Racconto di Marco Leonardi

(Quarta pubblicazione)

 

“Oh, immagino che ne abbiate ricevute parecchie di queste lettere, al comando di polizia. Mitomani, per lo più. Ma a differenza dei più, voglio presentarmi, Commissario. Capirà alla fine perché. E quindi, eccomi: Luca Daelli, scrittore. No, scrittore è limitato. Macchina per scrivere allora, come mi definisce la critica dotta con malcelata ironia. Non mi piace, ma mi descrive.

Comunque sia, quel pomeriggio ero appena uscito dalla metro in Piazza Duomo, quando sentii la sua voce.
Calda, armoniosa, avvolgente.
Mi ricordava qualcosa, ma cosa?
Mi voltai e all’inizio fu una delusione: una donna che poteva avere sui sessantacinque anni, alta e magra, coi capelli di un bianco luminoso tagliati corti intorno a un viso lungo, bocca dalle labbra sottili senza rossetto e un naso diritto e regolare sotto i grandi e rotondi occhiali scuri.
Poi mi accorsi della grazia con cui porgeva a non so chi un pacchetto incartato con cura e poi di quel suo incedere sicuro, ma non arrogante con cui si allontanava verso San Babila.
Sa, Commissario? Non ho mai avuto problemi nello squartare oggetti e persone reali per creare coi loro pezzi i miei personaggi. Eppure con quella donna, quella donna per niente speciale, non ci riuscivo.
Passavano i giorni, ma nulla.
E finalmente una notte la sognai. Era lei, ma era anche mia mamma, la mia mamma biologica, voglio dire. Nel sogno udivo la sua voce calda, armoniosa e avvolgente, sentivo il calore delle sue labbra sottili senza rossetto sulla mia guancia di bambino di sette anni. Poi una donna in divisa mi strappò da lei, che vidi per l’ultima volta mentre varcava la soglia di casa, tra due poliziotti, mentre altri scattavano foto e facevano chissà che altro chinati sul corpo di mio padre e sul suo sangue.
Mi svegliai urlando e compresi.
Non si può uccidere la propria madre, anche se è una assassina, anche se – come dice il mio analista – si è anaffettivi.
Eppure dovevo farlo, dovevo in qualche modo farla fuori, prima che mi invadesse ancora di più la mente. Con le mie storie, i miei personaggi volevo essere libero di creare come volevo, senza che alcunché mi condizionasse.
Ecco, creare.
Stava lì, signor Commissario, la via d’uscita?
Voglio dire: se descrivere un personaggio di fantasia con la dovuta maestria gli dà vita, non può succedere l’opposto? Cioè, che una descrizione sciatta, senza nerbo, senza attenzione ai particolari può farti dimenticare una persona reale?
Ho, per ora, la sorte di dirigere una delle tante scuole di scrittura. Tra gli allievi ce ne sono sette, con un certo talento immaginativo e abilità letteraria, ma assolutamente carenti quando si tratta di descrivere luoghi e persone. A loro inviai una breve descrizione del momento in cui avevo incontrato quella donna, chiedendogli di farne un racconto.
Mi arrivarono e li lessi con avidità.
Niente.
Con furore li modificai, rendendoli ancora più sciatti.
Ancora niente.
Guardai l’orologio: erano le 2.14. Era tardi ed ero uno stupido.
E anche il mattino dopo, niente.
Lei, quella donna (mia madre?) sempre lì, nella mia testa.
Scrollai il capo, risi tra me della mia balordaggine, feci il caffè e accesi la tv.
Al tg stava passando una notizia curiosa: in via Modestino era stata trovata, accartocciata contro il muro del palazzo al civico 8, una Smart quattro porte nera, che dalla targa risultava intestata a Fulvia Nascimbeni, di cui avevano parlato le cronache una ventina di anni prima per aver assassinato durante una lite il marito sotto gli occhi del figlio Luca di sette anni.
Lo strano era che all’interno della macchina non ci fosse nessuno.

Oh, Commissario: so che le spiegazioni dell’accaduto ci sono e tutte piuttosto banali, anche se incomplete, come un avviamento accidentale, ipotesi avvalorata dal fatto che le chiavi erano nel quadro e la prima inserita.
Ma allora perché la Nascimbeni non si faceva viva? O era stata la stessa donna a organizzare il tutto? Ma perché?
Sta di fatto, Commissario, che secondo l’ora segnata sull’orologio dell’auto, l’incidente era avvenuto alle 2.14 del mattino.
L’ora esatta in cui avevo finito di leggere i racconti.
Immagino, Commissario, che Lei sia abbastanza intelligente per capire cosa credo sia successo, perciò non mi dilungo oltre. Anche perché devo inviarLe la mail che sto scrivendo. Non si stupisca, è l’unico modo che conosco per fermare un individuo estremamente pericoloso: me.”.

Guardo ancora la mail che il solerte brigadiere Sanfilippo ha appena stampato. Alzo gli occhi verso Annalisa, la mia vice.
“Che ne dici?”.
“A me sembrano i deliri di un pazzo. Pretendere di aver ridotto al nulla una persona solo descrivendola male. Mah… Dovremmo sentirlo, comunque”
Le sorrido.
“Già fatto”.
“Cioè?”.
“Ho mandato gli agenti Cancemi e Pisticci a consegnargli una convocazione, dovrebbero… Ah, eccoli! Fatto, Cancemi?”.
“No, mi spiace signor Commissario. Abbiamo bussato e suonato più volte, ma nulla. Nessuno ha risposto”.

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https://www.ibs.it/dialoghi-sette-percorsi-narrativi-libro-vari/e/9788874706525

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