Racconto di Luca Tescione

(Seconda pubblicazione)

 

Anche oggi indossi una camicia, ben stirata e profumata, sotto una giacca che sembra nuova, ma che di anni ne ha pochi meno di te. Pantalone e scarpe tirate a lucido completano la tua esile figura.

L’eleganza la indossi con semplicità, evidente agli occhi di chi incrocia il tuo sguardo agli angoli delle strade. Strade strette e ben lastricate che mostrano la fatica quotidiana di chi deve scendere per poi risalire.

Sei particolarmente stanco stamattina, appoggi la schiena al muro e chini lo sguardo con un impercettibile sospiro di sollievo. Ci sono stati momenti come questo, in passato, durante i quali avresti voluto fermarti e smettere di salire e scendere, di raccogliere e vendere. È una vita che pensi di dover chiudere gli occhi per non riaprirli più ma, invece, quelle strade strette ed erte sono sempre lì che attendono i tuoi instancabili passi.

Le case si affacciano l’una sull’altra e tu conosci a memoria ogni finestra, ricordi i volti delle donne che una volta vi si sporgevano e ti chiamavano per calare con una corda la cesta in cui riporre il raccolto del giorno. Il tuo mondo è quello lì, la tua esistenza è trascorsa sempre in quel paese. Quello di cui hai bisogno è riposto fra quegli edifici, tutto quello che hai conosciuto si interseca tra gli incroci stretti del borgo.

Pare poca cosa solo a chi non è più in grado di guardare fino in fondo, a chi indossa abiti firmati per mostrarsi mentre viaggia in giro per il mondo per far apparire un’eleganza che non ha, per scattarsi foto in ogni momento, anche il più intimo e insignificante, per mostrare la propria vita ogni minuto del giorno, tradendo la realtà del proprio volto, rendendo invece imperfetto ciò che già è perfetto, omologando ogni azione e pensiero in una povertà di intenti. Per mostrare continui sorrisi, calici luccicanti, fisici tonici e sole dappertutto, colori sempre sgargianti e notti sempre più trasgressive. Per mostrare ogni cosa di sé, tutto quello che può apparire, anche se inutile e privo di senso, circondato da finzioni travestite da realtà.

Tu, invece, rimani confinato nel tuo borgo, intatto negli anni, senza crepe nelle mura, senza corruzioni del mondo esterno, senza che il tuo viso antico possa rischiare di macchiarsi. La pulizia dei tuoi vestiti la rifletti nelle profondità dei tuoi occhi neri, l’eleganza di quegli abiti la indossi sulla tua anima.

La ricchezza delle tue ceste sono i frutti della terra, semplici e naturali, come quelle nespole ricche di sole e di luce, ricche di bontà e di bellezza.

Non possiedi vini pregiati, né cosmetici luccicanti, non ti sommergi di oggetti che non sono mai indispensabili, non ti circondi di immagini per truccare la tua anima, non rincorri spasmodicamente il denaro, non cerchi di rimanere dritto a tutti i costi. Non hai paura di cadere, non hai paura di nasconderti.

Ti pieghi sotto il peso delle fatiche, delle asperità della vita, di tutte quelle cose complicate che ci siamo dimenticati esistere. Tu le hai sfidate tutte, nel silenzio che fa più rumore, hai graffiato con le mani e hai morso con i denti, hai vinto e adesso ti appoggi ai mattoni di tufo per lenire i dolori della schiena. Non ti sei spezzato, non hai finto di lottare, perché le cicatrici visibili e le antiche rughe che solcano la tua pelle parlano di tutto questo; è la realtà che manifesta la tua bellezza, sono l’abito firmato che indossi ogni giorno, è il libro che non ha bisogno di essere scritto, il dipinto che si guarda con ammirazione, il film che insegna l’importanza della dignità, che non ruba e non nasconde, che non ha vergogna né paura che, soddisfatta, vende i frutti del proprio raccolto, della passione per la terra di cui prendersi cura e amore.

Sei stanco da una vita, forse da troppi anni, ma non smetti di fare quello che sai fare meglio, quello che fai bene, quello che sai insegnare, di cui fai innamorare, di cui non avrai mai vergogna.

Poggi la schiena al muro e aspetti paziente che altri arrivino in quell’angolo di strade per comprare la tua frutta, perché tu possa pesarla il necessario e poi venderla con attenzione e premura. Non hai bisogno di altro se non di pochi, semplici gesti. Importanti, ognuno, ogni giorno.

