Racconto di Elisabetta Bordieri

(Settima pubblicazione)

 

Non era ancora mezzogiorno quando Sofia si ritrovò sul cellulare privato quel messaggio non firmato di tre parole e una virgola, arrivato in un momento di puro nervosismo con un caldo primaverile dannatamente insolito. Leggere ciao, sono io aveva innescato un turbinio di memorie e immagini sfocate che le schizzavano nella testa come palline impazzite. Sì, ma io chi? Poteva trattarsi di un errore? Un tre tre tre eccetera, non era nella sua lista dei contatti. Controllò anche sul telefono aziendale ma nulla. I tentativi di identificazione risultarono vani e la ricerca di impronte del passato inutile. Pazienza. Decise di godersi quella distorta anomalia piovuta da qualche nuvola disorientata che ancora persisteva testarda nel suo cielo, sicura che avrebbe regalato alla sua giornata un tocco di inaspettata freschezza. Lo stato confusionale della nuvola durò poco e il ritrovamento della retta via costrinse Sofia a prendere una decisione. Anticipò la pausa pranzo e raggiunse il bar sotto l’ufficio, ordinò una spremuta d’arancia e un toast, poi armeggiò con il telefono e compose quel numero. Una voce femminile rispose.

«Pronto.»

«Buongiorno, ho ricevuto un messaggio, si fa per dire, da questo numero a me sconosciuto.»

«Ciao Sofia.»

«Piacerebbe anche a me chiamarla con il suo nome, signora, ma io non so chi lei sia, mi chiedo piuttosto come faccia lei a conoscere me.»

«Sono io.»

«Questo lo so perché me lo ha scritto e direi che non è sufficiente.»

«Vieni a Capraia, domani. Ci sono due traghetti, tu prendi quello delle sedici. Sarò lì ad aspettarti.»

«Eh? A Capraia? Ma che significa? Ma chi parla? Pronto? Oh? Prontooo?»

Io mise giù prima di ascoltare le domande che Sofia aveva urlato al nulla. Una cliente del bar la guardò infastidita dai toni alti.   Capraia. Un caso? Non poteva essere. Si poteva trattare di quel messaggio che aspettava da tempo? Ma perché allora così sibillino? Inviato magari da una carta sim di quelle usa getta? In ogni caso avvertì quella botta a sinistra, poco sotto il cuore. Trenta anni che non ci metteva piede, forse trentacinque. Aveva perso il conto. Una vita fa, quando ancora ogni avvisaglia di ruga del suo viso non era stata nemmeno concepita, quando le finestre dei ricordi erano serrate perché inesistenti, quando le traversate da e per Livorno erano goffe scappatelle. E soprattutto quando lui era ancora lui. Una fitta di tenue rancore le si appiccicò sull’animo come una seconda pelle. Quella voce sensuale e marcata che le era entrata nelle ossa, lievemente sussurrata con qualche nota rauca sull’ultima sillaba di ogni parola, aveva assunto un tono sottile e raffinato. Il telefono squillò come a sollecitare i pensieri contrari. Di nuovo quel numero. Sofia incredula decise di rispondere.  Attese che la voce parlasse.

«Sono di nuovo io.»

Decise di azzardare.

«Ciao, non credo abbiamo più niente da dirci, Da-nie-le.»

«Ti sbagli.»

«Ci siamo chiariti a suo tempo, Da-nie-le.»

«Non del tutto.»

«Allora diciamo che non mi interessano ulteriori spiegazioni, Da- nie-le.»

«Smettila di chiamarmi così. Vieni domani. Da me.»

«Tre ore di traghetto, stai scherzando?»

«Due ore e quarantacinque.»

«Lo so quanto impiega un traghetto! L’ho preso mille volte o te lo sei scordato? E poi così, su due piedi, non posso.»

«Sei ancora arrabbiata dopo tanto tempo. Vieni Sofia. A domani.»

«Venire dove? A fare che? Le tue giustificazioni le conosco. Guarda che sono andata avanti con la mia vita nel frattempo! E direi, così a intuito, mi sembra anche tu! Se è importante vieni tu qui allora! E poi come sai il mio numero?»

