Racconto di Giancarlo Cotone

(Seconda pubblicazione)

 

 

Mi sono sempre piaciuti i nomi composti, danno un’idea di varietà, di non uniformità che si riflette necessariamente sul carattere della persona che lo porta. Insomma, se è vero che nomen omen, che cioè il nome è indicativo della personalità, allora – per fare un esempio – Gianugo non è solo Gian e non è solo Ugo, ossia non ha solo il “DNA-del-nome” di Gianni e non ha solo il “DNA-del-nome” di Ugo. Cioè, sempre che un nome abbia un DNA, ma credo che ci siamo capiti.

Io stesso mi chiamo Giancarlo e non a caso ho ereditato questo nome da mio padre Giovanni e mia madre Carla. Amo questo nome perché dentro c’è tutto l’amore dei miei genitori che oltre ai loro cuori hanno voluto unire anche i loro nomi. Ma questa è un’altra storia, quello che voglio dire è che io sento dentro di me la personalità, lo spirito di Giovanni e quello di Carla. Se io fossi un ristorante direi che sono di tipo Fusion. Attenti, voi che avete un solo nome, che so, Mauro, Fausta, Rosa, Paolo, tanto per dire. Voi potete permettervi una sola personalità, a me ne sono concesse due. Delle volte questo è un problema, perché quando devo prendere una decisione devo sempre sentire tutte e due le campane, però è anche un vantaggio, un po’ come la biodiversità.

Ho sempre avuto amici con nomi doppi, Gianfranco, Piersandro, Gianugo, Maria Rosaria, e tutti avevano qualcosa di speciale, ma nessuno come Pier Khalifa.

Pier Khalifa aveva un nome che si rifaceva ai due principali successori della divinità in due delle religioni monoteiste. Pier viene da Pietro che è come tutti sanno il successore di Cristo, tanto che si chiama «soglio di Pietro» la sede del papato a Roma. La religione cattolica ci insegna che il Papa è il successore di Cristo nel senso che è Cristo in terra. Peraltro, Khalifa in arabo significa proprio successore e Khalifa era il nome generico delle persone che sono succedute a Maometto che non era una divinità però era pur sempre il capo, il leader di una religione. Quindi Pier Khalifa aveva in sé il “DNA-del-nome” sia del leader della religione cristiana sia di quello della religione musulmana. Pier Khalifa, fin da piccolo, riusciva sempre a mettere tutti d’accordo perché ascoltava le due campane quando due persone litigavano, e alla fine era sempre in grado di trovare una sintesi tra le due posizioni, era insomma un pacificatore nato. Pier Khalifa si chiamava così perché il padre era cristiano e la madre era musulmana. Ora, tralasciamo quello che dicono le istituzioni religiose, se cioè il figlio di una musulmana e un cristiano deve essere musulmano o deve essere cristiano, questo non ha importanza. Pier Khalifa era una persona unica al mondo perché lui era sia musulmano che cristiano. Eh sì, lui era battezzato come Pier Khalifa anche se il parroco aveva un po’ storto il naso quando i genitori gli avevano comunicato la scelta del nome. Ma era anche un musulmano praticante, e la cosa strana era che nessuna delle due religioni trovava niente da ridire sul fatto che lui fosse anche un seguace dell’altra. Normalmente nella cristianità un musulmano è considerato un infedele e viceversa, ma nessuno trovava niente da ridire sul fatto che Pier Khalifa andasse alla moschea il venerdì e pregasse come un vero musulmano cinque volte al giorno, e andasse anche in chiesa la domenica e si facesse la comunione tutte le domeniche. Come questo fosse possibile nessuno lo sa, ma certamente, se è vero quello che dicevamo prima che nomen omen, allora Pier Khalifa era la sintesi di due mondi diversi. Ora, se tutto questo può già sembrare strano, è ancora niente in confronto alla storia un po’ particolare di Pier Khalifa.

