Racconto di Maria Teresa Innocente

(Prima pubblicazione)

 

Sono nato in primavera e il mio nome finisce con la lettera “L”. Sono qui, davanti al mare, guardo l’orizzonte e mi interrogo sul senso della vita, su di me, su quale sarà il mio futuro in questa terra. I ricordi mi travolgono, ritorno con la mente a ciò che era la nostra storia, fino a due ore fa.

Ho vent’anni, sono al primo anno di università. Da alcuni mesi, finalmente ho la possibilità di uscire dal mio piccolo paese, vivere in una grande città affacciata sul mare, fare nuove amicizie, incontrare altre persone. Anche studiare, certo, forse non è proprio il mio forte, ma ho scelto la facoltà che mi interessa, grazie ai miei genitori che, con sacrificio, fanno il possibile per darmi questa opportunità. Ho scelto filosofia, mi attrae comprendere l’evoluzione del pensiero nel corso dei secoli e nelle varie parti del mondo, in Occidente e in Oriente. Mi intriga la materia, è un modo per interrogarsi, per elaborare idee, sviluppare spirito critico e capacità di astrazione. E poi mi piace l’idea di discutere con altri di tutto questo, la dialettica non mi manca, direi che mi caratterizza.

Nuova vita quindi, nuovi incontri, nuovi entusiasmi.

Frequentando il campus universitario l’avevo notata già alle prime lezioni, seduta in prima fila, seguiva sempre con attenzione la trattazione dei docenti, partecipando attivamente con domande e richieste di approfondimenti: una specie di secchiona! Non la definirei bella, piuttosto un tipo particolare, alta, capelli lunghi appoggiati sulle spalle, i lineamenti un po’ irregolari, una leggera gobba sul naso, quasi impercettibile. Me ne sono accorto perché amo disegnare e con spirito di osservazione riesco a cogliere questi piccoli dettagli. Non sapevo come avvicinarmi per conoscerla, con quale scusa? È sempre il momento più difficile per me, temo lo sguardo imbarazzato, se non ostile, di chi ancora non mi conosce. Ho provato con il solito giochino, urtandola leggermente mentre uscivamo dall’aula: «Scusami, non volevo, come posso farmi perdonare?». Mi ha guardato con una strana espressione perplessa, ma gli occhi, scuri e profondi, sembravano sorridere. «Non fa niente, sono Mara, piacere». «Io sono…» approfitto e mi presento, offrendo una stretta di mano a cui risponde con energia e calore. Inizia così la nostra storia, mi innamoro come mai prima. Ogni giorno dopo lezione facciamo delle passeggiate per raccontarci di noi, di chi siamo, dei nostri sogni, delle paure del futuro, delle piccole e grandi difficoltà. Studiamo, Mara è brava, molto responsabile, riesce ad influenzarmi e, pur di stare con lei, inizio anch’io a studiare regolarmente. A volte andiamo in giro per la città alla scoperta di angoli particolari, palazzi e chiese ricchi di storia e di opere d’arte. Un percorso che diventa anche un cammino culturale, una crescita personale.

Sono “perso” e spero di essere ricambiato con la stessa intensità.

Arrivano gli agognati momenti dei baci, delle carezze, dell’intimità, mi sento come in paradiso. Svaniscono d’incanto le mie paure, le mie insicurezze, i miei incubi notturni, i lati bui che a fatica ho chiuso in una parte remota di me, che non devono ritornare, che non voglio più ascoltare. Vivo questo sogno e questo amore con tutto me stesso.

Fino ad oggi. Mi ha proposto di andare a studiare a casa sua, non l’aveva mai fatto. Ne sono impaurito e onorato allo stesso tempo, mi rassicura dicendo che non c’è nessuno e che i sui genitori sono a lavorare, mi lascio convincere. Ci applichiamo un paio di ore e poi ci lasciamo andare agli abbracci, ai baci, alle carezze…

All’improvviso sentiamo qualcuno che apre la porta di casa, la vedo impallidire, si alza in fretta per andare a vedere chi è. «Ciao papà sono qui con il mio amico, fidanzato, di cui ti ho parlato, ti presento…». Non finisce la frase che il padre sbotta: «Ma è nero! Ma sei pazza, cosa ti è venuto in mente! E tu cosa ci fai con mia figlia! Chi sei? Vieni qui a casa mia per rubare? Per togliere il lavoro agli Italiani! Vattene».

Mi sento travolgere da una tempesta di pensieri, come onde di un mare in burrasca, le mie emozioni sono cavalloni enormi, indomabili, la rabbia e la violenza stanno per esplodere. La mia parte più oscura, quella nascosta in fondo, quella messa a tacere in tutti questi anni con grande fatica, sta per riemergere. Non so con quali risorse cerco di restare in me e dire: «Sono italiano e non rubo niente a nessuno, ciao Mara».

Esco, giro come un automa per la città, senza neanche sapere dove sto andando. Sono travolto da mille pensieri, in pochi minuti la mia vita mi scorre davanti. Rivivo come mi sentivo quando i miei compagni delle elementari chiedevano: «Perché la tua mamma ha la pelle bianca e tu sei nero?»

Risento la paura per gli atti di bullismo subiti alle medie, il fastidio per i continui controlli dei documenti da parte delle forze dell’ordine, durante il viaggio giornaliero per andare al liceo. Certo, perché sono di pelle nera. Le frustrazioni vissute, la rabbia e il dolore sopito mi travolgono. Mi sono illuso, ancora una volta. Cosa sarà di me, di noi, del mio amore per Mara?

Mi chiamo Amal, sono nato in India, in primavera, la mia mamma è il mio papa mi hanno adottato che avevo 8 mesi e sono italiano.

Smetto di vagare, mi fermo in questa spiaggia, guardo il mare davanti a me, le onde arrivano calme in riva poi si allontanano lentamente, e lentamente ritornano, come i miei pensieri, i miei sogni, le mie speranze. Cerco di calmare la mia tempesta interna e di lasciarmi cullare dal movimento del mare, mi abbandono al suo rumore, alla musica che allontana la rabbia. Improvvisamente, come attratto da una forza magnetica volgo lo sguardo verso destra e, come una visione, mi appare Mara in lontananza, non può essere lei, non ci credo. Si avvicina, mi abbraccia, senza dire una parola.

Ora un senso di pace mi pervade, mi lascio bagnare dalle calme onde della speranza, la speranza di un sogno d’amore.

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