Racconto di Giorgio Rinaldi

(Terza pubblicazione – 9 aprile 2020)

 

Giulio uscì dall’ufficio con una sola certezza: appena arrivato a casa avrebbe smesso gli abiti da impiegato ed indossato quelli da cuoco. Era una consuetudine che il tempo aveva promosso a regola e che prevedeva anche che il figlio Daniele ogni volta gli chiedesse interessato – Che prepari stasera, Pa’? – Sara, la figlia più grande, di domande non ne aveva e aspettava fiduciosa sul divano la messa a tavola. Angela, invece, non si sentiva minimamente coinvolta da quella fase della serata, anzi, faceva di tutto per tenersene lontana, perché per lei cucinare equivaleva ad una condanna, una tortura, una cosa contro natura che faceva contorcere ogni cellula del suo bel corpo.

– Che prepari stasera Pa’? –

– Ho un guanciale eccezionale, farò due spaghetti all’amatriciana, scaloppine al limone e finocchi alla cazzimperia, va bene? – rispose Giulio alzando la voce, in modo che tutti lo sentissero.  Ma come sempre solo Daniele sembrò aver captato il messaggio.

Dopo pochi minuti, l’acqua era sul fuoco, le scaloppine erano infarinate e il guanciale soffriggeva in padella, in attesa dei pomodori freschi che Giulio stava tagliando a pezzi. Ecco, era il momento di gettarli in padella e sentire lo sfrigolio premonitore di quei profumi intensi e appetitosi. Giulio prese la ciotola con i pomodori e proprio mentre li stava versando in padella fu colpito da uno starnuto fortissimo, seguito immediatamente da un cupo colpo di tosse. Seguì un silenzio innaturale, durante il quale il tempo sembrò rallentare e, seppure girato verso i fornelli, Giulio sentì gli occhi di tutta la famiglia puntati sulla sua schiena. Quelli di Angela, però, passarono lentamente dalla schiena al piano cottura, con lo stato d’animo di un condannato a morte a cui viene mostrata in anticipo la sedia elettrica. Gli occhi di Sara e Daniele conversero lentamente gli uni negli altri, perdendosi in un’espressione di smarrimento. Angela si avvicinò al marito e poggiandogli le mani sulle spalle gli chiese – Tutto bene? Vuoi che ti prenda un antidolorifico, un antinfiammatorio, un antifebbrile, un antistaminico, un antibiotico? –

– No no, grazie, è solo uno stranuto, anche se qui – disse Giulio portandosi la mano alla gola – ho un leggero bruciore che … mah, sarà stato il pepe della cazzimperia. – e continuò a cucinare.

Per le otto e trenta era tutto in tavola.

– è pronto! – gridò Giulio e si mise a sedere.

– Pa’, certo che se muori prima tu bisognerà fare una convenzione con il ristorante! – disse Daniele ridendo e ammiccando verso la mamma.

– E se muoio prima io che bisognerà fare eh? Un abbonamento con la lavanderia, la stireria, l’impresa di pulizie, il commercialista? – rispose Angela stizzita. Giulio e Sara rimasero per qualche secondo indecisi sul convenire con lei riguardo le sue sacrosante ragioni o cedere all’ilarità causata dal meccanismo con cui Daniele riusciva puntualmente a scatenare le reazioni della madre. Prevalse quest’ultima, ma subito dopo Sara riuscì abilmente a far virare la conversazione verso mari meno rischiosi – Papà, ma che vuol dire cazzimperia? – chiese.

– In italiano sarebbe il pinzimonio, ma a Roma si dice così. Chissà forse significherà qualcosa o forse è solo una presa in giro del cacimperio, un piatto tradizionale del Nord con la fonduta, lo sai come sono i Romani! – rispose Giulio.

