Racconto di Anna Maria Tagliamonte
(Seconda pubblicazione – 5 aprile 2021)
L’impatto fu devastante: i visceri della povera bestiola schizzarono dall’addome squarciato, sull’asfalto i segni della frenata e sangue dappertutto.
Laura rimase impietrita, si portò le mani al volto e si coprì gli occhi per non vedere l’orrore che la sua mente aveva già fotografato. Un urlo di dolore le rimase per sempre strozzato nella gola. Stava già per sopraggiungere un’altra auto, quando un uomo, che aveva assistito dall’altra parte della strada, incredulo per la dinamica assurda dell’incidente, si avventò senza pensarci sulla bambina: la sollevò, la strinse tra le sue braccia e la trasse in salvo.
Aveva dieci anni e dopo quell’incidente non riuscì a prendersi cura di nessun cagnolino: Lulù fu l’unico e solo. Glielo aveva regalato suo padre un anno prima che lui morisse di cancro. Da quando lui se n’era andato, Lulù soltanto era capace di attenuare la sua tristezza di bambina. Non avrebbe superato altrimenti quel lutto devastante. Il cane era la sua vera compagnia, l’eredità del padre, l’ultimo gesto d’amore. – Era morto, ma com’era potuto accadere? – Il destino, crudele e inspiegabile, entrava con violenza ancora una volta nella sua vita, e, strappandole il cuore dal petto, le lasciò un senso di profonda inadeguatezza. Laura cominciò a sentirsi responsabile della morte del cane: non era stata capace di prendersi cura di lui. Il senso di colpa continuò a divorarla per lunghissimo tempo. Ancora oggi a vent’anni di distanza, ripensando all’incidente, non riusciva a fare a meno di provare un’indicibile prostrazione. Non si era mai soffermata sull’intervento provvidenziale di quell’uomo, che forse non era lì per caso. Lulù era stata travolta ma lei era viva, viva per miracolo, viva nonostante il destino stesse accanendosi contro di lei, era viva grazie a quell’uomo. Un uomo – Ma chi era?-.
Laura non si era mai veramente posto la domanda, ma qualcosa stava accadendo.
Quella sera su quel letto enorme, persa nei suoi pensieri, aveva lo sguardo fisso nel vuoto, nel vuoto che Luca aveva lasciato nella sua vita tre anni prima, quando, pur amandola, aveva scelto di inseguire un progetto di vita che non includeva più lei. – Ti voglio bene- le disse- e te ne vorrò sempre e spero che un giorno tu possa perdonarmi, so che non ti piacerà quello che sto per dirti…- Le parole di Luca avevano un suono inconsueto che la mise subito in allarme. – Cosa vuoi dirmi?- gli chiese con un groppo in gola.
Luca era un medico, un oftalmologo, e negli ultimi tempi il suo ruolo nella Children Mission International diventava sempre più importante. – Devo partire- le disse – non posso vivere in pace sapendo che nel mondo 150 milioni di bambini rischiano, a causa del tracoma, di rimanere ciechi per sempre. Devo partire e questa volta non sarà solo per un mese. Ci ho riflettuto a lungo: voglio vivere in Africa la mia vita e dedicarmi completamente a loro. – Laura non sapeva se ridere o piangere. Avrebbe voluto dirgli che si sentiva fiera di aver conosciuto e amato una persona così speciale. Avrebbe voluto ancor più volentieri supplicarlo di non partire. In un attimo il mondo le piombò addosso. Non fece né l’una né l’altra cosa. Non sarebbe stato giusto interferire nelle sue scelte. L’amò, quella notte, senza parlare, con una passione più eloquente di ogni possibile discorso, l’amò con tutte le fibre del suo corpo e della sua anima, l’amò fino all’alba, un’alba che fu per Laura inizio di un tempo senza fine.
Il tempo? Cos’era il tempo se non una dimensione inesistente? Era fermo da allora, quand’anche la sua vita si era fermata. Ogni giorno indossava la maschera di sé stessa e trascinava la sua esistenza verso il nulla. Incapace di darne un senso, provava un dolore senza limiti e spesso le accadeva di rinchiudersi in casa come in un bozzolo. Il dolore la paralizzava ma al tempo stesso la proteggeva. In fondo si trattava di un’esperienza nota che preferiva a tutto il resto: ne conosceva i contorni e quegli abissi la spaventavano meno della vita stessa. Senza Luca niente aveva più senso. Era così giovane, eppure si sentiva così vecchia, spettatrice del tramonto interminabile della sua esistenza.
Quella sera, tuttavia, qualcosa cambiò nella sua vita. Era disperata, ma lo sconforto questa volta incontrò un limite: sentì intorno al suo corpo un calore insolito che la portò indietro nel tempo.
Si ricordò di Lulù, dell’incidente e dell’abbraccio di quell’uomo che le aveva salvata la vita.
– Chi era?- Questa domanda s’insinuò nella mente e modificò il corso dei suoi pensieri.
