Racconto di Giorgio Patrignani

(seconda pubblicazione – 2 ottobre 2020)

 

 

 

A Gerardo piaceva molto e da sempre la campagna: lui c’è nato in questa piccola casa, in mezzo la natura sempre viva. Era una mattina d’ottobre già sul tardi, era passata da diversi minuti mezzogiorno, il sole debole abbraccia le piante che coprono un po’ la strada formando delle ombre. Il clima è mite, forse anche troppo, per la stagione che sta scorrendo: Gerardo come tutte le mattine quando non aveva da fare sui campi porta a spasso il suo cane, molto affezionato a lui. Gerardo era diventato assai grande, di quelli che si dicono di mezz’età. La sua vita ad un certo punto era stata turbata, perché lui aveva fatto la guerra e subito la prigionia: lo avevano catturato sul campo lontano da casa. Si sul campo, sul campo di battaglia: lì al fronte si stava davvero male, ma il peggio doveva ancora arrivare per Gerardo. Era una mattina all’alba di un bruttissimo e gelido giorno d’inverno. Il freddo pungeva la pelle, coperta dai pochi stracci che avevano addosso e faceva lacrimare gli occhi. Dovevano combattere per non essere catturati dal nemico o peggio ancora, uccisi. Dopo quasi a metà giornata, dovettero arrendersi. Istintivamente Gerardo pensò: meglio così che morti; non pensava che più avanti nel campo di concentramento, l’avrebbe più volte desiderata, la morte, pur di mettere fine a quelle sofferenze. In prigione aveva sofferto anche la fame, in quel periodo avrebbe mangiato anche l’immangiabile se ci fosse stato. Li non combatteva più il nemico, ma anche se in modo diverso rischiava sempre la vita, la sua vita: doveva lavorare, un lavoro duro e disumano, che lo consumava giorno dopo giorno che per poco non gli impedì di tornare vivo a casa. Alla fine della guerra, quando lo hanno liberato assieme ai suoi altri compagni sopravvissuti, era messo abbastanza male, forse anche troppo: ha dovuto passare un altro mese in ospedale, per la sua salute compromessa. Dopo tanto tempo qualcuno tornò ad occuparsi di lui. Appena lo vide capì che aveva bisogno di cure, l’accompagnò fino ad un ospedale vicino a casa sua. Arrivò in ospedale, una mattina di dicembre: fuori era tutto bianco e gelido. Durante la notte era caduta tanta neve, ma Gerardo adesso non sentiva più freddo, né aveva più fame. Erano già diversi giorni che gli davano un pasto completo e caldo durante la giornata. In ospedale l’avevano sistemato in un grande camerone quasi vuoto, con i letti in ferro una volta completamente bianchi, ma ora aggrediti da una disgustosa ruggine. Seduto sul suo letto, Gerardo con lo sguardo fermo verso il basso, pensava, sperava che potesse rivedere presto tutti i suoi cari, che fino quando ebbero avuto la notizia di poterlo rivedere avevano perso qualsiasi speranza: si, perché erano mesi, quasi anni che non avevano più notizie di lui. Fu alla fine di quella giornata, ormai quasi notte, che il desiderio di Gerardo si stava avverando. Proprio quella sera entrò in quella grande stanza dall’odore di medicine un uomo anziano, che subito stentò a riconoscere Gerardo. Camminava con passo incerto, attraversando quel lungo corridoio di letti, si avvicinava sempre più a quel fragile giovane che era diventato Gerardo. Ora, dopo tanto tempo, rivedeva suo padre. Ormai, anche se ancora molto forte, gli si inumidivano gli occhi quando ricordava. Stava diventando, questa tristissima parentesi della sua vita, sempre più un triste ricordo del passato. Ora dopo tanto tempo viveva serenamente, lavorava la terra che sicuramente gli dava da mangiare, vivendo da sempre una bellissima storia d’amore con Tilde, la sua Tilde. Si erano conosciuti a giugno del lontano ’47, alla festa del Corpus Domini. Tutto il paese in festa quel giorno, con le sue vie abbellite per l’occasione con petali di fiori colorati che formavano dei disegni dando alla vista il senso del bello. Poco dopo averla vista di nuovo, Gerardo esordì molto gentilmente: “Sono sempre le belle occasioni a farci incontrare e questo mi fa sempre molto piacere. E’ bello vederci spesso, potrei conoscere il vostro nome?” Tilde rispose anche lei molto gentilmente: “Il mio nome è Tilde, il vostro?” L’aveva vista più volte in paese, quando Gerardo andava a messa, ma quel giorno fu diverso, forse una coincidenza li fece incontrare e parlarsi. Visto poi come andarono le cose, sicuramente fu anche per Tilde un piacevole incontro. Dopo quel giorno ci furono altri incontri, sempre più intensi e piacevoli. Ora non erano più le belle occasioni a farli incontrare, ma gli appuntamenti che si davano ogni volta che si vedevano. Più passa il tempo, più hanno la certezza che il loro è stato un amore a prima vista. Non hanno mai avuto figli Tilde e Gerardo: il loro amore il loro grande amore non l’hanno dovuto dividere con nessuno. Avevano passato tanti giorni, tanti anni assieme e una triste legge della natura li aveva fatti invecchiare insieme, quando a un certo punto della loro dolce convivenza accadde qualcosa di tragico ed irreparabile. Tilde da un giorno all’altro non volle più mangiare e con il passare dei giorni, si lasciò andare e si arrese alla malattia che l’aveva colpita. Gerardo non avrebbe mai pensato, non avrebbe mai voluto sopravvivere a sua moglie, ma un destino crudele, per lui, li separò improvvisamente e per sempre. Quel brutto male se la portò via in un triste giorno di una caldissima estate. Gerardo adesso deve rassegnarsi di vivere gli ultimi giorni della sua vita, da solo, senza la sua Tilde, che gli sorrideva dolcemente la sera prima di addormentarsi e la mattina al risveglio pensava a lui, si occupava di lui durante la giornata, gli preparava il mangiare e faceva tutto questo con passione e tanto amore. Adesso Tilde non è più con lui e lui cercava di sopportare questa mancanza, quest’assenza di Tilde nelle fredde stanze della loro casa, andando a parlarle tutti i giorni alla stessa ora al camposanto, sulla sua tomba. Andava con il freddo d’inverno e con il caldo d’estate: parlava, raccontava, come se quello che dicesse potesse arrivare nell’aldilà e raggiungere la sua amata Tilde. E’ qui che lo trovarono, in un umido giorno di novembre, serenamente addormentato per sempre vicino al suo unico amore. Sembra proprio che il grande amore non si sia spento con loro ma sia sopravvissuto. Si perché l’amore, quello vero, non può morire con i comuni mortali ma sicuramente sopravvivere nei ricordi della gente che ha avuto la fortuna di conoscere Tilde e Gerardo e raccontare sempre la loro bellissima storia d’amore.