Racconto di Alessio Torelli

(Prima pubblicazione)

 

“Ascolta, non ho più voglia di fare questo discorso.” dissi. E il mio amico mi incalzava. “Siamo degli ipocriti, abbiamo contestato tutto per vent’anni e ora che siamo diventati? Conformisti, lavoratori modello, perfetti ingranaggi del sistema che odiavamo. Schiavi…siamo schiavi.” urlava, puntandomi il dito contro. Quando disse la parola “schiavi”, la sua foga da ubriaco si trasformò in amara riflessione, il suo viso da arrabbiato divenne triste, sembrava quasi volesse piangere. Rientrò al bar ed ordinò un’altra birra.

Entrai anch’io e gli dissi “Datti una calmata, non è possibile fare tutte le sere questo discorso, lo capisci che non c’è una soluzione?” Lui mi guardava con un occhio semichiuso e continuava “Noi potevamo fare altro, dovevamo fare altro nella vita. Io non voglio essere Fantozzi…ecco sì! Io non voglio fare la vita di un moderno Fantozzi! Il barista ci guardava attonito e sussurrò “Ma non possono parlare di calcio e donne come tutti gli altri?”

Finimmo la birra e andammo via, il discorso sembrava chiuso lì ma non lo era. Lui guidava, era sbronzo ma dissuaderlo dal farlo sarebbe stato inutile e purtroppo lo sapevo. Direzione kebab, tappa fissa dopo una serata alcoolica. “Dobbiamo cambiare, siamo ancora in tempo” disse.

“Siamo ancora in tempo solo per cambiare il condimento del kebab probabilmente, ma come sai a me piace senza cipolla.” cercai di sdrammatizzare ed evitare il discorso.

“No no, dico sul serio. Molliamo tutto, andiamo via.” Rispose.

“E dove andiamo? Lasciamo un lavoro fisso, così senza senso? Abbiamo delle responsabilità, non siamo più ragazzini, non possiamo tornare indietro…” gli dissi.

Uscite queste parole dalla mia bocca, lo sentii arrivare a folle velocità, il mio magone di tristezza, di consapevolezza, che continuavo anno dopo anno a sperare fosse andato per la sua strada e che invece stava sempre lì, sotterrato solo in parte dalla vita di tutti i giorni, che ogni tanto tornava a fare capolino e a ricordarmi che in fondo il mio amico non aveva tutti i torti.

Ma no, non volevo accettarlo, non potevo pensare di aver sbagliato tutto. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, poi ripresi a parlare: “E poi dimmi una cosa, ma chi sono i veri alternativi, quelli che secondo te non si sono fatti fregare dal sistema? Quelli che a quarant’anni fanno una vita come tutti gli altri, ma si sentono di sinistra perché portano le scarpe da trekking? Quelli che non lavorano perché non si vogliono far sfruttare ma si fanno mantenere dai genitori? Quelli che vanno ancora ai rave?”

“Non lo so, io penso a me” rispose.

Divenimmo entrambi pensierosi. “Dai, andiamo a casa, è tardi” gli dissi, e ci salutammo.

Mentre guidavo verso casa riflettevo. Ma perché devo sentirmi in colpa, cosa ho fatto di male? Ma se noi abbiamo sbagliato tutto, chi sono i veri alternativi? Chi sono, perché io non li conosco, tutti ci si sentono, fanno piccole cose per sentirsi diversi, per giustificare sé stessi, ma alla fine della fiera sono tutti omologati. Pensavo intensamente, ma il vortice di pensieri senza soluzione venne interrotto da un posto di blocco.

Solite cose, patente e libretto, tutto bene. Menomale, niente palloncino.

Dissi a me stesso: “Vedi? Qualche anno fa avresti reagito male, li avresti odiati solo perché erano poliziotti, ora sei stato calmo e gentile, rispettoso del loro lavoro, sei decisamente cambiato”

Arrivai a casa e mi misi a letto, avevo solo voglia di dormire.

Il sonno arrivò subito, viste le svariate birre sul groppone. Mi svegliai dopo poche ore, era quasi giorno. Mal di testa, bocca secca e il vago ricordo di un sogno. Mi ricordavo che col mio amico salivamo verso una montagna, verso la vetta, ed intorno solo nebbia. Arrivati ad uno stretto sentiero i nostri sguardi si incrociarono e senza dire niente ci rendemmo conto che non saremmo mai stati in grado di arrivare in cima. In quel momento una figura confusa, incappucciata, forse un frate ci passò vicino e con voce solenne disse: “E’ alternativo che vi poniate il problema” e scomparve nel bosco.

Mi alzai per fare il caffè e pensai che tutte le contraddizioni della vita si sarebbero ripresentate prima o poi, probabilmente molto presto, ma che per ora mi sarei sentito in pace con me stesso, mi sarei aggrappato a quella frase… per vivere.