E di nuovo Io chiuse la comunicazione sullo stridio delle sue parole. L’azzardo funzionò alla perfezione. E ora doveva portare a termine il compito che si era prefissata anni fa. Ma il tempo passa poi davvero? O passano solo i fatti, le persone, i gesti? Aveva sul serio trenta anni in più? Sapeva dove trovare le risposte. Sì, avrebbe preso quel dannato traghetto confidando nella buona sorte considerando i rischi a cui sarebbe dovuta andare incontro. Diede un paio di morsi al toast e bevve la spremuta in un sorso, pagò il conto per lei e per la cliente scusandosi con un sorriso di circostanza. Tornò in ufficio e si occupò dei preparativi per la partenza.

Domani arrivò prima di quanto pensasse. Poche automobili e poca gente a traversare il Mediterraneo in quel pomeriggio di maggio. La pur contenuta folla dei turisti estivi doveva ancora prendere forma. Salì su in coperta e, con gesti automatizzati nel tempo, si distese su una panca vuota e dura, occhiali da sole, gambe ciondolanti. Restò immobile in questa posizione una decina di minuti e la schiena iniziò a dolerle e le gambe a formicolare. Tirandosi su di scatto, la testa prese a girare. Sorrise. Sì, certo che aveva trenta anni in più, pensò. La balaustra le sembrò un buon compromesso. Il vento sferzante però era quello di sempre. Appoggiandosi alla ringhiera, sollevò il mento, inclinò il viso e chiuse gli occhi come a invitarlo a toccarle le guance. Carezze ruvide le graffiarono la pelle fino a distenderle le rughe. I capelli ancora folti e lunghi danzavano soffici e sinuosi come a replicare i movimenti eleganti di tanti cobra. Le mani di Daniele presero vita nei suoi intrecciati ricordi. Più il vento soffiava forte, più Sofia se le sentiva addosso, mani giovani eppure già preparate alle arti dell’amore e del sesso. Tra poco lo avrebbe rivisto e… ma che pensiero stupido e irreale. Consapevole tornò a sedersi e attese l’arrivo in totale mutismo mentale. Il traghetto attraccò con una mezz’ora di ritardo rispetto all’orario previsto, Sofia sperò di rimanere immune alla nostalgia. Con aria scontrosa e quasi nauseata scese con il suo minimo bagaglio ma non scorse nessuna persona da abbracciare o da maledire.

«Ciao, tu devi essere Sofia.»

Una donna della sua età, capelli corti grigi naturali e un sorriso delicatamente malinconico le bussò sulle spalle, le fece quel cenno d’assenso che aspettava e continuò.

«Ciao, io sono Lorenza, benvenuta a Capraia, in questa macchia lontana nel mare, sperduta e selvaggia, in questa isola imperfetta e seducente dove i ritmi seguono il passo pachidermico del lentisco e del mirto e dove gli stretti vicoli, orfani di confusione e di locali alla moda, ti custodiscono nella quiete della natura e nelle morbide chiacchiere dei pochi abitanti. Gestisco un’azienda agricola qui fuori il paese dove ho avviato un allevamento di api, ho poche arnie ma fruttano bene e vendo un miele dolcissimo. Non sono capraiese ma vivo qui da molti anni ormai, mentre lui è Lorenzo, a parte il curioso caso di omonimia, è un giovane architetto del nord che, venuto qui in vacanza una volta, ha poi deciso di restare, gestisce molti eventi in paese e poi mi dà una mano con le attività dell’azienda. E infine c’è lei, Martina.»

Da qualche secondo Sofia le stava facendo cenno con la mano di sorvolare sulle presentazioni formali ma capì che anche quelle facevano parte del piano. Un giovane moro, alto, secco e un po’ ciondolante, le sorrise e timidamente le fece un ciao con la mano come a dire ‘sono io Lorenzo’. Martina doveva essere il cane. Ascoltò con attenzione e poi, con artefatta scortesia, rispose brusca.

«Ciao a te. La descrizione di Capraia sembra pari pari presa da qualche opuscolo per turisti, in ogni caso grazie ma la conosco bene mentre non conosco voi due. Io aspettavo…»

«Sì, ci ha incaricato di venirti a prendere. Vieni, abbiamo l’auto lì.»

