Racconto di Dominique Jean Paul Stanisci

(Terza pubblicazione)

 

 

 

Lei era una giovane donna dai capelli lunghi biondi, occhi verdi, tanto bella quanto svampita, con quell’aria da ingenua che la rendeva interessante, abbigliamento sempre molto colorato, hippy, sin da giovanissima faceva uso di stupefacenti. Anche lui era un bell’uomo, baffi lunghi ben curati, occhi profondi neri, perennemente in tuta, con quell’atteggiamento da fancazzista e con quell’aria un po’ persa che lo rendeva dannatamente accattivante, alcolizzato. Quando scoprirono la gravidanza erano felici, sognavano tanti bambini, cani, gatti, una casetta in campagna dove poter vivere lontani da un mondo che li aveva ripudiati e in cui loro non si erano mai identificati. Quando alla quinta settimana l’ecografia rivelò che il parto sarebbe stato gemellare manifestarono disappunto, in un attimo di lucidità capirono che non erano pronti per affrontare un tale impegno, da un lato non potevano fare affidamento su alcun genitore, dall’altro non avevano liquidità. Non che la situazione fosse molto diversa se il neonato fosse stato uno, ma nella loro testa credevano di poter gestire un neonato. La gravidanza, perennemente a rischio, trascorsa tra una crisi di astinenza e una dose, un calcio del compagno ubriaco e una notte all’agghiaccio, giorni trascorsi con pochissimo cibo e tanta sporcizia, giunse fortunatamente al termine. Due maschietti, omozigoti. Alan e Igor furono i nomi scelti per loro, nomi molto lontani dalla tradizione italiana del loro piccolo paese, scelta fatta per affermare il loro esistere al di fuori delle convenzioni, un’altra occasione per manifestare il loro disappunto verso quel mondo che proprio non li capiva. Allenati da sempre a fingere, la coppia riuscì a tenere i bambini. Come in una manifestazione teatrale ogni qualvolta dovevano presentarsi in ospedale, una scuola o un luogo pubblico in genere, riuscivano a recitare ottimamente la parte della famiglia felice, dedita alla crescita dei loro figli, non lasciando mai intendere la loro inadeguatezza.

Così i due piccoli, nonostante la situazione familiare instabile, crescono, si divertono, riescono a frequentare la scuola. I genitori, tra un furto, un lavoro precario, qualche sotterfugio e un po’ di fortuna, riescono a crescere i gemelli che manifestano sin da subito attitudini diverse, uno segue le orme dei genitori, sin da adolescente , impone la sua arroganza a scuola, passa il tempo per strada alla ricerca di emozioni forti, scazzottate, droghe, alcol, mentre l’altro che non aveva il coraggio di seguire il fratello per paura di quelle stesse emozioni,si rinchiuse in casa e trascorse il suo tempo al sicuro, sui libri. Omozigoti, uno fin troppo espansivo, l’altro fin troppo timido. Giunti al diciottesimo compleanno, non sapevano ancora che quello sarebbe stato l’anno che più avrebbero ricordato, non per il raggiungimento della maggiore età ma per quello che sarebbe accaduto. Il mese successivo infatti il padre, ubriaco come al solito, perse l’ennesimo lavoro, e mentre tornava a casa barcollando con la bottiglia di vino in mano, venne brutalmente investito da una macchina che non riuscì ad evitare una sua incertezza che lo fece ondeggiare all’improvviso in mezzo la strada. Affranta dal dolore, due mesi dopo la madre morì di overdose.

I fratelli ora erano soli, senza soldi, senza parenti, pochi amici. Tuttavia, erano maggiorenni, legalmente liberi di scegliere dove e come vivere. Alan venne accolto dal clan del paese in cui trovò conforto, una stanza, compagni di furto e di bevute, mentre Igor riuscì a trovare subito un lavoro che gli consentì di affittare un monolocale, mentre con la borsa di studio appena vinta poteva continuare la sua formazione universitaria. I due fratelli si persero di vista, ma riuscirono a vedersi una volta l’anno per il loro compleanno. Non si chiedevano mai reciprocamente della loro vita ma ricordavano i trascorsi in quella famiglia colorita, dove si viveva alla giornata. Giunti al quarantesimo compleanno, come ogni anno, decisero di incontrarsi, questa volta però Igor organizzò una grande festa perché probabilmente gli anni a venire non si sarebbe potuto vedere con il fratello, dato che aveva accettato un importante proposta lavorativa ed era in procinto di partire per l’America. La festa per il quarantesimo l’aveva organizzata lui, a casa sua, una villa sul mare acquistata grazie al suo lavoro di ingegnere capo che svolgeva presso una multinazionale del petrolio. Aveva invitato amici e colleghi, oltre che per festeggiare il compleanno, anche per annunciare il trasferimento lavorativo e la seconda gravidanza della sua splendida moglie. Alan arrivò alla festa solo, con degli abiti ordinari che puzzavano di alcool, barba incolta, nessuna aspettativa riguardo al futuro, già in coma etilico una volta, non gli sarebbe dispiaciuto farla finita proprio lì, adesso che sapeva che anche suo fratello lo abbandonava. Tuttavia, da bravo teatrante qual era, non lasciò trapelare la sua disperazione e si presentò con compostezza.

Al taglio della torta, come due sposi, i fratelli afferrarono scherzosamente il coltello nello stesso momento, affondano la lama nella torta sorridendo e posarono per la rituale foto ricordo. Mentre erano seduti attorno al tavolo a gustare la loro porzione di torta, in un momento di silenzio, un commensale chiese a voce alta «Come mai sei diventato quello che sei?» rivolgendosi verso i fratelli seduti dall’altro capo del tavolo; Alan e Igor, credendo rispettivamente che la domanda fosse rivolta a loro, dopo aver riflettuto per un attimo, come spesso succedeva, risposero insieme «Con due genitori così, cos’altro sarei potuto diventare?»