Ma dove è detto che la semplicità di una vita non è vita o è una vita meno importante? Non c’è bisogno di molte parole né di complessi e artificiosi concetti. Sono necessari solo pochi gesti, semplici, purché accurati e autentici, che mostrino le passioni di una vita, il senso forte dell’amor proprio, di una esistenza vissuta pienamente, che per brillare non ha bisogno di spegnere le altre, né ha bisogno di doversi far notare a ogni costo. Le stelle ci conoscono uno a uno, il sole illumina te e con la stessa intensità me, come tutti gli altri, nessuno di noi escluso. Ci consente di risplendere allo stesso modo eppure ognuno con una diversa luce, come risplendi tu in quest’angolo di strada.

Il tuo nome si confonderà con gli altri nel tempo, ineluttabilmente nessuno si ricorderà di esso, ma dell’eleganza della tua anima nessuno potrà farne a meno. L’eleganza di chi incrocia le mani dietro la schiena, l’eleganza di chi guarda a terra per aspettare, per non invadere le altrui esistenze, di chi si preoccupa di non dar fastidio ai nostri pensieri quotidiani.

La tua è l’eleganza di chi del silenzio si veste e del suo essere si fa onore, virtù. Di chi esprime gentilezza e non aspetta che nessun male arrivi. Di chi ha da donare solo pietre preziose che si tramutano in nespole, dorate e gialle, profumate e succose da addentare e gustare.

La vita non ha un senso preciso né, tantomeno, chiaro. Se non quello che le diamo noi con le nostre esperienze, le nostre alterne fortune, le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre illusioni e disillusioni, i nostri desideri e le nostre speranze quotidiane. E la nostra eleganza.

L’eleganza di cui vestiamo la nostra anima ogni giorno, e che regaliamo, anziché venderla, a chiunque incroci la nostra strada, per ricordarci che tutto quello che siamo è ciò che ci deve bastare e di cui dobbiamo renderci fieri.

***

Alla frutta non riesco a resistere troppo a lungo, ghiotto dei succhi e delle polpe, ingordo di ciò che rende dolce ogni mia giornata. Per questo mi avvicino, irresistibilmente, alle ceste accatastate sul muretto a lato della strada, mostrandogli il mio migliore sorriso.

«Buongiorno»

«Buongiorno a Lei.»

Alza i suoi profondi occhi neri e mi scruta con attenzione e una profondità che ha il sapore di secoli andati.

«Sono bellissime queste nespole.»

«Le ho appena raccolte dal mio orto. Le ho curate ogni giorno, dal primo seme gettato sul terreno fino alla loro maturazione.»

«Curate?»

«Sì, come ogni cosa che vada curata. Anche i frutti della terra vanno curati.»

«Coltivati intende dire?»

«C’è chi coltiva e chi cura.»

«E quale sarebbe la differenza?»

«Chi coltiva conosce l’importanza della terra per il suo sostentamento ed è consapevole della necessità di saperla lavorare per il proprio guadagno. Con i frutti del raccolto sfama chi ne fa richiesta. Più coltiva, più vende e più ci guadagna.

Io, invece, curo. Mi prendo cura delle nespole, perché ogni singola nespola va cresciuta per bene, con dedizione, non va buttata, non va fatta marcire, perché soffrirebbe della nostra incuria, della nostra indifferenza. Ogni nespola è differente dall’altra, non ce ne sono due uguali ed è proprio questa differenza che le rende preziose, ognuna bella a modo suo. Più sono curate e più sono buone, più sono buone maggiormente deliziano chi decide di comprarle. Guardi, ne prendo una e gliela mostro.»

Con gesti accurati e lenti coglie una nespola e, con un sorriso premuroso, la apre in due parti, senza far cadere nemmeno una goccia del suo succo. Pienamente soddisfatto me la mostra tra le mani.

«Ecco, vede quanto è bella? Guardi anche Lei: il colore giallo non è luminoso solo dall’esterno, è anche la polpa interna a splendere come il sole, gialla come lui. Non è solo la buccia a non avere ammaccature, a non essere troppo matura ma è la sua polpa interna a rimanere succosa, è la polpa a renderla forte alle intemperie, resistente alla pioggia e alle temperature. Le ho curate personalmente una per una, una dopo l’altra.»

Me la porge affinché io possa masticare e succhiare quella che lui ha diviso a metà.

Non avevo mai assaggiato una nespola più buona di quella in vita mia, non avevo mai avuto così voglia di mangiarne altre.

«Prego prenda, ne prenda quante ne vuole. Le ho curate tutte io, da solo.»

Mentre, con ingordigia, ne mangio altre insisto a porgli nuove domande.

«È un lavoro faticosissimo. Fa così con tutti i prodotti del suo orto?»