Seguendo risoluta i due insoliti personaggi, salì a bordo. Lasciarono il porticciolo con le sue vele ormeggiate e percorsero l’unica strada che porta su al paese vecchio in collina, costeggiando case e giardini incantati e arrivando nella piazzetta principale dopo quel paio di curve aggrappate a un panorama mozzafiato.  La tipa riprese a parlare.

«Lasciamo la macchina qui e incamminiamoci che ci sta aspettando.»

«Sentite voi, Enza-Enzo o come vattelappesca vi chiamate, a me questi misteri mi stanno dando ai nervi. Dite a Daniele di venire qui che lo aspetto e che si sbrigasse.»

«Mi chiamo sempre Lorenza e lui sempre Lorenzo. Daniele, come lo chiami tu, ti prega di seguirci. Sbrighiamoci che tra poco farà buio e stai attenta a dove metti i piedi.»

Sofia prese il suo zaino e scese dall’auto, avrebbe quasi voluto ripensarci ma ormai non aveva scelta né poteva fuggire e il primo traghetto sarebbe partito la mattina successiva. Lo scarno gruppo si avviò lungo il sentiero. Sofia seguiva da ultima a debita distanza non perdendo di vista i due che ogni tanto si giravano per verificare che lei li seguisse. A parte qualche improvvisa comparsa di bizzarri mufloni, e l’allegro rincorrerli di Martina, il viaggio procedette in ossequioso silenzio. Dopo nemmeno un quarto d’ora di cammino labirintico nelle aree più rocciose, sentì la sua ostilità sgretolarsi e lasciare il posto a una ritrovata distensione. Ma non voleva rievocare nemmeno un attimo, doveva rimanere lucida per portare a termine il progetto. Conosceva i meccanismi spietati di quel luogo. Capraia ti contamina per sempre, ti cattura il cervello e ti rapisce il cuore. No, non poteva permettersi di lasciarsi andare. Non di nuovo. Non quel giorno. Poi il profumo dell’elicriso le annebbiò la mente e srotolò ogni sua avversione. Si chinò ad accarezzare le giovani infiorescenze di un giallo dorato ancora acerbo che in estate avrebbe creato quel contrasto di colore con il rosso quasi cupo delle rocce e il verde della vegetazione. Le sue labbra si distesero pensando alle innumerevoli volte che con Daniele si riempivano il naso e le mani del loro forte aroma che rispondeva velocemente agli stimoli tattili e rimaneva addosso per giorni. Rimase lì qualche secondo accucciata al ricordo. Si ritrovò Martina lì accanto seduta quasi ad accompagnare i suoi pensieri. Le fece un grattino sulla testa.

«Comunque preferisce le coccole sulla schiena. Andiamo che ci siamo quasi.»

La voce marmorea di Lorenza e lo sguardo svagato del muto Lorenzo la costrinsero a distaccarsi dal piacevole torpore. Quando la stanchezza alle gambe iniziò a bussare era ormai l’imbrunire e arrivarono a un casolare illuminato da luci soffuse. I due le fecero un segno con la testa e si allontanarono con fare spedito lasciandola sola. Martina si attardò a guardarla poi sparì anche lei. Avvertì un senso di oscuro malessere. Le partì dai piedi che si piantarono come affossati nella terra ostile e piano iniziò a salire con una calma controllata fino alle caviglie, poi alle ginocchia e su per tutte le gambe che presero a tremare. Lo sentì arrampicarsi sulla pancia verso lo stomaco, girare dietro alla schiena, arrivare alle spalle e tornare davanti. Poi si spinse fino al viso, le toccò le orecchie, il naso, la bocca, scese sul collo e sentì una stretta fino a soffocare. Sofia urlò un dolore sopito per trent’anni. E poco dopo accadde. Sconvolta indietreggiò di qualche centimetro.

«Ciao Sofia, ben arrivata.»

La voce del telefono si materializzò e continuò.

«Spero tu abbia fatto buon viaggio. Grazie per essere venuta. Non avere paura, sono sempre io. Vieni, entra che anche se è fine maggio la sera fa fresco.»

E Sofia entrò. Io proseguì.

