Racconto di Giuseppe Joe Bonato

(Seconda pubblicazione – 10 marzo 2021)

 

 

“Io non credo davvero che quel tempo ritorni,

ma ricordo quei giorni”

(F.Guccini: < Ti ricordi quei giorni > dall’album …QUASI COME DUMAS…  del 1989)

 

 

 

Rivedere casualmente un luogo dell’adolescenza ove il ricordo ti riporta, come in un flashback, a rivivere momentaneamente un passato ricco di vita ed umanità, fa sì che l’animo si empia di mestizia, quasi una specie di nostalgia piena di rimpianto.

È ciò che mi sta accadendo in questo assolato sabato mattina d’agosto.

Percorrevo in auto la strada poco trafficata che va da Sarcedo a Zugliano sulla quale non transitavo da molti anni e stavo viaggiando tranquillo per recarmi a Lonedo quando, lungo il canale che corre parallelo alla strada, mi è apparso quel complesso industriale tessile, memoria del recente passato delle nostre laboriose genti laniere, classificato oggi come archeologia industriale.

Ho arrestato d’istinto l’auto sopraffatto da un’impercettibile sensazione agrodolce.

Il corpo fabbrica sta al di là della roggia e si raggiunge tramite un ponticello, mentre al di qua c’è l’abitazione del direttore con annesso sul retro il blocco delle abitazioni degli operai che aprono i numerosi usci sul grande cortile comune che guarda proprio sulla strada, più in alto, dove sono io…

Il ricordo ora torna a quando frequentavo T. Moreno, il figlio del direttore di quella fabbrica, con cui condividevo oltre alla scuola media Bassani di Thiene, anche la squadra di calcio Audace del mio quartiere di Ca’ Pajella, dove con insistenza, l’avevo convinto ad entrare da straniero.

Spesso mi recavo in bicicletta a casa sua per i compiti di scuola che svolgevamo nel bel salottino.

Rammento la sua giovane mamma in cucina prepararci il tè con i biscotti, mentre accudiva il figlio più piccolo.

Finite le lezioni ci avventuravamo nell’Astico poco lontano, nel punto in cui era crollato il ponte con la disastrosa brentana dell’anno precedente, il 4 novembre del ‘66.

Tutto di quel sito denominato “Canton Parigi” mi è rimasto impresso nell’istantanea della memoria come un luogo ben curato e ricco di fermento lavorativo e familiare.

Ma ecco che ora, mentre ripenso ai vecchi tempi, il cortile si rianima di ragazzi che gridano festosi;

giocano sotto l’occhio vigile di giovani madri che chiacchierando sull’uscio di casa attendono il ritorno dei propri uomini dal lavoro. Dalle loro piccole cucine si diffonde un profumo antico, mentre un lieve sorriso mi ruga la guancia nell’osservare quel bel quadretto di vita quotidiana.

Ma è solo un attimo fuggente…

Ora non si vede più nessuno, gli usci sono sbarrati da assi tarlate, i vetri delle finestre sono rotti, l’erba alta ha invaso l’intero cortile, l’edera ricopre i muri da dove cadono gli intonaci mettendo in vista i mattoni rossi che si stanno sgretolando: tutto abbandonato e triste, ormai senz’anima.

Più non si ode il vociare delle giovani donne né le grida dei ragazzi; il profumo antico si è volatilizzato nel silenzio irreale, rotto solo dal passaggio di qualche auto sulla strada dietro di me…

Dove saranno quelle madri con i loro mariti? Dove sono i loro figli?

Ecco, ora scende in me una specie di mestizia per quei giorni che non torneranno più…