«Certo, questo è il mio lavoro. L’orto è la cosa più importante che ho. Ogni mattina mi sveglio, mi lavo, mi vesto, faccio colazione e subito dopo mi dedico all’orto. Ma non creda che trascorra tutta la giornata con lui. Gli è sufficiente dedicargli solo la mezza giornata, durante la quale vede che mi prendo cura del terreno, delle piante, dei semi, dell’acqua, che tolgo le erbacce e tante altre accortezze. Poi il pomeriggio raccolgo i suoi frutti e vengo a venderli qui, a questo incrocio. È il luogo di passaggio più frequentato dalle persone che circolano nel borgo.»

Parla del suo orto impersonandolo, come se fosse un amico di tutti i giorni. Non ho intenzione di chiedergli se ha ancora una famiglia, una moglie e dei figli ad aspettarlo.

«Questo è il mio lavoro, la mia soddisfazione è nel vedere gli occhi dei clienti come Lei, che godono appena assaggiano una delle mie nespole. È la conferma che faccio bene il mio mestiere. È la mia passione coltivare la terra e lei non mi ha mai tradito. Mi è sempre stata fedele e con lei ho vissuto in simbiosi per tanti anni e ancora oggi sono qui senza rimpianti. Come può ben vedere con i suoi occhi.»

Mi indica il dintorno di quelle antiche mura per poi indicare lui stesso.

«Allora Le piacciono le mie nespole?»

«Si, sono soddisfatto e devo dirLe che sono saporitissime, hanno un gusto a dir poco spettacolare. Mai mangiate di così buone prima d’ora.»

Mi porge un semplice tovagliolo di carta col quale asciugarmi la bocca. Il gusto di quella frutta rimase in me per molto tempo ancora.

«Le posso chiedere un’altra cosa? Non vorrei essere invadente o inopportuno, non vorrei approfittarmi dandole troppo fastidio.»

«Prego, non c’è nessun problema. Già che si è fermato a parlare con me e a mangiare queste nespole è una grande soddisfazione personale, mi creda. Ho tutto il tempo che le serve, non vado mai di fretta e non lo farò adesso. Mi dica pure.»

«Perché è vestito così elegante?»

Scoppia in una risata divertita ma con dei modi aggraziati, di persona gentile e per nulla invadente.

«Perché tutti meritano rispetto. Lo meritano le nespole, lo merita il mio orto, lo merita chi passa di qui e mi saluta, lo meritano i clienti come Lei. Non posso presentarmi con i vestiti sporchi di fango e magari con dei miseri stracci. È il mio lavoro. Immagino che anche Lei andrà vestito per bene nel suo ufficio, per adempiere alle sue attività quotidiane, così anche io devo presentarmi per bene, per mostrare la ricchezza del mio raccolto, i risultati del mio lavoro. Comprerebbe queste nespole o le assaggerebbe soltanto se indossassi panni logori?»

In quel momento mi sorride in una maniera così disarmante che non posso far altro che sentirmi un ragazzino al cospetto di un anziano saggio che mi sta insegnando più di quello che sta raccontandomi in quel momento.

Prima di congedarmi da lui e proseguire il mio viaggio decido di comprare due buste di nespole: sono talmente saporite che avrei potuto comprarne altre, ma non voglio privare del gusto e del piacere che ho provato io a chi si è avvicinato dietro di me, disponendosi in fila e mettendosi in attesa, incuriosito dai nostri discorsi.

Quando io e altri due clienti iniziamo ad allontanarci lui ritorna ad appoggiare la schiena al muro, con la sua piccola statura ferma in quell’angolo, quasi non volesse intralciare il cammino delle vite che gli passano accanto, quasi se ne rimanesse in disparte per attendere che qualcun altro si fermi a osservarlo, a notare il suo volto antico e quasi eterno, a offrirgli parola.

Appena metto un po’ di distanza tra noi due, mi fermo in disparte e mi rigiro a guardarlo ancora un po’, attento anch’io a non intralciare qualunque flusso dei suoi pensieri, perché capisco proprio in quel momento l’importanza di ogni vita, di ogni persona, di ogni scelta personale, di ogni modo di condurre e decidere come vivere, di quanta ricchezza possa esserci in ogni singola diversità, di quanto l’eleganza dell’anima sia la cosa più importante e l’unica cosa davvero necessaria per saper vivere ogni giorno. Di quanto importante sia ogni singola azione, di quanto lo sia ogni singola attività, non solo per chi la compie ma anche per chi la riceve, per chi la conosce.

Di quanto l’eleganza di un’anima possa splendere più di ogni sole, elevandosi oltre ogni stella, anche in un questo piccolo borgo che è una nespola al confronto delle profondità cosmiche, ma in cui vive un’anima così brillante da renderla importante, preziosa e riconoscibile anche nell’infinità dell’Universo, anche al di là del Tempo.

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https://www.ibs.it/sguardo-oltre-orizzonte-libro-luca-tescione/e/9788833431956

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