Racconto di Marco Leonardi

(Terza pubblicazione)

 

Michele Beldì sta guardando sullo schermo l’immagine di un uomo sulla trentina e contemporaneamente il

tecnico pronto a dare il via al collegamento. L’uomo sulla trentina ha pelle olivastra, capelli ricci, occhi scuri e indossa unicamente un gonnellino bianco. Un secondo uomo, in camice verde, è alle sue spalle. Gli sta infilando al collo un cordino di cuoio sottile. Il pendente è dorato, la gemma incastonata sembra un rubino.

L’uomo in camice fa un cenno a quelli seduti su una balconata che corre lungo le pareti bianche della stanza. Uno di essi digita qualcosa sulla tastiera. Il rubino comincia a brillare.

Zoom sul viso dell’uomo seminudo, sul suo petto muscoloso, sul “rubino”.

Michele Beldì ora è una voce fuori campo, udita solo dall’uomo in gonnellino.

“Salvatore, non ti sembra di esagerare? Non mi sembra che questa Myrtea sia così bella da meritare ventisette …”

“Bella? È un cesso: piccola, cosce flaccide, culo enorme, cellulite, trucco inverosimile. Begli occhi, te lo concedo. Diciamo che mi diverto”

“Bel divertimento…”

“Dopo venti volte che stavo con lei, sapevo tutto. Come eccitarla, rilassarla. Quello che odia in un rapporto. Mi diverte vedere la sua faccia quando lo intuisce. Vorrei solo sapere come fa una come lei a…”

“Ok, ok…fatti tuoi. E suoi. Piuttosto, mentre ti dirigi al lupanare cerca di non scivolare come l’ultima volta, che sei caduto pancia all’aria e la microcamera del “rubino” ha catturato l’immagine dei cronodroni che sorvolavano la zona rovinando tutto. Ah, fa quel mestiere perché è la discendente di una delle prime lupe che hanno esercitato la prostituzione sacra nel tempio di Afrodite Urania, nell’Atene del V secolo avanti… E se mi chiedi perché ululano per richiamare i clienti, non lo so. Ok, sta per iniziare il collegamento. Sai cosa fare. Bene, al mio 3, 2, 1…ora”

“Carissimi telespettatori, serenità! Eccomi di nuovo con voi, e con me, ovviamente, dal cronodromo di via Asiago in Roma il nostro Salvatore Torrisi …un bell’applausooo!”

Applauso registrato nello studio.

Immagine di un grande locale bianco, senza finestre. Lungo la parete dei ballatoi, percorsi da uomini in nero con auricolari. Alle loro spalle, dietro grandi finestroni, altri uomini in camice bianco stanno digitando qualcosa. Salvatore Torrisi è al centro del pavimento, piedi poggiati esattamente su delle sagome nere.

Allo spegnersi dell’applauso, la voce fuoricampo di Michele Beldì

“Serenità, cari telespettatori! Eccoci alla prova finaleee! Tra pochi istanti sarete  nella Pompei del 79 dopo Cristo e con il vostro televoto dovrete decidere chi sarà il vincitore tra Gunnar Svenson – fischi dallo studio, che Beldì zittisce con un gesto della mano destra – e il nostro campione, Salvatore Torrisiii – applausi, anch’essi tacitati dal presentatore con il solito gesto. Chi sarà il vincitore della XXXII edizione de “La storia adesso?” Gunnar, con la sua decisione di giacere ogni volta con una donna diversa e quindi di ricostruire le esperienze di vita nel lupanare attraverso dei frammenti di esistenze… O il nostro Salvatore, che per ventisette volte è stato insieme alla affascinante Myrtea di cui ormai conosce ogni segreto? Ma…ma ecco carissimi telespettatori! Ecco la luce bianca avvolgere il nostro, portarlo lontano, lontano nel tempo, come diceva quella vecchissima canzone!”

Stacco. Lo schermo è ora occupato da un bagliore abbagliante che a poco a poco si attenua

Al centro ora si intravede una scritta, che diventa sempre più chiara

È in caratteri angolosi e recita: “La lupa: il misterioso richiamo”

La scritta lentamente scompare. Al suo posto, una via ben lastricata, con a fianco due canaline piene di acqua sporca e ogni tanto, agli incroci, dei massi regolari che gli abitanti della città usano per attraversare senza bagnarsi e sporcarsi.