Il ragazzo studiò in un seminario cattolico, ma durante le vacanze frequentava le scuole coraniche. Divenne prete e divenne imam. Era rispettato in entrambe le comunità, e questo rispetto si tradusse in una scalata alle gerarchie religiose. Per essere precisi, nella comunità musulmana non esistono gerarchie, ma esistono pur sempre il prestigio e l’autorità, e Pier Khalifa li acquisì entrambi in misura molto elevata. Invece nella chiesa cattolica ci sono le gerarchie, eccome se ci sono, e così dopo qualche anno Pier Khalifa diventò monsignore, poi vescovo e infine cardinale. Tutti sapevano che lui era anche musulmano, ma la sua capacità di andare d’accordo con tutti e di mettere tutti d’accordo gli permise di smussare gli angoli e di superare le polemiche che qualcuno sollevava. Per la cronaca, quelli che sollevavano problemi erano sempre persone con nomi singoli, Giuseppe, Aldo, Filippo e così via, mentre coloro che si chiamano Gianfilippo, Carlo Alberto o Piercarlo non avevano dubbi a supportare Pier Khalifa perché ne condividevano l’approccio bilaterale alla vita.

Il clou della carriera di Pier Khalifa fu quando in un pomeriggio di aprile, nel cielo di piazza san Pietro percorso da una sottile fumata bianca, risuonarono le parole “…habemus papam, excellentissimus Pier Khalifa cardinalis [XXX]”. Mi dispiace ma non posso rivelare il cognome, per via della privacy, ma questo non importa ai fini della nostra storia.

La notizia ricevette un consenso non unanime nel mondo cattolico – quelli con un nome solo continuavano a storcere il naso – ma generò grande gioia tra i seguaci dell’Islam perché per la prima volta un musulmano era diventato papa. Ovviamente anche qui ci furono dei nasi che vennero storti, ma il prestigio dell’uomo era tale che nessuno poté sollevare reali obiezioni. Anzi, i più grandi saggi dell’Islam si riunirono, e videro in questo una grossa opportunità. Già da qualche anno, la partecipazione di Pier Khalifa a eventi e conferenze interreligiose aveva portato a una distensione progressiva dei rapporti tra le due comunità. In tutto il mondo era sempre più raro che un musulmano venisse discriminato in paesi cristiani per la sua fede, e che un cristiano venisse chiamato infedele e discriminato nei paesi musulmani. La tolleranza stava sempre più prendendo piede, una genuina libertà religiosa era sempre più diffusa nel mondo, e tutte e due le comunità ne riconoscevano il merito a Pier Khalifa. A questo punto, i saggi musulmani convocarono una riunione al Cairo tra tutte le confessioni musulmane, sunniti, sciiti eccetera, e tutti d’accordo proposero che Pier Khalifa diventasse Gran Muftì di tutte le comunità sunnite, e Ayatollah Supremo di tutte quelle sciite.

In tutto il mondo le campane suonarono a stormo e i muezzin cantarono le lodi ad Allah dall’alto dei minareti.

Ma tutto questo è storia, accadeva tanti anni fa. Oggi Pier Khalifa ha una certa età e passa il suo tempo tra Roma, il Cairo e Tehran. Fa tanti viaggi per visitare le comunità più remote, dove porta sempre parole di pacificazione. A Gerusalemme non c’è più ostilità tra arabi e palestinesi, e questo ha grandemente contribuito a risolvere un’annosa e pericolosa situazione. Persino all’interno del mondo cristiano, cattolici e protestanti non si scannano più in Irlanda del nord, e c’è una proposta, peraltro ancora in discussione, di nominarlo arcivescovo di Canterbury.

È stanco, Pier Khalifa, e sale in aereo con sempre maggiore difficoltà, ma al prossimo viaggio proprio non può rinunciare: sta per andare a Stoccolma per essere insignito del premio Nobel per la pace, nessun altro in tutta la storia dell’umanità l’ha mai meritato quanto lui.

Per la cronaca, chi gli consegnerà il premio sarà il re di Svezia, Carlo Gustavo. Sarà una coincidenza?

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