Racconto di Salvo Di Pietro

(Prima pubblicazione)

 

Qualche tempo da quel giorno.
Marco e Mina si conoscono da poco, quel poco così pieno che una vita non basta.
Lui non è del posto. Ha una t-shirt con la copertina di Nevermind e un codice fiscale tatuato sul braccio sinistro. Lei invece vive da sempre qui, fa la commessa in un negozio di abbigliamento. Occhi furbi, 30 anni, un sorriso da cinema e l’animo gentile. Marco è seduto su una panchina del parco. Nina si avvicina, anche lei si siede su quella panchina rossa.
Marco: <<Adesso è il momento giusto anche se è come scalare una parete rocciosa.>>
Mina: <<Il momento giusto per cosa?>>
Marco: <<Potrei dirti una frase ad effetto tipo: è il momento giusto per dirti ti amo. Ma non è quello che voglio dirti, almeno, non adesso.>>
Prende fiato Marco, prende fiato, chiude gli occhi e trova il coraggio, come quel giorno.
Respira profondamente e pensa a sua madre. A quanto è bella ancora adesso. Pensa a quando gli ripeteva: sei tu il mio supereroe. Respira profondamente Marco, lasciati andare.
Mina: <<Quindi, vuoi lasciarmi o vuoi sposarmi?>> Mina è uno spettacolo. Riesce sempre a far piovere sorrisi.
Marco: <<Quanto tempo puoi concedermi?>>
Mina: <<Tutta una vita.>> E adesso fa esplodere arcobaleni.
Marco: <<Io dormo senza il cuscino.>>
Mina: <<Beh, direi che me ne sono accorta, quindi?>>
Marco: <<Ok. Devo raccontarti una storia. Per me è importante, è un bisogno. È la prima volta che ne parlo con qualcuno.>>

Quel giorno.
Notte di sudore a secchiate. In questo luogo di anime glaciali c’è un viavai di solitudini in cerca di aria fresca impacchettata. Il corridoio è buio perché la lampada che lo illumina è andata in ferie anticipate, ma laggiù in fondo, un cenno di luce, regala speranza. Marco e Anna sono seduti su sedie così anonime da non lasciare traccia. Anna è la mamma di Marco e lui è il suo piccolo supereroe. Anna è bella anche adesso che ha gli occhi cerchiati di blu e le lacrime lasciano solchi e fanno un carpiato sul suo seno. Le sue labbra hanno vissuto giorni migliori. Un vestitino a fiori stropicciato e sudaticcio la rende di una sensualità imbarazzante. Quando incrocia un uomo sulla sua strada potrebbe asfaltarlo, disarmarlo con un semplice sguardo. Potrebbe, ma non vorrebbe. La bellezza fa vittime inconsapevoli e spesso uccide se stessi. Marco adesso la sta abbracciando forte, così forte da sentire il dolore imploso di quella donna che ama incondizionatamente. Lei accenna un sorriso tra il dolore e la dolcezza e tutto il mondo attorno scompare. Via i pensieri, via il freddo della paura e il caldo di questo agosto infinito. Via le urla e i fiati sul collo, i sospiri e i graffi al cuore. Una donna, suo figlio e un abbraccio che dura tutta la vita. Un abbraccio per sentirsi al riparo. Anna forse riuscirà a riprendersi la vita, le spetta come a tutti del resto. Marco è il suo braccio teso prima di sprofondare.