Le immagini della via sono un po’ ballonzolanti, come se qualcuno la stesse percorrendo con una microcamera al collo e in effetti è proprio così.

Quel qualcuno arriva a un lupanare, guarda nel gruppo di donne ululanti, ne cerca una.

Eccola, Myrtea.

La indica, lei gli porge la mano destra ingioiellata e lo fa entrare

 

Michele Beldì non guarda, sono scene viste e straviste. Sta bevendo un caffè amaro, pensando allo share in picchiata e vagamente a quegli idioti convinti che sia tutta una finzione, perché se Myrtea muore come fa a essere ancora lì nell’episodio successivo?

Lui invece un po’ si è affezionato a quella donna che potrebbe essere sua figlia e magari invece è una sua antenata (hanno fatto ricerche, su di lei. Aveva una bambina di 9 anni, all’epoca, che sembra sia riuscita a fuggire…) e si chiede se è totalmente vero che i viaggi nel tempo cambiano solo chi li fa, col paradosso che uno può andare nel passato, uccidere la propria madre prima che lo concepisca, e tornato nel presente scoprire che la donna è viva e vegeta, per cui lo è anche lui. Perché il dramma di quella donna che moriva in modo così atroce… bè, quel dramma lo sta cambiando.

Un urlo soffocato lo riporta alla realtà, riapre gli occhi che aveva chiuso un attimo prima.

“Bè? Che succede?”

Il tecnico del suono ha la mano destra davanti alla bocca e con occhi spalancati fissa lo schermo, lui gira gli occhi verso di esso.

Salvatore è seduto sul letto e scuote la testa in un susseguirsi di no muti. O perlomeno è ciò che si intuisce, perché tutta l’immagine è in movimento disordinato…

Michele capisce e sbianca. Poi urla.

“Annullate il collegamento, merda! Annullate quel maledetto…”

“Cosa? Ma non possiamo! – grida di rimando il cronofonico – La divisione hard non accetterà mai di perdere…”

“Ma sei cieco? Secondo te perché vediamo Salvatore? Perché il “rubino” ce l’ha in mano lei…”

“Santiddio”

“E l’immagine si muove perché lei glielo muove davanti agli occhi – interloquisce il tecnico delle luci – come se…”

“Ok, collegamento interrotto”

“Si può sapere cosa sta dicendo quella donna? La voce va e viene”

“Dipende dai movimenti del “rubino” …Ecco, la stiamo stabilizzando. Non sembra latino”

“Certo che non è latino, tonto. È greco, Myrtea era greca, come tante tra.. Allora, arriva sta traduzione?”

Stacco. Sul bordo superiore dello schermo scorre il tempo che manca all’eruzione. 3 minuti e 18 secondi. Appena sotto, quello che manca al rientro automatico del cronovettore.

Lungo il bordo inferiore, corre la striscia di parole della traduzione.

“Sei tu. Sei davvero tu!… Quelle cose che mi hai fatto, prima. Come sapevi che mi piacciono tanto? E appena poco fa: Myrtea, mirto selvaggio, odorosa e aspra… Così mi hai chiamato, prima di baciarmi la fronte. La fronte! Come potevi sapere che mi rilassa, dopo l’amplesso, se è la prima volta che giaci con me? Come potevi sapere che era il modo in cui mi chiamava la mamma? E infine il prurito. Un prurito terribile sotto la scapola destra, improvviso, senza ragione. Stavo per chiederti di grattarmi quando tu lo hai fatto, così, esattamente nel posto giusto. Lì ho compreso. Sei tu. Me lo aveva detto, mia madre, prima di morire. Come le era stato detto da sua madre…verrà un Dio con sembianze di uomo, sarà alto, bellissimo. Avrà occhi color di legno forte, neri capelli, pelle di bronzo. Saprà amarti come nessuno, saprà tutto di te…Non ci ho mai creduto, era vero.”

Stacco. In primo piano il viso di Salvatore, ora fermo. I suoi occhi spalancati. La voce di Myrtea è ora più sicura, quasi suadente. Lungo il bordo inferiore dello schermo, ancora corre la striscia della traduzione.

