia del profumo inebriante del vino, con il quale era cresciuto.

La locomotiva ebbe un sussulto e il convoglio si fermò sui binari, in mezzo ai vitigni.

Fu allora che la vide.

Vide una ragazza dai capelli corvini in mezzo ai filari, vestita umilmente, da contadina, che cercava qualcosa, come se l’avesse perso da tempo. Sembrava essere lì da sempre, tra le viti.

Sollevò lo sguardo, uno sguardo pieno di speranza e allo stesso tempo di rassegnazione, e lo scorse attraverso il finestrino, un giovane ufficiale dall’aria incerta.

La ragazza cambiò espressione. Giovanni trasalì.

Fu come se lei avesse visto il suo futuro, una vita trascorsa nell’attesa perenne dell’accadimento di qualcosa di eccezionale, tutte le sue aspettative tradite dal trascorrere inesorabile del tempo, la solitudine e la noia ad accompagnare ogni suo giorno e ogni sua notte, la sua prima destinazione diventata anche l’ultima.

Sembrò che la ragazza gli leggesse nell’anima, scorgendo il suo dolore represso e rinnegato, il dispiacere immenso, ma non interamente percepito, di aver deluso il padre, amato nonostante tutto.

Sentì anche la sua angoscia, il suo vacillare davanti ad una possibilità abbandonata per sempre, i suoi più intimi timori di aver scelto il destino sbagliato.

Gli sorrise, e il giallo e il rosso delle uve mature presero fuoco, solo per un istante.

Quindi rinunciò alla sua ricerca e se ne andò, scomparendo tra le viti come una presenza eterea, e Giovanni si chiese se fosse stata soltanto il frutto della sua immaginazione.

Dopo molti anni, ormai nell’età matura, in uno dei suoi tanti momenti di solitudine, egli avrebbe ripensato alla visione di quella contadina, una ragazza come tante che lavorava tra i filari, e contribuiva con il suo sudore alla creazione del dono più sublime derivante dal connubio tra la natura e il lavoro dell’uomo: il vino.

Il vino, che aveva rinunciato a creare per le sue ambizioni di imprese gloriose.

E avrebbe sentito di nuovo la sensazione provata la mattina della sua partenza, prima di sapere che la sua vita sarebbe stata solo una linea retta, senza mai una deviazione o una sorpresa: rimpianto. Una lacrima sarebbe finalmente scesa dai suoi occhi, cadendo sul tavolo, vicino al bicchiere.

Suo padre aveva ragione.

 

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