«Quanto tempo… mi fa un certo effetto rivederti. Immagino debba essere così anche per te. Beh, immagino un po’ di più per te. Dai, Sofia, rilassati e siediti qui, ti preparo un infuso alla lavanda, un toccasana per ansia e tensione, vedrai che spariranno e in un attimo ti tornerà il buonumore.»

Si sedette un po’ spaesata sulla poltrona indicata come un fantoccio di paglia mentre Io si allontanava per riapparire poco dopo con in mano una tazza fumante che Sofia sorseggiò nella speranza che davvero le infondesse un po’ di calma. Poi riprese.

«Ti starai chiedendo perché dopo tanto tempo ti abbia ricercata e soprattutto quasi costretta a venire qui. So che non ho usato dei modi propriamente consoni, ma se ti avessi spiegato non saresti venuta. Ma prima di tutto volevo questo, volevo che mi vedessi finalmente, che mi vedessi come realmente sono. Ed eccomi qui.»

E ora toccava a lei tornare tra i vivi e rispondere con impudenza e sarcasmo.

«Bene, ti ho visto, ora posso andare.»

«Sofia. La mia solita rugginosa Sofia. Ma la ruggine è segno di intima unione tra ferro e acqua, durezza e arrendevolezza, come te.»

«Ascolta Daniele…»

«Smettila di chiamarmi così.»

«Come devo…»

«Daniela. Devi chiamarmi Daniela.»

«Ah ecco, che fantasia. Come i tuoi amici zerbini, sembrano Cip e Ciop. Te li sei scelti apposta con i nomi simili? Anche loro prima erano…?»

«Ho cambiato solo la vocale.»

«Solo la vocale? Ma certo solo la vocale. E la voce, che non è più la tua? E il petto, che mi sembra decisamente cresciuto? E le unghie, che vedo laccate di rosso? E il sesso, che immagino non sia più nemmeno quello?»

«No, quello c’è sempre. Non ho completato la transizione e non mi interessa farlo.»

«Allora cosa vuoi Dani? Scusa ma Daniela proprio non ce la faccio.»

«Voglio intanto sapere cosa hai fatto tutti questi anni.»

Sofia schizzò in piedi e con il dito puntato, iniziò l’elenco degli insulti.

«Senti, mi hai fatto venire qui nemmeno fosse un’imboscata, vivi nascosto sotto copertura quaggiù in mezzo al bosco, sono stata prelevata dai tuoi bravi, tutto questo per sapere cosa ho fatto tutti questi anni??? Mi hai lasciato a vent’anni, quando ci eravamo promessi l’eternità insieme, quando avevamo scelto il nome dei nostri tre figli e quando dicevi di amarmi! E poi mi hai lasciato! E sai perché?»

«Lo so, calmati Sofia, non gridare.»

«No che non mi calmo! E grido quanto mi pare! Mi hai lasciato perché sento che il mio corpo richiede da me un’attenzione diversa, sento che sta cambiando, io ti amo ancora ma non come Daniele, ti amo forse più di Daniele ma so di essere una persona nuova, voglio essere una persona diversa fuori, ma dentro sono sempre io. Te lo ricordi, o no? Io sì, parola per parola che ti ho appena declamato. Una bella poesia, bravo! E io che nemmeno capivo cosa stessi dicendo, persona nuova, persona diversa, ho dovuto chiederti e richiederti spiegazioni. Tu che volevi diventare una donna! Tu! L’uomo con cui avrei dovuto mettere su famiglia! Tu! Cosa vuoi da me ora Daniele o come maledizione ti fai chiamare?!»

«Sssh, sssh, tranquilla Sofia, tranquilla, chiudi gli occhi, ti prego, non parlare più, chiudi gli occhi, fai come ti dico e non riaprirli.»

Sofia tornò fantoccio e fece come le disse e alle sue orecchie arrivò una voce diversa. Calda. Maschile. Quella voce che conosceva bene.