“…È questa, vero? È questa pietra a darti il potere. Ho visto come brillava, poco fa. Come se avesse un fuoco dentro, un fuoco sacro. E ancora brilla, qui, nelle mie mani…e tu ora tremi, perché il suo potere ora è mio e tu non puoi fare più nulla…”

Stacco. Michele Beldì e i tecnici sono davanti allo schermo. Hanno lo sguardo fisso. Michele tiene le mani incrociate sui capelli grigi. Andrea, il cronofonico, a coppa sulle orecchie. Simone, quello delle luci, si copre gli occhi. Poi sembra riprendersi, batte un pugno sulla mensola davanti a lui.

La tazza con i rimasugli di caffè si rovescia, sporca la tastiera…

“Merda! Quanto manca al rientro automatico?”

“38 secondi, Simone. Ma perché non lo fa, Dio santo?”

“Non lo fa cosa, Miki?”

“Strappare quel coso alla donna, no? Rimetterselo…tanto lei morirà lo stesso. Anzi, è già morta. Da esattamente duemila anni”

“Non lo farà”

Tutti si girano. Alle loro spalle Claudia, figlia di Michele, innamorata persa da almeno due anni di Salvatore, è una statua di cera.

“Non lo farà. Nessun uomo lascia morire la donna che ama. E lei non morirà. Non…ora. Non lì”

 

Stacco. Un bagliore accecante riempie lo schermo, poi si attenua. Al centro, rannicchiata sul pavimento lucido, una donna seminuda. Sulle balaustre, gli uomini in nero corrono urlando. Una sirena comincia a ululare. La donna si alza, si guarda intorno. Dovrebbe essere terrorizzata, non lo è.

Mette le mani a coppa davanti alla bocca e grida. E mentre grida piange e le lacrime le sciolgono il trucco dorato che ha intorno agli occhi…

“E’ questa la tua dimora, Dio? O forse non lo sei, dopotutto? Ma solo un burattino nelle mani dei veri Dei? Come quei demoni dalle sottili corna lucenti che corrono lassù? Rivolete questo, il fuoco di vetro che ora tengo nelle mani? È questo che con i vostri ululati cercate di dirmi? Ecco, ecco il vostro fuoco. Prendetelo, lo pongo ai miei piedi. Ma ridatemi il giovane che mi ha amato, come nessuno!”

Stacco. Michele, Andrea e Simone si guardano. Non parlano, è inutile. Guardano lo schermo e non parlano. Staccando il cronoduttore dal suo corpo, Myrtea ha firmato la sua condanna. La deformazione spaziotemporale che la collega al “rubino” si irrigidisce, si spezza.

Lei scompare, inghiottita dal vortice dello spazio-tempo.

 

Epilogo

 

Tempio di Afrodite Urania, Atene – 28 giugno, 436 AC

Recinto delle prostitute sacre, poco prima dell’alba.

“Hai visto quella nuova? Dicono che sia una dea, apparsa quattro giorni fa circonfusa di luce. Bellissima. Racconta di venire da una grande e ricca città sita tra il mare e un alto monte che talvolta brontolava come se vi tuonasse dentro, di essere stata rapita dagli dei, portata nella loro dimora poi qui… Così almeno mi è sembrato di capire. Parla una lingua strana, assomiglia alla nostra, ma non è identica”

“Raccontano che spesso scaccia il suo uomo nel bel mezzo dell’amplesso, urlando non sei tu non sei tu! poi si calma. Piange. Diventa dolcissima. A molti uomini piace, tutto ciò”

“E prima di giacere con qualcuno ulula. Dice che è la voce degli dei, che li sta chiamando.

Anzi, ne sta chiamando uno, che in forma di bellissimo giovane l’ha amata come nessuna”

“Bè, sapete che vi dico? Quasi quasi mi metto a ululare anch’io!”

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https://www.ibs.it/dialoghi-sette-percorsi-narrativi-libro-vari/e/9788874706525

https://www.tomarchioeditore.it/2022/05/04/come-fiori-sul-ciglio-della-strada-aa-vv/