Racconto di Mitia Chiarin

(Seconda pubblicazione – 2 maggio 2019)

 

Aveva cominciato senza accorgersene. Era sceso dall’autobus che da Marghera lo aveva portato a piazzale Roma e aspettava il vaporetto per Rialto. Era una mattina di quelle che avresti sbagliato fermata apposta per andare al Lido a passeggiare. Che non era ancora caldo abbastanza per spogliarsi e andare in spiaggia, ma c’era il tepore giusto per camminare e godersi il sole. E in autobus prima e in vaporetto poi, Giovanni, aveva dovuto infilare le cuffiette a volume spento, per non sentire il cicaleccio degli altri viaggiatori che lo disturbava.

Parlavano di cose che non lo interessavano.

Discutevano dell’ultimo libro di cucina in vetta alle classifiche; del disco del nipote del premier che aveva vinto il festival delle voci giovani della nazione; del politico in mutande finito in copertina del giornale del partito di governo. Gli altri quotidiani erano falliti per le cause intentate contro di loro da questo o quel politico del partito unico di governo, quel grande patto di salvezza nazionale che aveva messo assieme i principali partiti ed era salito al potere per salvare l’Italia che era in emergenza. Nel 2020, otto anni dopo, pareva non fosse cambiato niente. Ma nelle librerie si trovavano solo libri di cucina, gli unici che vendevano migliaia di copie.

Se cercavi un romanzo, un libro di racconti, un classico della letteratura italiana e straniera dovevi andare alle biblioteche comunali, pagare una tassa di iscrizione di 50 euro l’anno e versare 5 euro a libro preso in prestito. Giovanni per studiare italiano, faceva così.

Andava alla biblioteca civica e si faceva prestare un libro. Cinque euro alla volta. E per leggere senza esser disturbato dai discorsi stanchi degli altri pendolari, infilava nelle orecchie le cuffiette dell’Ipod ma non lo accendeva. Gli bastava il gesto per procurarsi attorno alla testa quel giusto grado di silenzio che lo aiutava a leggere in santa pace. Giovanni era arrivato in Italia venti anni fa e per sostenere l’esame per il permesso di soggiorno di lunga durata, l’ennesima novità del governo, leggeva. Giovanni aveva sentito in tv che il prossimo anno avrebbero potuto far l’esame gli stranieri in Italia da ventuno anni (ogni anno il governo alzava l’asticella del periodo minimo di residenza) e lui si sentiva oramai pronto ma leggeva sempre e di tutto e ovunque, nei bar come in vaporetto.

Quel giorno andò diversamente dal solito. Con le orecchie spente, non si era manco accorto che leggeva a voce alta. Glielo aveva insegnato suo nonno, che in Moldavia, a casa sua, ci era morto tre anni fa.

“Se non vuoi sentire e stare male, spegni le orecchie”, gli aveva detto una mattina che l’aveva trovato in camera a piangere mentre in cucina suo padre litigava con sua madre e volavano schiaffi come piatti affilati.

E così Giovanni che sapeva spegnere le orecchie, leggendo la “trilogia della città di K” si era coinvolto così tanto che con tutto quel silenzio attorno e il sole che gli grattava la fronte dal vetro del vaporetto, si era messo a leggere a voce alta.

E si era accorto di quel che faceva e degli sguardi degli altri, che lo fissavano come se si fosse messo quel giorno le mutande in testa, solo quando alzò gli occhi dal libro e vide la tabella dell’imbarcadero di calle Vallaresso e non quella di Rialto.

Rosso in faccia, davanti a tutti quegli sguardi indagatori, si affrettò a scendere per non perder anche quella fermata e si sentì poi uno che camminava con le mutande in testa e si mise a sistemare i capelli, la giacca, il nodo della cravatta per non sentirsi strano.

E passava davanti alle vetrine e si guardava per capire cosa non andava.

Mentre camminava a passo svelto per tornare verso Rialto, oramai certo di arrivare in ritardo al negozio dove lavorava come commesso, un signore gli si affiancò e gli sorrise.

“Lei ha una bella voce, lo sa?”, gli disse l’uomo. Giovanni non ricambiò il sorriso ma alzò la testa di scatto come per dire che aveva capito.

“E’ tanto che non sentivo leggere. Che libro è quello?”, continuò a chiedergli il tipo.

Sarà un poliziotto, pensò Giovanni, e gli mostrò la copertina della “Trilogia”, che teneva sotto il braccio.

“Ho capito. Volevo solo dirle grazie che ha letto per noi”, disse il signore sfiorando la copertina del libro con un dito. “E’ tanto che non ne vedo uno”, si lasciò scappare poi. E se ne andò dalla parte opposta. Senza aggiungere altro.

Giovanni si era fermato a guardare lo sconosciuto che se ne andava di nuovo verso San Marco e pensò che viveva in un posto davvero strano se leggere un libro era diventata una azione così stupefacente. Per cosa è famosa la Moldavia? Forse solo per i lavoratori in nero. L’Italia invece la conoscono tutti, per Leonardo Da Vinci, Dante, l’architettura, l’arte, Baggio e Vasco Rossi. Un sacco di cose.

E questi non hanno detto una parola quando le librerie hanno smesso di vendere libri e si sono dimenticati delle biblioteche. Gente strana gli italiani, che si lamentano in un cicaleccio continuo di dolori, malcontenti e tristezze, ma gli va bene tutto.

Ecco, era cominciato così.

Spegnendo le orecchie e lasciando andar la voce al passo dell’occhio. Giovanni il giorno dopo era risalito sul bus e poi sul vaporetto, aveva indossato le cuffiette dell’Ipod, e aveva aperto il libro. E si era messo a leggere, a voce alta, nel suo silenzio.

E man mano che i giorni passavano, neanche gli serviva più spegnere le orecchie perché in vaporetto, si era accorto, quando saliva lui a piazzale Roma, tutti facevano silenzio e stavano a sentire quel che la sua bocca diceva. E il signore che l’aveva ringraziato quel giorno, gli teneva sempre il posto e gli toccava la spalla quando stavano per arrivare a Rialto. E lo sconosciuto e Giovanni, man mano che passavano i giorni, si salutavano con la mano, in salita e in discesa.

Così Giovanni non aveva più saltato una fermata. E ogni mattina alle 7.30 saliva sul vaporetto e leggeva la “Trilogia”.

Tre, quattro pagine a viaggio.

Solo la mattina in cui era alle ultime pagine, ne mancavano cinque, e lui voleva finire quel libro così strano, capire cosa succedeva, e la gente attorno a lui pure, tutti saltarono la fermata di Rialto e finirono diritti fino all’imbarcadero del Lido, a Santa Maria Elisabetta.

Giovanni prese fiato. Gli mancavano poche parole: “Il treno è una buona idea”.

In cento lo applaudirono mentre chiudeva il libro. Poi se ne andarono tutti assieme a passeggiare verso la spiaggia, che c’era finalmente il caldo giusto per andare a fare il bagno in mare. Da allora, non smisero più di leggere, assieme.