– O forse dipenderà dall’effetto afrodisiaco che il pepe ha sui maschietti! – intervenne Angela rivolgendo a Giulio uno sguardo malizioso. I ragazzi insorsero –Ma’! Basta co’ ste battutine! – Non la sopportavano proprio quando faceva battute a sfondo sessuale o scherzava sui rapporti intimi con Giulio, soprattutto Sara che considerava i genitori come due esseri totalmente asessuati e inadeguati a qualsiasi effusione amorosa. Giulio allora, tenendo il gioco alla moglie, si alzò, prese il macinino del pepe e chiese ai ragazzi – Ma, stasera uscite vero? Perché nel caso, mi servirebbe un rinforzino! – e attese la loro risposta con il macinino pronto sulla ciotola dell’olio. Stavolta rispose Daniele – Pa’, per favore, non ti ci mettere pure tu! – Giulio e Angela scoppiarono in una risata, mentre i figli si alzavano da tavola con lo stesso piglio di un professore che lascia l’aula disgustato dallo stucchevole comportamento dei suoi alunni.

– Noi usciamo eh! – e poi – C’avete qualche soldo? – queste due frasi, pronunciate puntualmente in successione, decretavano ogni sera la fine del convivio familiare.

Angela non riusciva a rilassarsi quella sera. Le parole di Giulio e l’immagine di quella mano portata alla gola continuavano a tormentarla e per tutta la sera osservò il marito alla ricerca di un’espressione, un lamento, una qualsiasi smorfia che potesse prefigurare il tragico epilogo.

La notte non fu tranquilla. Giulio russava rumorosamente e Angela, durante i rari sprazzi di sonno, veniva catapultata in una cucina infernale, assalita da pentole con i denti a sciabola, insidiata da padelle a sonagli che la costringevano a camminare bendata su una lunga fila di fornelli ardenti.

Ma arrivò la mattina e allo sguardo indagatore di Angela non sembrò che la situazione fosse degenerata. Giulio era in forma anche se parlava un po’ di naso, forse sarebbe tutto sfociato in un semplice raffreddore. Neanche la telefonata che si scambiarono come sempre all’ora di pranzo sembrò fare emergere sintomi peggiori, ma quando la sera Giulio la andò a prendere sotto l’ufficio, Angela capì che il suo destino era segnato.

– Ho freddo – disse Giulio mentre guidava l’auto verso casa. Angela rimase in silenzio, poi dovette fare appello a tutte le sue forze per compiere quel gesto che avrebbe potuto decretare la sua condanna.  Il suo braccio si mosse in modo innaturale, come comandato da un filo, si portò in alto per poi far ricadere il palmo della mano sulla fronte del marito. Angela con voce flebile sentenziò – Hai la febbre. – e mesta reclinò il capo.

I ragazzi trovarono Angela da sola, triste, pallida, con gli occhi lucidi e i capelli disordinati. – Che hai fatto? Problemi al lavoro? E Papà dov’è? – chiese Sara. Angela fece una smorfia e con lo sguardo indicò il piano di sopra. Quel gesto pietrificò i ragazzi. Poche cose potevano ridurre la madre in quelle condizioni e i due tremavano all’idea che si trattasse proprio di quella. Si guardarono muti e lentamente salirono i gradini delle scale, arrivarono alla camera dei genitori, si affacciarono e videro ciò che non avrebbero mai voluto vedere: Giulio era a letto febbricitante, sotto una montagna di coperte. Ridiscesero al piano di sotto e intuirono subito la gravità della situazione. Angela compiva gesti nervosi e scoordinati tra i fornelli ed il frigorifero, con cui si accaniva in modo particolare aprendo e chiudendo lo sportello a ripetizione e accompagnando il tutto con imprecazioni di ogni genere. Decisero che era meglio stare in disparte per il momento e si sedettero sul divano in meditazione, senza proferire parola.

Dopo una mezz’oretta Angela iniziò a mettere in tavola qualcosa che nelle sue intenzioni sarebbe dovuta essere una pasta burro e parmigiano, dei bastoncini di pesce e dei pomodori in insalata. Sara si sedette vicino a lei e l’abbracciò, ma fu Daniele che riuscì nonostante tutto a darle un po’ di conforto. – Tranquilla, papà guarirà presto, – disse mentre brandiva un bastoncino di pesce dal quale sgorgava olio a fiotti – lui ci tiene alla nostra salute! –

Dopo cena i ragazzi uscirono, Angela mise a posto frettolosamente la cucina, prese termometro e tachipirina e salì da Giulio.