«Così brava, rilassati ora. Sono sempre io, mi senti? Senti la mia voce? Sono Daniele, sono di nuovo Daniele. Non ti ho mai dimenticata. Mai. Non ti muovere, resta così ferma in piedi accanto a me e dammi le tue mani. Facciamo un gioco… avvicinati, avvicina le tue labbra alle mie Sofia, sono io, sono sempre io… non aprire gli occhi, non aprirli e baciami, baciami ancora…»

E Sofia giocò a un gioco pericoloso. Quello di fidarsi. Scordando i suoi doveri, si arrese a quel bacio freddo e appassionato. La fame e la sete di lui bruciarono ogni resistenza mentre le bocche si cercavano avide e le lingue si avvinghiavano in un vortice di nuovi desideri mai conosciuti prima. La cedevolezza della sua mente si attardò sulle labbra fino a salivare insieme un piacere inesplorato. Un bacio che rastrellò ogni congettura di dichiarare guerra alla passione. Quando Sofia iniziò a raccogliere la cenere dell’incendio ormai spento nella sua testa, sentì una mano morbida come di stoffa sulla bocca e sul naso tarparle aria e domande. Il tentativo di divincolarsi durò pochi secondi e Sofia cadde in un sonno indotto e forzato. Dopo un tempo impossibile da stimare, stordita, aprì gli occhi. Era di nuovo seduta sulla poltrona. Legata mani e piedi e imbavagliata. Per ora tutto stava andando come da programma, anche se quello che vide la devastò. Daniele era lì. Era sempre lui. Era ancora lui con quegli occhi scuri infernali. Sofia non mosse un muscolo più per lo sconcerto che per la paura e attese.

«Allora cara la mia Sofia. Perdona l’imprevisto e la seccatura ma avevo bisogno di tempo per tornare a essere io, sai leva e metti tutta questa roba da donna incollata dentro e fuori. E poi questa sostanza in bocca per camuffare la voce fa davvero schifo e non ti dico le sessioni di logopedia estenuanti per lavorare sull’elasticità muscolare della laringe per femminilizzare il timbro vocale. Lo so sarai spaventata ora ti spiego. Hai visto giusto quando hai detto che vivo sotto copertura, anche se la tua era una battuta. Sono un esponente di un movimento ambientalista, direi un po’ estremista, che chiede lo stop a finanziare con sussidi pubblici i combustibili fossili pericolosi per il nostro ecosistema. Lo sono dai tempi in cui stavamo insieme, per questo da Livorno decisi di trasferirmi qui, e Cip e Ciop, come li hai ribattezzati tu, che conosco da poco, sono fidati sostenitori e attivisti come me. Non sto qui a spiegarti nei dettagli ma avrai certamente sentito parlare di effetto serra o surriscaldamento globale. Capraia, che è l’unica isola italiana, l’unico comune italiano non interconnesso ma con energia cento per cento rinnovabile, un piccolo paradiso praticamente, mi permette di continuare a portare avanti la mia lotta indisturbato e soprattutto senza controlli. Non guardarmi così, dimmi qualcosa. Ah scusa, ora ti slego. Ragazzi, aiutatemi per favore!»

Lorenza e Lorenzo apparvero repentini dal nulla e la liberarono. Sofia si massaggiò mani e bocca indolenziti. Cercò di rimodulare gli ultimi istanti appena vissuti e la sua anima malnutrita schizzò in piedi e trovò cibo da vomitargli addosso.

«Mi hai rapita per raccontarmi tutto questo? Cosa vuoi da me e cosa c’entro io con la tua campagna ecologista? E cosa c’entrano le balle di voler cambiare sesso con un argomento così serio? Potevi trovare un modo meno meschino per scaricarmi!»

«Già. Questo è il punto. Sì, però calmati Sofia o dovrò legarti di nuovo. Primo non ti ho rapita e poi no, non era una balla per scaricarti, l’ho fatto solo perché ti amavo davvero ma amavo di più la mia battaglia politica. Da donna mi potevo muovere senza sospetti. Non avevo scelta. E per anni mi è andata bene. Arrivo subito al punto. Non sempre si usano dei mezzi leciti, so che capirai, e la polizia mi è addosso da tempo ormai perché deve aver capito il mio gioco e sta cercando una donna e inoltre aggiungi che non ne posso più di questi travestimenti e di vivere sempre guardingo. Voglio tornare uomo per sempre e libero e quindi questa donna va trovata e arrestata così da porre fine alla storia. Farò in modo di farti cogliere sul fatto ma non ti succederà niente, stai tranquilla, avrai qualche noia con la giustizia ma alla fine verrà fuori che tu non c’entri, che sei solo una simpatizzante e la polizia si ritroverà con un pugno di mosche in mano e riprenderà a cercare il cattivo, anzi la cattiva. Ma nel frattempo io avrò trovato una soluzione. Mi serve solo tempo per trovarla e quindi mi servi tu. Ho scelto te perché comunque hai avuto a che fare con Capraia in passato, quindi sei attendibile come persona e poi perché sapevo che non mi avevi dimenticato, cioè lo speravo. Ma sai che, dopo tutti questi anni, baciarti di nuovo è stato bellissimo?»