Marco: <<Mamma non devi più aver paura. È tutto finito. Chiudi gli occhi, riposa.>>
Anna: << No, Marco non voglio chiudere gli occhi adesso, non adesso. Per troppo tempo ho vissuto con gli occhi bendati. Adesso voglio vivere a testa alta. Ho paura, certo. Ma è una paura diversa. Ho paura per te. Per quello che accadrà dietro quella porta quando racconteremo tutto. Cambierà tutto e tutto prenderà una direzione non prevista.>>
Marco: << Io non ho paura. Adesso non più.>> La fierezza appiccicata al viso.
I loro sguardi si cercano, si trovano e sprigionano lacrime nuove. Lacrime di pura gioia. Non c’è rabbia né dolore, solo gioia, solo quella. Se l’amore esiste è questo, non quello che ha pensato di vivere fino a qualche ora fa con l’uomo che ha sposato e che le ha dato un figlio. “Questo non è amore, non può esserlo” gli rimbombava in testa fino allo sfinimento. Non riusciva ad ammetterlo, quasi si vergognasse a chiedere aiuto. Dentro quelle mura viveva l’inferno, mentre fuori il mondo le sorrideva. Nessuno poteva sapere o immaginare. Nessuno, tranne suo figlio che in quella casa ci viveva. Le ferite più dolorose erano quelle che portava dentro. Le altre che riusciva a nascondere con i vestiti, dopo qualche giorno sparivano. Quelle che non poteva nascondere erano le cicatrici e i graffi al cuore, sale su ferite. Un dolore che non andava più via. Come l’odore sulla pelle o l’alito putrido di quell’uomo a cui non riusciva a dire no. Marco quelle ferite non le vedeva ma sapeva che erano quelle che le causavano più dolore. Lo leggeva negli occhi di sua mamma e ogni giorno erano sempre più spenti.
Marco ha 16 anni e indossa una t-shirt sporca con il logo dei Nirvana. Le braccia graffiate da qualche ora e un sorriso tenero. Questa sera è diventato un uomo. Porta addosso il peso del dolore di sua madre, dei suoi pianti interrotti e la sua paura infinita.
Anna: <<Sei il mio supereroe.>>
Marco: << Sono un vigliacco che ha trovato soltanto adesso il coraggio. Dovevo farlo molto tempo prima. Quando vi sentivo litigare mettevo la testa sotto il cuscino. Pensavo mi potesse salvare. Non sentire le tue grida e la sua maledetta voce. Testa sotto il cuscino e tutto passava. Ero solo un vigliacco mamma. Solo un vigliacco. Quel cuscino non ha salvato me e nemmeno te. Ha salvato lui.>>
Anna: << Non sei e non eri un vigliacco. Hai 16 anni. Avere paura a 16 anni è un diritto. Non è vigliaccheria.>>
La porta davanti a loro adesso si è spalancata. Anna e Marco si cercano con gli occhi e si scoprono fieri come non mai. Si alzano ed entrano. L’aria dentro è più fresca rispetto alla sala d’aspetto.
Il Commissario: <<Accomodatevi. Volete un caffè o dell’acqua?>>
Marco: <<No. Grazie.>> Anna replica le parole del figlio.
Il Commissario: – Come sta? – Rivolgendosi alla donna.
Anna: <<Adesso va meglio.>>
Il Commissario: <<E tu giovanotto?>>
Marco: <<Bene. Voglio denunciare mio padre. Lo faccio per amore. Lo denuncio perché picchia mia madre. Lo denuncio per salvarla, per salvarci. Non mi pento e lo rifarei mille volte. Non sono né un supereroe, come pensa mia madre, ma nemmeno un infame come certa gente può considerarmi. È solo necessario. Andava fatto molto tempo prima. Perché questo non è amore, non può esserlo.>>

Dopo circa tre ore Anna e Marco escono da quella stanza. Prendono due strade diverse. Anna viene accompagnata da un agente in ospedale per farsi curare le ferite. Ha ancora macchie rosse sulle scarpe bianche, un macigno nel petto, una stanchezza indecifrabile e gli occhi annegati nelle lacrime. Marco, va via da quella caserma. Via dal suo paese, via da quelle strade che lo hanno visto gironzolare per tanto o forse per poco tempo. Via dalle urla di suo padre e dalle grida disperate di sua madre. Via dalla sua casa, dalla sua cameretta e da quel cuscino. Via dal suo passato, via dal suo futuro. Non piange e non ha rimpianti. Ha un prezzo da pagare e pagherà e, quando sarà in pari con la vita, troverà il modo per farsi ripagare. Ha salvato sua mamma e questo salverà lui. Sono entrambi distrutti e a breve torneranno insieme. Adesso devono riposare. Una volante imbocca la strada e si porta via una brutta storia. Marco 16 anni, la t-shirt dei Nirvana ancora addosso ha denunciato l’uomo che picchiava sua mamma e che qualche volta picchiava pure lui. Ha denunciato quell’uomo che era diventato un orco. L’uomo che strappava di dosso i vestiti, la pelle, i sorrisi e la vita di Anna. Marco ha denunciato suo padre che non era più suo padre, ma nemmeno un uomo. Non si reputa un infame, non lo è. Ma libero sì. Libero di non mettere la testa sotto il cuscino.

Qualche tempo da quel giorno.
Marco e Mina si conoscono da poco, quel poco che basta a raccontarsi la vita. Sono seduti già dal qualche ora in una panchina rossa del parco di una piccola città del mondo. Marco ha buttato fuori la sua storia. Adesso è piuma e come una piuma si fa portare via dal vento. Sguardo in alto, guarda il cielo che adesso ha cambiato colore e va sul blu notte. Ha la testa indietro, come gli aveva insegnato sua mamma quando gli lavava i capelli – metti la testa indietro così la schiuma non ti va negli occhi. – Così è adesso. Vola via come piccolo aereo con il motore spento, leggero come le piume d’oca dei cuscini. Zero macigni.
Mina testa abbassata e acqua salata dentro gli occhi. Non riesce ad arginare quel mare. Alza la testa, punta Marco e lo bacia. E quel bacio è pietà, amore se l’amore esiste. Un bacio che diventa preghiera.
Mina: <<Grazie per avermi raccontato questa storia. Grazie per aver salvato tua mamma e tutte le donne che salverai. Racconta questa storia a chiunque. Dai voce ad Anna. Merita tutto ciò. Lo merito io, lo meritano tutte le donne e anche gli uomini che credono ancora nell’amore. L’amore esiste e tu sei la prova.>>
Marco e Mina si abbracciano eternamente. Il parco è alle loro spalle, la luna lassù è una lama sottile che squarcia il cielo. La panchina rossa rimane lì testimone di quell’amore appena fortificato. Mina e Marco forse si sposeranno e avranno dei figli, non è dato saperlo. Stanno ancora insieme. Marco porta ancora la t-shirt dei Nirvana e dorme con la testa sopra il cuscino.