Racconto di Silvana Guarina

(Seconda pubblicazione – 11 settembre 2020)

 

 

– Che programmi hai per stasera?

Mi chiede Stefanella uscendo da scuola dopo un collegio dei docenti lungo e barboso.

-Gli stessi di Bridget Jones nella scena iniziale del film.

-Eh? – mi fa lei confusa. Stefanella non deve essere un’accanita fan di questo personaggio per cui glielo spiego: pigiamone, divano, tv e calice di vino.

– Ragazza, allora tu devi venire con noi! Assolutamente!

– Che fate di bello?

– Qualcosa di godurioso che risvegli i nostri sensi debilitati, specialmente il gusto.

Sgrano gli occhi: mi viene subito in mente la scena del gelato in 50 sfumature di rosso!

– No grazie ma non vado in certi locali come tante all’8 marzo.

– Ma che vai a pensare?? Pizza! Stasera grande abbuffata di pizza!

Sono sollevata, una serata in compagnia, mi alletta parecchio. Un piccolo sgarro alla mia dieta non sarà la causa del mio mancato dimagrimento.

– Ci sto’. Dove ci vediamo?

Mi accodo alle due auto delle colleghe e ci avviamo fuori città. Il tragitto mi sembra lungo, attraversiamo un paio di piccoli paesi del circondario della cittadina dove abito e finalmente l’auto di testa rallenta e svolta in una stradina asfaltata di campagna. «Deve essere un agriturismo» penso, sentendo i primi morsi della fame. La strada si snoda fra i campi coltivati per poi addentrarsi in una zona più brulla, con i calanchi. Intanto si è fatto scuro. Di nuovo l’auto di testa rallenta e svolta ancora, in una strada più stretta e sterrata. «Se incontriamo un’altra auto che procede in senso opposto son dolori, si rischia la cunetta!» mi preoccupo, ma seguo il gruppo pensando che poche centinaia di metri ci separano da una ghiotta pizza cotta in forno a legna. Macché! Il mio appetito cresce ancora per circa tre chilometri di sterrata in un fitto bosco e finalmente, dopo un ultimo breve tratto in salita, possiamo parcheggiare di fronte a quello che penso sia il locale nel quale passeremo il resto della serata. Si tratta di una vecchia cascina, alla quale si accede percorrendo un viottolo lastricato di pietre levigate dagli agenti atmosferici e da un continuo calpestio di uomini, animali e carri. Ai lati, grandi ciotole in pietra accolgono erbe aromatiche e fiori. Qua e là attrezzi da lavoro ormai inutilizzabili sembrano essere stati lasciati a mo’ di decorazione sotto lampade dalle quali si spande una luce fioca.

– Siete sicure che sia il posto giusto? – chiedo perplessa.

– Ma certo! – mi dice Stefanella accendendosi l’ennesima sigaretta della giornata. – L’aspetto esterno, ed anche quello interno – aggiunge – è, come diresti tu in inglese, shabby ma la pizza… Quella è un poema.

Per nulla rassicurata entro nel salone insieme alle colleghe e mi guardo intorno. Più che un salone è una stalla ristrutturata. Il pavimento è in cotto antico, le pareti, dall’intonaco non propriamente liscio, sono colorate di un giallo pallido, le credenze sono state sicuramente recuperate in qualche solaio o mercatino delle pulci e sono piene di caraffe e bicchieri di vario colore. I tavoli verso i quali veniamo indirizzate non sono altro che due lunghe tavolate contornate da sedie di ogni forma e colore, apparecchiate con posate scompagnate, bicchieri di vario stile, piatti fondi e piani. Il trionfo del vintage!

Non riesco a trattenermi dall’accennare fra i denti «Porta Portese! Porta Portese, cosa avrai di più?». Sono stonata ma la nota canzone di Baglioni è riconoscibilissima.
– Beh! Sì!  L’impressione è questa! Ma guarda là!

Stefanella mi indica una porta aperta in fondo al salone, la cucina. Mi avvicino e butto uno sguardo dentro. Wow! Alla faccia del vintage! E’ tutto un brillare di inox, pieno di attrezzatura super moderna. In fondo troneggia un mega forno a legna da far invidia al vincitore del Master pizza chef. Rassicurata, torno dal gruppo che sta prendendo posto ad una delle tavolate insieme ad una famigliola, una coppietta, e ad alcuni liceali. Data la mancanza di privacy, sono sicura che nel corso della cena, con i nostri discorsi di maestre fuori servizio, scandalizzeremo qualcuno dei nostri vicini di tavolo. Pazienza! E finalmente arriva lei, la pizza. La cameriera, ogni quattro commensali depone una pizza pre tagliata. Si comincia con la classica margherita, e poi chi più ne ha, più ne metta. Se in qualche piatto di portata avanza una fetta, non ci si fa scrupolo a passarla da un capo all’altro del tavolo.

– Scusi, mi passa l’ultima fetta ai funghi?

– Certo. Eccola!

– Signora, non mangia la marinara?

– No, la gradisce lei?

– Sì, grazie! Cosa le passo? La capricciosa o l’ortolana?

Le verdure provengono dal loro orto e i salumi sono preparati con le carni del loro allevamento. La pasta, fatta con farina macinata a pietra, è sottile, ben cotta e croccante. Insomma tutto di grande qualità e a km zero. Dopo un paio di fette mi scordo completamente della mia dieta e non conto nemmeno più i tipi di pizza che assaggio. L’atmosfera è decisamene conviviale e finiamo per chiacchierare non solo fra di noi ma con tutti i clienti della nostra tavolata.

– Che ti dicevo? – Stefanella addenta un quarto di pizza alla nutella – il risveglio del gusto! Una scorpacciata di pizza megagalattica!

– Hai ragione! Mai fermarsi alle apparenze che possono ingannare.