Racconto di Silvana Guarina

(Ottava pubblicazione)

 

 

All’uscita della scuola elementare, un bimbo tutto imbronciato si stacca dalla fila di compagni e raggiunge la madre.

«Il tuo primo giorno di scuola! Tesoro! Sei contento? Com’è andato?»

«Non so. Non ho capito perché, quando la maestra ci ha chiamati e io ho detto il mio nome, tutti si sono messi a ridere.»

««Si dice ha fatto l’appello. Davvero? Credo che i tuoi compagni non sappiano quanto sia importante il tuo nome, cosa significhi e quanto tu debba esserne orgoglioso.»

«Perché il mio nome non è come Enrico, Mario o Riccardo?»

«Ascolta, Libero, questo tuo nome è importante due volte. Perché ricorda un grande sogno, un ideale che molte persone nel corso della storia…

«Che cos’è la storia?»

«Lo sai che non si interrompono gli adulti quando parlano. La storia non è altro che il racconto di tutti gli avvenimenti che si sono susseguiti nel tempo, fin da quando è iniziato il mondo. Stavo dicendo che moltissime persone hanno cercato di realizzare questo sogno, la libertà.»

«Che cos’è la libertà?» interrompe di nuovo il bimbo incuriosito.

«La libertà è…- la madre fa una pausa per cercare le parole più adatte per spiegare al suo unico e amatissimo figlio di sei anni quel concetto che anche lei, come il padre Pacifico, aveva lottato per realizzare.

«La libertà è poter esprimere le proprie idee senza condizionamenti o imposizioni, cioè poter fare qualche cosa che sei tu che scegli di fare e nessuno te lo impone.»

«Allora a scuola non c’è libertà! La maestra ci ha ordinato di stare in fila per due per andare in bagno mentre noi volevamo correre per tutto il corridoio!»

«Il vivere insieme, a casa come a scuola, comporta il rispetto di alcune regole. La libertà consiste… Ti faccio un esempio. Durante la ricreazione la maestra vi ha ordinato di mangiare una merenda uguale per tutti?»

«Ma no! Andrea aveva il panino con la mortadella, Mario un pezzo di cioccolato e Michele una mela.»

«Tu cosa avevi?»

«La focaccia!»

«Ecco! Ognuno è libero di mangiare la merenda che preferisce rispettando la regola che si mangia alle dieci. Dopo essere andati in bagno, scommetto che la maestra non ha cominciato subito la lezione.»

«No! Ci ha detto che potevamo giocare un po’.»

«Tutti avete fatto lo stesso gioco?»

«No! Riccardo ha tirato fuori dalla sua cartella la macchinina, Sandro aveva una bambolina piccola così che aveva presa a sua sorella per farle dispetto, Michele si è messo a piangere perché voleva tornare a casa, Enrico e Mario hanno guardato i cartelloni appesi alle pareti e io mi sono messo a disegnare.»

«Avete avuto un momento di libertà. Ognuno di voi è stato libero di fare quello che gli piaceva senza dar fastidio agli altri.»

«Perché prima hai detto che il mio nome è importante due volte?»

«È importante perché libertà è stata l’ultima parola che ha detto il tuo papà anzi l‘ha urlata con tutta la forza che gli rimaneva, prima di volare in cielo.»

Il bambino alza gli occhi all’azzurro che si intravede fra i rami degli ippocastani del viale che stanno percorrendo per tornare a casa.

«Lo so che papà mi guarda crescere da lassù. Perché ha gridato? Perché è andato in cielo?»

«È una lunga storia. Te la racconto con calma dopo pranzo. Ora siamo a casa e ti preparo la pasta. Come la vuoi? Al pomodoro, al pesto o al ragù?»

«Posso scegliere? Allora sono libero?»

«È una piccola libertà, ma sì puoi scegliere.»

Durante il pasto la mamma toccò a malapena il suo cibo. Aveva la gola chiusa dall’emozione e dalla responsabilità di raccontare a suo figlio la storia d’amore e di sacrificio del padre.

Nati ambedue nello stesso paesino delle Langhe, si conoscevano fin da piccoli e a scuola avevano condiviso con gli altri ragazzi, l’unica aula, riscaldata d’inverno da una stufa a legna. Ricordava mille cose di quel periodo ma quello che ancora la inteneriva era che, lungo la salita che portava alla piazza dove c’era la scuola, lui ogni giorno si faceva carico del suo grosso pezzo di legna che ogni alunno portava per il riscaldamento dell’aula. Io sono più grande e grosso di te! Posso portare pesi maggiori! Le ripeteva ogni volta che le strappava dalle braccia il ciocco di legna.

