Racconto di Patrizia Bortolini

(Quinta pubblicazione – 21 agosto 2019)

 

Un tempo andavamo al mare nel mese di agosto poiché mio padre, che lavorava in fabbrica, aveva le ferie solo in quel periodo.

Era sempre la stessa località, Jesolo, e la stessa via, Via Fiume; una volta in affitto in una casa, l’anno dopo in un’altra.

Quello era il nostro posto. Ancora adesso quando ci passo guardo con affetto quella strada cercando la stessa atmosfera di allora, o forse sono io che spero di trovarla.

Con una certa nostalgia.

Ovviamente noi bambini eravamo sempre elettrizzati.

I preparativi per la partenza iniziavano con buon anticipo, mia mamma sistemava frutta e verdura dell’orto in una cassettina da portar via, prodotti per le pulizie dell’appartamento, gli immancabili medicinali per ogni evenienza, i giochi nostri e le valigie. Ma nelle valigie, oltre che il vestiario, ci dovevano stare pure le lenzuola!

Il tutto nella 500 rossa! Più noi quattro. Eppure ci stava tutto, stipato all’inverosimile.

La partenza era un momento carico di emozioni e di aspettative, per noi bambini era un avvenimento davvero eccezionale e straordinario, non stavamo letteralmente più nella pelle.

Per me il viaggio era un po’ meno eccitante, in quanto soffrivo il mal d’auto e allora:”Siediti davanti, annusa un mazzetto di prezzemolo, guarda dritto, non bere “ ; ma ogni volta era una sofferenza.

Da piccola mi portavo la mia bambola preferita con tutti i suoi vestitini e la borsetta di vernice rossa, una chicca, perché con la mia cuginetta dovevamo poi giocare alle “signore” . Chiusa la casa dopo infinite attenzioni, infiniti promemoria per non dimenticare nulla: “Televisione staccata? Gas chiuso? Finestra dietro chiusa? “si saliva tutti in auto, si faceva un ultimissimo rapido elenco delle cose, e finalmente viaaaaaa, verso il mare!

Sognate vacanze per mio padre che passava tutto l’anno chiuso in fabbrica lavorando anche dieci ore al giorno, stanco ma indomito! Sognate vacanze per mia madre che aveva l’unica occasione per evadere dalla routine!

E soprattutto sognate vacanze per noi due, a cui la strada per arrivare alla meta sembrava un viaggio lunghissimo!

Ma non era finita, perché dovevamo raggiungere i miei zii e cuginetti, che con la loro auto sarebbero venuti, come di consuetudine, con noi al mare, nella stessa casa.

Noi sempre puntualissimi, loro sempre in ritardo. Per cui attendevamo spazientiti che i loro preparativi fossero ultimati, tra un caffè, due chiacchiere veloci e qualche incitazione a sbrigarsi, dopodiché, a Dio piacendo, si levavano le ancore definitivamente, con un nostro grandioso sospiro di sollievo, velato di malumore e un bisbigliato: “Ogni volta la stessa storia!”

Un’oretta e mezza di viaggio nella 500, col caldo soffocante, pieni di pacchi, ed i finestrini solo leggermente aperti perché mamma diceva che troppa aria faceva venire la paralisi facciale, insomma una faticaccia!

E guardavamo attraverso il finestrino, tutti i paesaggi della pianura, i campi coltivati, i frutteti, i paesi, e nell’ultimo tratto, quel lungo e grosso fiume che costeggiava la strada bianca e stretta, il Piave.

Quel serpentone verde blu mi incuteva un certo timore perché i bordi della strada non avevano nessuna protezione ed io irrigidita e tesa pensavo dentro di me: ”Se papà sbaglia con la macchina, finiamo tutti nel fiume”.

Dall’ altro lato della strada troneggiavano quelle belle grandi case rurali dai nomi affascinanti “Ca’ Tron” “Ca’ Rossa” , attorniate da distese di mais e da alberi di pero e melo.

E finalmente giungevamo al tanto sospirato mare!

Scendevamo dall’auto con salti di gioia, respirando un’aria che già sapeva di sale, poi si scaricavano i bagagli, si puliva e sistemava casa, si facevano i letti, e si usciva a fare la spesa.

Il rito più bello era andare a comprare il pane nel forno dove facevano bella mostra di sé quei krapfen che si potevano trovare solo lì! Appena girato l’angolo già si sentiva nell’aria una buona fragranza di pane fresco ma vedere sul bancone i vassoi pieni di dolci, brioches, krapfen appena sfornati, era per noi il piacere più grande e avevamo la consapevolezza che in quel momento, davvero, eravamo in vacanza!

Intorno a noi persone già pronte per la spiaggia, con borse e borsoni, che si avviavano al loro ombrellone, accompagnate dall’immancabile ciabattare degli zoccoli.

Con il krapfen tra le mani, la bocca inzuccherata, il sole negli occhi, ci incamminavamo anche noi sulla stradina piena di cespugli selvatici che conduceva alla spiaggia, guardando all’azzurro spumoso del mare che ci appariva in tutta la sua bellezza!

Lasciavamo la mano di nostra madre e correndo, tra grida gioiose e liberatorie, ci lanciavamo verso la riva per toccare l’acqua salata quasi a dare il nostro saluto!

Acqua e sale, zucchero sulle labbra: la fanciullezza tra le mani!

E cominciavano così le lunghe giornate di vacanze ferragostane, a giocare tutto il giorno con i cugini, a stare la sera seduti fuori con una fetta di cocomero rosso gocciolante tra le mani, a scacciare le zanzare, a sentire le risate dei grandi…

E così, estate dopo estate, sono passati gli anni, ma quel luogo è rimasto comunque da sempre la mia “casa”, la culla della mia fanciullezza, il luogo che più amo trovare.