MI CHIAMO MIRIAM

Racconto di: Liliana Vastano

(Settima pubblicazione – 29 aprile 2021)

 

 

 

Le luci della sera erano già accese da un po’, le ombre, dove più dove meno, avvolgevano gli enormi edifici del Policlinico di Napoli quando, all’improvviso, una grande agitazione s’impadronì del reparto di neonatologia: era scattato l’allarme collegato alla culla termica.

Negli stessi momenti, nel soggiorno di un prestigioso appartamento d’epoca di via Posillipo, un padre e una figlia guardavano senza interesse uno dei tanti programmi televisivi d’inchiesta volgendo continuamente lo sguardo verso un bellissimo orologio a pendolo che campeggiava su una parete.  Erano visibilmente in ansia.

La culla termica del Policlinico si trovava nell’edificio 15, un po’ defilato rispetto agli altri, con accesso   anche da una strada esterna laterale, via De Amicis, per favorire la privacy di chi volesse deporvi un neonato. Era stata fortemente voluta dalla Direzione Sanitaria del grande complesso ospedaliero per evitare che i bambini non desiderati fossero abbandonati per strada, nei cassonetti o quant’altro, come frequentemente accadeva. Purtroppo, però, la culla non era mai stata utilizzata ecco perché il personale di neonatologia era andato in apprensione nell’udire l’allarme che segnalava la presenza di un neonato. Superati i primi momenti di emozione, il medico di turno attivò immediatamente il protocollo previsto per questa circostanza: chiamò un’ambulanza e si recò a prelevare il neonato. Ritornato velocemente in reparto per le visite di controllo, fu chiaro a tutti che si trattava di una bambina, una bella bambina di circa due settimane, apparentemente sana, che nascondeva nel pannolino un biglietto con su scritto: mi chiamo Miriam.  Subito fu messa in incubatrice per essere monitorata, poi furono avvertiti i Carabinieri e il Tribunale dei minori. La bambina sarebbe rimasta in ospedale per una decina di giorni, dopodiché sarebbe stata trasferita in un Istituto per minori e data in adozione. A questo punto la madre, se si fosse fatta viva, non avrebbe più potuto riaverla.