La sua memoria custodiva non solo l’orrore, il dolore, la disperazione e il senso di colpa. La sua memoria custodiva anche un’immagine rassicurante: il sorriso di quell’uomo e la serenità che ne scaturiva. Ne fu inondata.
Si addormentò madida di sudore, il caldo di quella notte era soffocante; s’addormentò mentre la sua anima si dischiudeva ad una vita che neanche l’amore di Luca era riuscito a rinnovare.
Il mattino seguente Laura si svegliò con un vigore mai avuto e una serenità che non sapeva di possedere. Si alzò dal letto e si recò al lavoro. Fece il più in fretta possibile, cercando un contatto con la quotidianità che le confermasse l’autenticità di ciò che stava vivendo. Strada facendo ripensò alla sera precedente e ripercorse a ritroso il flusso dei suoi pensieri. Rivisitò nella sua mente le immagini della morte del padre, dell’incidente di Lulù, dell’addio di Luca e, non riuscendo a spiegarlo nemmeno a sé stessa, vivere non le faceva più paura. Tutt’altro. C’era voluto tutto quel tempo per metabolizzare il dolore o più semplicemente era la vita che reclamava sé stessa? Fatto sta che, passo dopo passo, si rafforzava dentro di lei la consapevolezza di possedere una pace profonda, ed era stato il ricordo di quel sorriso a rendergliela nota. Chi era quell’uomo che da bambina l’aveva salvata e che lo stava facendo ancora? Era un angelo forse? Lei giovane donna, brillante, simpatica e intelligente vittima per un tempo incalcolabile del suo stesso dolore, asservita alle elucubrazioni della mente.
Giunse frattanto sul posto di lavoro.
Inserì la chiave nella toppa, aprì la porta ed entrò.
Accese le luci, indossò il camice, preparò in fretta un caffè in capsula, lo bevve e, come tutti gli altri giorni, attese il primo paziente.
Laura era davvero brava nel suo settore e quando si trattava di riabilitare pazienti traumatizzati da incidenti vari, non aveva rivali.
La sua professionalità, la preparazione e l’affidabilità erano le doti che la facevano preferire ad altri fisioterapisti.
Erano le otto in punto quando Paolo bussò alla porta. Entrò che era ancora claudicante per la distorsione alla caviglia, ma radioso e solare come sempre. All’istante lo studio si illuminò di luce nuova. Con Paolo i ruoli si invertivano: era Laura a trarre benefici dalla terapia.
Paolo era, infatti, il genere di uomo che riesce a farti ridere di gusto anche nelle situazioni più drammatiche.
Era diverso dagli altri lamentosi pazienti. Era il paziente che avrebbe voluto avere tra i piedi ben volentieri, ma quel giovedì si concludeva il ciclo di terapie e Laura cominciò ad avvertire un certo malessere. Non lo avrebbe più rivisto o forse sì… Ma quando? Come? Mentre nella sua testa si agitavano confuse tutte quelle domande, fu Paolo stesso a risolvere la situazione. Il fine settimana successiva avrebbe voluto recarsi a Napoli e, senza alcun indugio, le chiese se gli concedeva l’onore di accompagnarlo. Era da tempo che desiderava tuffarsi nell’atmosfera partenopea e che aveva rimandato per la sua difficoltà a deambulare. Adesso si sentiva pronto! Certo, non avrebbe potuto scarpinare per tutta la città, ma a lui bastava respirare l’aria di Napoli.
– Sì – gli rispose, senza concedersi il tempo di contare almeno fino a tre. – Ben volentieri! – Napoli le ricordava la sua infanzia e ritornarci dopo così tanti anni era una gran bella cosa. Erano trascorsi ormai più di vent’anni dall’ultimo ricordo che serbava della città, ventidue anni e tre mesi per la precisione, da quando si era trasferita con sua madre nel Lodigiano. E lasciando liberi di fluire i ricordi della sera precedente, raccontò a Paolo dell’incidente, della perdita della sua amata cagnolina, di suo padre e di quell’uomo.
Paolo l’ascoltò con una tale tenerezza e, per la prima volta dopo così tanto tempo, la ragazza si sentì circondata di qualcosa che aveva il sapore dell’amore.
Anche Paolo aveva una cagnolina e fu una vera sorpresa scoprire che si chiamava Lulù. A questo punto i loro occhi iniziarono a luccicare per la commozione, mentre i loro corpi si strinsero in un abbraccio rassicurante. Paolo era nato a Milano, ma da piccolo con suo padre si recava spesso a Napoli.
Suo padre adesso non c’era più.
Era un bell’uomo, morto qualche anno prima. Quando Paolo le mostrò la foto che conservava nel suo portafoglio, Laura sentì la terra vacillare sotto i piedi: riconobbe in quegli occhi lo sguardo di quell’uomo che l’aveva salvata da bambina e che probabilmente continuava a farlo. Le coincidenze non erano ancora terminate. Il padre di Paolo e suo padre, prima di intraprendere strade diverse, erano stati compagni di scuola, amici per la pelle, due fratelli insomma e adesso da lassù continuavano a vegliare come angeli sui loro figlioli quaggiù e su quell’incontro voluto dal cielo.
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