Racconto di Silvana Guarina

(terza pubblicazione – 17 novembre 2020)

 

 

Catturato e spintonato da un paio di soldati con i loro mitra, adesso è lì, sulla piazza del paese, in piedi, le braccia lungo i fianchi, lo sguardo ostinatamente fisso avanti a sé, in aperta sfida all’ufficiale delle SS.

Il giovane era stato catturato durante il rastrellamento che le truppe tedesche avevano messo in atto in   quella zona per dar man forte ai repubblichini in difficoltà. I partigiani sono una spina nel loro fianco: vanno eliminati assolutamente. Il biondo ufficiale delle SS, impassibile, lo fissa mentre porta la mano destra alla fondina e ne estrae una Luger.  “Toh!  Un tradizionalista. – pensa il ragazzo – Invece che un Walter P 38 questo mi ammazza con una vecchia Luger!”

Nella piazza del paese cala il silenzio: tutti i presenti sono consci di quello che sta per succedere ed impotenti.  Il partigiano lancia uno sguardo intorno: là, oltre l’auto nera dell’ufficiale, alcune donne si stringono l’una all’altra terrorizzate ma incapaci di fuggire via da quello spettacolo spaventoso.

L’ufficiale alza il braccio, lentamente, molto lentamente, ed un bagliore passa in quegli occhi azzurri, acquosi, da pura razza ariana. Il giovane guarda nuovamente il suo carnefice. L’ufficiale è perfettamente in ordine nella sua divisa grigio scuro e gli stivali neri sono lucidi.  Il grilletto viene premuto ed il giovane pensa alle sue scarpe sfondate ed ai suoi abiti logori.

Morire.  Gli sarebbe piaciuto morire decentemente vestito, con gli abiti della domenica che sono ancora appesi sulle grucce nell’armadio che divide con i fratelli piccoli. La pallottola ha un breve percorso da fare: basta meno di un secondo per raggiungere la fronte del giovane partigiano. In quella frazione di secondo durante la quale la sua vita si spegne, il ragazzo non ricorda i genitori o gli altri famigliari, e neppure la ragazza con la quale ha trascorso ore piacevoli nel fienile della sua cascina, nascosti da sguardi indiscreti.  Non ricorda nemmeno la fame fatta fino a quella mattina nei boschi o le azioni di guerriglia portate a termine con i compagni di lotta. La bicicletta.  Questo è il suo ultimo ricordo. La bicicletta, un po’ malandata, troppo alta per lui, ragazzino, ricevuta in regalo dai suoi vicini dopo la morte del loro figlio. Ricorda la corsa giù per la collina, lungo la strada sterrata, con il vento che gli scompiglia i riccioli neri ed il sole sul viso.  Ecco, ora è libero.

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