Quello che accadde negli istanti successivi fu talmente fulmineo da lasciare Daniele atterrito e disorientato. Le manette che si ritrovò ai polsi gli segavano la pelle. Il nastro sulla bocca quasi vicino al naso non lo faceva respirare. Si dimenò fino a peggiorare la situazione. Cadde a terra. Lorenza e Lorenzo erano lì davanti a lui e Sofia in disparte iniziò.

«Com’è che hai detto prima? Perdona l’imprevisto e la seccatura ma avevo bisogno di tempo per tornare a essere io. Già, perché   lavoro presso la Polizia di Stato e Lorenza e Lorenzo non sono fidati sostenitori, non tuoi almeno, ma dell’ambiente e delle Forze dell’Ordine. Tu li conosci da poco, io li ho conosciuti solo oggi, devo dire due grandi risorse. Abbiamo sempre collaborato da remoto in questi anni cercando di seguire tutti i tuoi movimenti e limitando i contatti per ragioni di sicurezza. L’idea del messaggio da inviarmi è stata rischiosa, lo so, ma era l’unico modo per venire qui di persona e i ragazzi sono stati discreti nel suggeritela e tu così idiota da cascarci. Per fortuna li hai forniti solo di auricolari e non di videocamere nascoste, qualche nostro sguardo d’intesa avrebbe potuto tradirci. Negli ultimi tempi però avevo casi più urgenti del tuo di cui occuparmi e così ti avevo accantonato e soprattutto avevo rimosso l’ipotesi che potessi davvero scrivermi.  E poi il gran finale di oggi, incluso il mio svenimento, è stato il top. Come dici sempre tu non sto qui a spiegarti nei dettagli ma sappi che sei un sorvegliato speciale da un bel po’. Sai, in polizia ho imparato che il potere origlia sempre. Alzati che ti tolgo il nastro, anche io non sempre uso mezzi leciti.»

Daniele, si tirò su e tossì fino a sputare la rabbia. Ancora stizzito, elemosinò una spiegazione.

«Ehi ma che succede? Qualcuno mi spieghi per favore. Cos’è questa pagliacciata?»

«Nessuna pagliacciata, solo un semplice arresto.»

«E perché mai? Per essere un difensore dell’ambiente?»

«No. Perché sei un truffatore. O devo elencarti i tuoi vari illeciti? Il tuo essere ambientalista è solo una farsa per cercare di coprire e sviare le tue operazioni illegali che però ti stavano sfuggendo di mano. Ulteriori spiegazioni le avrai in questura, ora scusa ma sono stanca. Ah, per tua conoscenza, baciarti non è stato poi così bellissimo. Portatelo via.»

Uno di fronte all’altro. Alteri. I loro occhi sprezzanti. Le anime collimarono per l’ultima volta. Sofia sostenne sicura lo sguardo. Poi quell’incedere pesante di passi strascinati sul pavimento verso l’uscita alle sue spalle. Restò ferma senza voltarsi. Sentì la porta sbattere e le voci disordinate allontanarsi. Pochi secondi. Il tempo necessario per spazzare via il rimpianto del passato insieme a quel paio di fantasmi. Si ritrovò sorpresa a non desiderare altro. Di nuovo quella botta a sinistra, sempre lì, sempre poco sotto il cuore ma stavolta con quel tocco di profonda leggerezza che solo la consapevolezza sa regalare. Non le restava altro che salpare e mollare gli ormeggi di trenta anni ancorati a un pezzo di vita troppo lontana. Capraia le sarebbe rimasta per sempre dentro. Un altro domani sarebbe di nuovo arrivato presto. Era ora di tornare a casa, ricominciare e prendere definitivamente quell’ultimo traghetto.