Racconto di Serena Nencioni

(Seconda pubblicazione – 26 aprile 2021)

 

 

 

-Dove sono?

La ragazza si guardò intorno. Non riconosceva il posto, era come essere immersa nella nebbia, nel nulla. La spaventava: tutto sembrava ovattato, nessun rumore, niente.

Tentò di ricordarsi come fosse giunta lì, ma la sua mente non le obbediva, le restituiva soltanto un grosso buco nero. Non ricordava assolutamente nulla… neanche il suo nome, si rese conto con orrore.

Si alzò a sedere e si passò le mani sul corpo. Meccanicamente poi, e senza alcun apparente motivo, se le portò al collo. Ecco, cominciava a ritornare qualcosa. Una sensazione… come di soffocare.

Per un istante le immagini si fecero strada nella sua mente, ma troppo veloci perché potesse capire qualcosa. Se ne sentì sollevata. Anche senza essere riuscita a focalizzarle le avevano trasmesso un senso di paura, di angoscia. No, peggio… di puro terrore. Due occhi che la fissavano, gelidi, senza un minimo di emozione umana. Era tutto quello che comprendeva.

-Non preoccuparti, sei al sicuro qui. Ti stavo aspettando.

Il cuore le sobbalzò in gola, tanto era stata imprevista quella voce. Dunque c’era qualcuno con lei. Ma non era una voce conosciuta.

-Chi è?

Colui che le venne incontro, al contrario delle immagini di poco prima, le trasmise subito una sensazione di sicurezza. Non voleva farle del male, questo era certo. Anche prima, era sempre stata in grado di percepire la buona fede delle persone.

Beh, non sempre…

Un ricordo, spaventoso. Lo scacciò. Non voleva pensarci.

-Benvenuta- l’uomo le sorrise in modo paterno, le tese la mano –Mettiti comoda. Sei confusa, lo so. Lascia che ti spieghi qualcosa.

La guidò verso due poltrone candide, dall’aria morbida e comoda. Prima non c’erano, ne era certa.

-Dove mi trovo? Cosa mi è successo? – chiese allo strano uomo, mentre si mettevano a sedere –Non ricordo nulla. Voi sapete perché sono qui?

-Naturalmente. Ma volevo aspettare che tu fossi pronta. I ricordi, lo sai, non sono sempre facili da affrontare.

-… Lo so- ancora quella sensazione di soffocamento, quegli occhi spietati –Ma voglio sapere. Ne ho il diritto.

-Certo. Ne hai il diritto. E se proprio vuoi, ti spiegherò- la guardò attentamente –Credi di essere pronta?

-Sì.

-Bene. Guarda, allora.

Davanti a loro c’era una nuvola, che al momento sembrava come tutte le altre. Poi iniziò ad illuminarsi, come una televisione. E le immagini cominciarono a prendere vita.

Vide sé stessa. Insieme a lei c’era un uomo, il suo compagno. Erano usciti insieme, ma al ritorno avevano avuto una lite… capitava spesso. Lui era molto geloso. Non accettava che altri uomini la guardassero, come se fosse colpa sua.

La spinse in casa con violenza, gridandole delle parole irripetibili. La voce come una lama, che faceva più male degli insulti.

-Non hai ancora imparato a stare al tuo posto, come una vera donna. Ma è l’ultima volta che mi umilio in questo modo per colpa tua.

La strattonò nell’ingresso e fino al corridoio, prima di inchiodarla al muro. Le mani a stringerle la gola. Lei, seduta sulla poltrona con le mani ad artigliare i braccioli, il corpo in tensione, capì che cosa stava guardando e capì anche perché si trovava lì, con quello strano signore.

E vide gli occhi del suo compagno, il suo assassino. L’ultima cosa che aveva visto prima che la vita l’abbandonasse. Due occhi gelidi, privi di qualsiasi emozione umana.

-… Mi ha uccisa- le uscì, con un filo di voce. Le immagini si interruppero e la nuvola tornò una semplice tela bianca. L’uomo si sporse verso di lei.

-So che sei sconvolta. È così per tutte, quando arrivate qui. Ma passa, dopo un po’.

-Siamo… in tante?

-Sempre di più ogni anno. Spesso non fate nemmeno notizia. Del resto, vivete l’Inferno ogni giorno senza che nessuno se ne accorga.

-Ma io… lui… che cosa è successo, poi? Lo hanno preso?

-Oh, no. Ha scelto la scappatoia più veloce. Dopo essersi reso conto di quello che aveva fatto, si è suicidato. Non è qui, naturalmente- la prevenne, rassicurandola –Ma certo là dov’è non farà più del male a nessuno.

Lei lasciò scorrere le lacrime. Non importava. C’era però un’altra cosa che le premeva.

-Mia madre… la mia famiglia… come faranno? Chi gli starà vicino?

-Dovranno contare solo su loro stessi. Sono anche loro delle vittime, e sempre senza pace, come voi.

Si alzò. Le tese di nuovo la mano.

-Vieni con me. Conoscerai le altre. Insieme potete superare meglio tutto questo… loro ti saranno vicine, ti capiranno. Nessuno può meglio di loro.

Lei annuì, alzandosi a sua volta. Scomparvero insieme nella nebbia, sottile come un velo.