In quinta Pacifico terminò la scuola. La sua famiglia era povera, e non poteva permettersi di far studiare i quattro figli. A scuola comunque lui ci tornava tutte le settimane a restituire e a prendere i libri che la maestra gli prestava per saziare la sua fame di sapere. Spesso nel pomeriggio lei lo raggiungeva nella cascina poco distante dal paese e lo scovava sempre nel fienile con l’immancabile libro in mano. Lui metteva via libri più impegnativi e le leggeva dapprima le favole di Esopo poi, via via che anche lei cresceva, tutti i classici per ragazzi. A furia di farsi prestare libri dalla maestra e da Don Pompeo, a diciott’anni ne sapeva più di tanti altri ragazzi della sua età. Fu coscritto e controvoglia indossò la divisa. Tiravano venti di guerra e come i fratelli e gli amici fu inviato al fronte. I genitori furono quasi sollevati nel sapere che il loro figlio più giovane era stato mandato sul fronte italo-francese: quasi vicino, rispetto agli altri tre. L’otto settembre Pacifico non ebbe alcuna esitazione: si tolse la divisa e si incamminò a piedi verso il suo paese. Lo seguirono due commilitoni che abitavano nella stessa zona. I loro programmi erano gli stessi: riabbracciare le famiglie e combattere per la libertà. Non fu facile tornare a casa: la strada percorsa a piedi era lunga e molte furono le deviazioni che dovettero fare per evitare i fascisti che rastrellavano i cosiddetti disertori. Durante il viaggio vennero a sapere che si stavano formando gruppi di partigiani che avevano la loro stessa intenzione: cacciare i nazisti. Nel piccolo gruppo non ci fu molto da discutere e la decisione fu presa. Si aggregarono ai partigiani che operavano in zona al comando del Rosso, uomo carismatico ma di poca cultura. Pacifico fu presto apprezzato e divenne il consigliere del gruppo. Anche lei voleva fare la sua parte in quella guerra e, solo dopo tante insistenze, fu accettata come portaordini. Pacifico, quando sapeva che lei era in giro con la sua bici, era sempre preoccupato. Temeva che la storiella preparata da raccontare a un posto di blocco, cioè di andare a trovare una cugina in un paese vicino, non sarebbe stata creduta a lungo.

Il primo inverno fu durissimo: oltre alla neve che cadde copiosa, il cibo scarseggiava e gli aiuti da parte dei civili furono pochi. Man mano che il Rosso compiva azioni contro le Camicie Nere aumentavano i rastrellamenti e la zona sempre più battuta anche dai nazisti. Raramente Pacifico poteva tornare al paese e durante una di quelle volte le chiese di sposarlo. Lei gli rispose subito di sì, alla fine della guerra lo avrebbe sposato. Anche lei era innamorata: sognava di poter stare sempre con lui, di avere una piccola casa tutta loro, lui avrebbe coltivato i campi e lei avrebbe fatto la sarta.

Questo è un bellissimo futuro – disse Pacifico – ma oggi si deve vivere nel presente. Chissà quanto durerà ancora la guerra! Non possiamo privarci del nostro amore, per quanto insensato possa sembrare. Sposiamoci!

In gran segreto si recarono da Don Pompeo e organizzarono il matrimonio. Si sposarono eccezionalmente in cascina, approfittando della trebbiatura che richiamava parenti e amici a dare una mano. Il parroco aveva preferito così per non rischiare l’intervento di ospiti indesiderati. Dopo la cerimonia celebrata in presenza di due testimoni, la famiglia di lui e quella di lei e pochi amici fidati del paese, si passò direttamente sull’aia per il pranzo che per l’occasione e i tempi non certo floridi fu il più ricco di tutto l’anno. Alla sera mentre qualche anziano suonava la fisarmonica e i giovani ballavano, una vedetta corse a avvertire che sulla strada si stavano avvicinando delle auto e un camion. Pacifico e i suoi corsero verso i boschi e riuscirono a mettersi in salvo. Furono attratti dalla musica o fu una spiata? Non si seppe mai. Fatto sta che i repubblichini irruppero nell’aia cercando i partigiani. Il parroco ebbe il suo bel daffare a spiegare che quella era solo la festa della trebbiatura. Che guardassero pure in giro: vi erano solo pochi vecchi, le donne e i bambini che avevano lavorato tutto il giorno. Nessun partigiano! Finalmente se ne andarono ma senza dimenticare di portarsi via una decina di sacchi di grano.

La mamma sospirò al ricordo di quella prima notte di nozze in compagnia solo della paura per il suo Pacifico. Passarono i mesi e le azioni partigiane, come i rastrellamenti e i soprusi dei nazi-fascisti, si fecero sempre più numerose e sempre più pericoloso vedersi, rari furono i momenti di intimità con il marito. Poi un giorno, dopo aver subìto un controllo a un posto di blocco nazista e averla scampata per un pelo, gli aveva dato la notizia che una nuova vita stava crescendo in lei. Il Rosso mandò a prendere una bottiglia di vino per brindare tutti insieme e Pacifico la scortò più possibile sul sentiero verso casa, esortandola a non esporsi mai più ai pericoli che la lotta partigiana comportava. Resta a casa! – le aveva detto – Hai una missione speciale ora: custodire il nostro futuro!

Qualche settimana dopo lei gli aveva disubbidito e si era avviata verso un paese vicino dove spesso i partigiani scendevano a fare rifornimento presso una cascina ai margini del paese. Già da lontano sentì la puzza di bruciato e i colpi di pistola. La casa era in fiamme e soldati nazisti stavano picchiando alcuni uomini mentre altri due giacevano a terra. Si avvicinò ancora e lo vide: il viso tumefatto dai colpi inferti col calcio della pistola, il corpo sanguinante per le ferite. Due militi lo presero e lo sbatterono a un muro accanto a un compagno e l’ufficiale prese la mira. Pacifico in un ultimo sforzo, lo sguardo al bosco come se sapesse che lei era lì, gridò il suo testamento: libertà!

«Sai, tesoro, – la mamma continuò la storia di Pacifico scegliendo accuratamente le parole per renderla meno dolorosa possibile – il tuo papà insieme a tutti i compagni che hanno sognato la libertà e lottato per ottenerla, ha vinto. È stato molto bravo.»

«Quei cattivi ci sono ancora?»

«No, caro! Ci siamo noi che custodiamo il loro ricordo e il loro sogno! Noi siamo il loro futuro.»

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https://www.edizioniensemble.it/prodotto/unaltra-estate/