La notizia di una neonata trovata nella culla termica del Policlinico, data la sua eccezionalità, aveva avuto grande eco in città soprattutto a causa del biglietto nascosto nel pannolino. Come interpretare questo gesto della madre? Le ipotesi erano le più disparate ma concordavano su un punto: si era trattato sicuramente di un gesto d’amore. Tutto questo “mormorio” rendeva ancora più tesa l’atmosfera che regnava da mesi in casa dell’avvocato Ricciardi da quando l’unica figlia, Giulia, si era accorta di essere incinta. L’avvocato Ricciardi, patrocinante in Cassazione, con studio alla Riviera di Chiaia e abitazione in via Posillipo, era molto noto in città e ben inserito negli ambienti della ricca borghesia partenopea. La moglie, di origine toscana, era oculista all’ospedale dei Pellegrini. La figlia Giulia, una bella bruna di vent’anni, aveva intenzione di seguire le orme del padre e, dopo la maturità, si era iscritta a Giurisprudenza. Giulia era una ragazza sportiva, giocava a pallavolo, nuotava, sciava benissimo, ecco perché aveva poco tempo per l’amore anche se era molto corteggiata. Dopo una storia di un paio d’anni con un compagno di liceo, aveva avuto solo dei flirt di breve durata perché voleva sentirsi libera di vivere la sua vita e coltivare i suoi interessi. Ma non è così semplice, a volte la vita va per i fatti suoi e bisogna essere bravi a riportarla nei binari che noi desideriamo senza commettere errori irrimediabili. Proprio questo era capitato a Giulia: un imprevisto di non poco conto che aveva sconvolto i suoi piani e creato disagio nella sua famiglia. Nel febbraio di quell’anno, Giulia aveva trascorso una settimana in montagna con gli amici nella villa di proprietà dei suoi a Roccaraso. Era andata in compagnia di un’amica, ormai i genitori non l’accompagnavano più perché era grande e sapeva badare a se stessa. A Roccaraso molti napoletani avevano una seconda casa, fra loro si conoscevano, si frequentavano e organizzavano cene a turno per riempire le serate lunghe e fredde. Ad una di queste cene Giulia aveva conosciuto Alessandro, un ragazzo che veniva dalla provincia di Napoli, amico di un amico, che non si era mai visto prima nei consueti “giri” napoletani. Un perfetto sconosciuto, quindi, ma simpaticissimo.  Studiava ingegneria al Politecnico di Torino. A sentir lui, la famiglia aveva voluto allontanarlo dall’ambiente paesano di Mondragone per offrigli un futuro migliore e maggiori opportunità di lavoro dopo la laurea. Era un bel ragazzo bruno, atletico, spigliato e con Giulia fu subito attrazione fatale. Passarono solo qualche giorno insieme ma si fecero buona compagnia, si divertirono, sciarono, si amarono. Poi lui ripartì e la cosa, dopo qualche telefonata, finì. Quando Giulia si accorse di essere incinta ebbe l’impressione di cadere in un baratro. Si sentiva braccata, i suoi progetti andavano in fumo, la sua vita era sconvolta, senza contare che la storia con Alessandro non aveva futuro perciò lei questo bambino non poteva tenerlo. Ne parlò con i genitori i quali pur rimanendo sconcertati, prima di prendere una decisione così delicata, vollero capire chi fosse questo Alessandro. All’avv. Ricciardi non mancavano certo i mezzi per chiedere informazioni e così, dopo qualche telefonata, scoprì che il ragazzo era figlio di un imprenditore legato a filo doppio con un boss della Domiziana. A questo punto Giulia aveva ragione e c’era un motivo in più per non volere questo bambino: non ci si poteva imparentare con una famiglia in odore di camorra e, se pure Giulia non avesse sposato Alessandro, sarebbero sorti problemi e ci sarebbero state ripercussioni anche sul buon nome dello studio legale. Fu scartata subito l’interruzione di gravidanza, troppo rischiosa per una ragazza con problemi di allergie. Dopo il parto Giulia, così come consentiva la legge, non avrebbe riconosciuto il bambino e lo avrebbe lasciato in ospedale per l’adozione. Tutto questo, per ovvi motivi, non doveva avvenire a Napoli. All’inizio dell’estate, prima che la gravidanza cominciasse ad essere evidente, Giulia partì per la Toscana dove una sorella della madre, tramite sue conoscenze, le aveva trovato una sistemazione in una comunità religiosa di Siena. Nel frattempo, aveva sostenuto tutti gli esami clinici e anche un’ecografia: era una femminuccia. A dire il vero, mentre faceva l’esame, si era un po’ emozionata nel vedere quella cosina che si muoveva nel monitor ma aveva subito ripreso il controllo: quella bambina non sarebbe mai stata sua figlia. Nonostante questo stato d’animo, Giulia aveva voluto acquistare   un minimo di corredo perché non avrebbe potuto lasciare la bambina in ospedale senza tutine, magliette e anche qualche copertina. Trascorreva le sue giornate in comunità preparando gli esami per l’Università, a volte leggeva qualche romanzo. Usava molto poco computer e cellulare per tutelare la sua privacy, a Napoli nessuno doveva sospettare. La famiglia l’avrebbe raggiunta nell’imminenza del parto, per qualsiasi evenienza avrebbe potuto contare sulla zia che abitava a Siena. Man mano che il tempo passava, Giulia diventava sempre più taciturna, nervosa, non vedeva l’ora di partorire. Aveva deciso che non avrebbe mai voluto vedere la bambina, sarebbe stato meglio così. Quella che stava vivendo sarebbe stata solo una parentesi della sua vita da dimenticare al più presto! Una settimana prima che “finissero i conti”, come si dice a Napoli, mentre Giulia rientrava in comunità dopo una passeggiata, fu coinvolta in un incidente stradale: un ragazzo alla guida di un motorino aveva perso il controllo del mezzo, l’aveva urtata facendola cadere e si era finalmente fermato su un’auto parcheggiata. Date le sue condizioni, fu immediatamente ricoverata al Pronto Soccorso e poiché nel frattempo le si erano rotte le acque le fu praticato il parto cesareo. Tutti i suoi piani erano saltati. La bambina gliela fecero vedere immediatamente e gliela misero accanto come si fa in questi casi. Giulia cominciò a perdere le sue certezze. Quando le chiesero come si sarebbe chiamata, dopo qualche secondo di esitazione rispose: Miriam, come la protagonista di un romanzo che stava leggendo, il primo nome che le era venuto in mente… Quando arrivarono i genitori da Napoli, disse loro che non avrebbe voluto lasciare la bambina a Siena, si sarebbe sentita più tranquilla se l’avesse lasciata a Napoli, nella culla termica del Policlinico di cui aveva sentito parlare. I genitori non erano d’accordo ma non ci fu verso di convincerla del contrario. Appena si rimise dal parto, fu organizzato il rientro a Napoli. Una volta arrivati a Posillipo, Giulia e il padre sarebbero saliti a casa, la mamma e la zia avrebbero proseguito in auto fino al Policlinico per lasciare la bimba. E così avvenne. Durante il viaggio, però, Giulia volle tenere la bambina con sé, nessuno si accorse che le aveva infilato un biglietto nel pannolino.

La notizia del ritrovamento di Miriam continuò a circolare sui quotidiani per qualche giorno. Giulia, ritornata apparentemente a una vita normale, li leggeva tutti ed era sempre attenta a non perdersi il TG regionale. Non era più la ragazza gioiosa e vivace di prima, era diventata silenziosa, aveva un macigno dentro di sé e il sollievo che aveva immaginato di provare liberandosi della bambina non l’aveva ancora sentito. Anche senza Miriam la sua vita era cambiata, era cambiata in peggio e lei doveva fare qualcosa anzi, una sola cosa: andare a riprendersela, e anche in fretta. E così, in una sera di fine ottobre, giusto un giorno prima che iniziasse l’iter per l’adozione, Giulia uscì da casa con la scusa di vedere un’amica, prese un taxi e si fece portare al Policlinico. Il reparto di neonatologia era molto silenzioso, in giro non c’era nessuno, le luci erano basse. Ad un certo punto, un’infermiera sbucata all’improvviso da chissà dove la fece sussultare: – Dove va lei, signorina, chi l’ha fatta entrare? Cerca qualcuno? – Giulia, con una voce rotta dall’emozione rispose: – Sono la mamma di Miriam -.  L’infermiera ebbe un attimo di esitazione poi gli occhi le si riempirono di gioia e le rispose:- Vieni, Miriam ti sta aspettando. – Poi l’abbracciò e, insieme, si diressero verso il nido. Il cuore di Giulia batteva a mille. Quando vide tutte quelle culle in fila ebbe un attimo di esitazione, poi la riconobbe, la prese in braccio e la strinse a sé. Da quel momento iniziò un’altra storia.