Racconto di Ilaria Cattani

(Seconda pubblicazione – 24 aprile 2020)

 

In piena notte, alle ore 02.23, improvvisamente Pietro sentì suonare il telefono.

Lo squillo rimbombava ritmico mentre passavano intorpiditi i secondi necessari per passare dalla fase Rem allo stato di coscienza, e rendersi conto che non era un sogno. Con un soprassalto si alzò dal letto cercando a tastoni l’interruttore della luce e, dimenticandosi di mettere gli occhiali, incespicò scalzo verso il soggiorno andando a urtare il piede contro lo stipite della porta. Istintivamente si coprì la bocca con una mano per trattenere un urlo lancinante ed altisonanti imprecazioni, mentre con l’altra si stringeva fortissimo l’alluce infortunato che sulla punta era diventato rosso porpora, come una voglia della pelle.

“Che mazzataaaa!! Se è qualcuno che ha sbagliato numero, lo uccido!” esclamò imbufalito. Arrancando in bilico su un piede solo, arrivò al telefono.

“Pronto?”.

“Buonasera, mi scuso per l’ora ma deve venire immediatamente in ospedale, abbiamo bisogno di Lei. E’ comunque tutto sotto controllo, non si preoccupi… l’aspettiamo”, disse una voce femminile all’altro capo.

Una certa agitazione cominciò a galoppare nei suoi nervi e ad impadronirsi delle sue reazioni che fino a quel momento erano state sempre razionali e lucide, e con stupore si rese conto di non aver neppure ringraziato e salutato dato che aveva interrotto bruscamente la chiamata. Si dimenticò all’istante del dolore al piede e, senza indugiare, si lavò velocemente il viso e si vestì. Un caffè fumante sarebbe stato provvidenziale ma non voleva sprecare tempo, quindi si chiuse la porta di casa alle spalle e scese le scale per andare a prendere l’auto.

Il tragitto fino all’ospedale fu veloce, traffico inesistente, pochissime persone in giro e quel silenzio inusuale che inquieta un po’, ovattato come i suoi pensieri.

Sistemò la macchina nel parcheggio semideserto, si diresse deciso all’entrata dell’ospedale, seguì il percorso giallo segnato sul pavimento e salì al reparto del terzo piano salendo le scale a due gradini alla volta. Aprì ansimante la porta d’accesso mentre i suoi occhi, che manifestavano palesemente la fragilità del suo stato, cercavano vaganti qualcuno o qualcosa. Ma il corridoio candido sembrava immobile come in un sogno e lui un sognatore sperduto.

Finalmente si affacciò da una stanza un’infermiera che lo riconobbe e con gentilezza lo aiutò nella vestizione del camice da indossare. Pietro osservò la sua faccia stanca e pensò al lavoro snervante e straordinario che anche oggi aveva sicuramente svolto nell’accudire e nel prendersi cura degli altri. Prendersi cura… che concetto importante, pensò, tradotto in parole e gesti che comprendi ed apprezzi veramente solo quando tocchi con mano il faticoso impegno di farli o di averne bisogno.

Uscì quindi da una porta “va e vieni” un’altra infermiera più anziana, aveva gli occhi arrossati e teneva un fagotto in braccio; si incrociarono gli sguardi con complicità, lei gli fece l’occhiolino e glielo porse.

“Sono papà, sono papà, sono…” si ripeteva Pietro mentre, inebetito dall’emozione, prendeva goffamente in braccio la sua bambina appena nata. Ci sono emozioni che non si possono descrivere, non ci sono parole al mondo che reggano il confronto con quello che si prova. Avrebbe potuto succedere la fine del mondo in quell’attimo ma lui non se ne sarebbe accorto. Lui era lì per lei e gli sembrava che intorno a loro non esistesse nulla, invisibilmente volatilizzato.

Lui aveva avuto il privilegio di essere stato il primo a salutarla e stringerla a sé, provando quell’emozionante groppo in gola che se lo sarebbe ricordato per tutta la vita. La mamma purtroppo non poteva, aveva appena subito un “cesareo” e quindi ora era ancora incosciente.

“Come la chiamiamo questa splendida piccolina?” chiese l’infermiera. “Noemi” rispose dolcemente Pietro.

Nella lingua ebraica significa “mia gioia”.

Nella lingua del cuore… uguale, pensò.

Come è strano vedere stravolgere la propria immagine in una frazione di secondo. Da serio uomo maturo, distinto avvocato tutto d’un pezzo, rigoroso e poco incline alle tenerezze, dall’istinto pragmatico e scevro da frivoli sentimentalismi, strategicamente isolato dagli altri, ecco ritrovarsi

ora, in un istante senza tempo, catapultato in una dimensione di vulnerabilità emotiva che lo vide sciogliersi come non gli era mai successo. Che sensazione meravigliosa e straordinaria stava vivendo e, scavalcando il cervello che non aveva avuto ancora il tempo di elaborarla, con illuminante rivelazione capì che era con questa sensazione d’amore che avrebbe voluto vivere d’ora in poi.

Pietro aveva ancora pochi minuti per stare con sua figlia perché le dovevano fare tutti gli accertamenti e le pulizie necessarie ma chiese di poterla guardare ancora altri istanti perché quel momento si fissasse indelebile dentro di lui, come le radici tenaci di un’edera che si aggrappa al suo muro.

Mentre la osservava attentamente, con meraviglia si accorse di una piccola voglia rossa nel piedino della piccola, proprio sull’alluce, e un pensiero fulmineo lo riportò a un’ora indietro quando si era alzato dal letto al suono del telefono. Lo interpretò come un segno speciale, comprese istintivamente il senso del legame che li univa, e si commosse mentre le accarezzava quel ditino minuscolo. Sarebbe stato il loro segreto.

In quel momento si avvicinò un ragazzo molto giovane che attendeva in sala d’aspetto perché in sala parto non aveva avuto il coraggio di entrare e guardò la neonata facendo le congratulazioni a Pietro, ma il suo sguardo per un secondo tradì una smorfia d’ imbarazzo.

Il ragazzo tornò a sedersi ma poco dopo si voltò e gli disse, senza cura “Mi dispiace”. “Mi dispiace?? E di cosa? Non capisco…” rispose Pietro.

“Guardi… non voglio essere inopportuno ma non si è accorto che è down?”, disse in modo indifendibile il ragazzo, mentre l’infermiera prontamente lo allontanava prendendolo per un braccio. Gli sguardi rimbalzavano tra loro come se si stessero scottando.

“No, non me ne sono proprio accorto!” gli rispose d’istinto con la sincerità nel cuore. “Ho visto solo che la amo. No, non me ne sono accorto.”

L’infermiera ruppe quel silenzio assordante avvisando che doveva portare la piccola in ambulatorio e si avvicinò, con gli occhi scivolosi e le mani delicate, a prendere la bambina. Pietro salutò felice sua figlia e si sistemò sulla sedia della sala d’aspetto, avrebbe aspettato lì il resto della notte finché avrebbe avuto il permesso di vedere sua moglie.

“La mia gioia aveva voglia di noi. Ce ne prenderemo cura”, pensò sereno. Appoggiò la testa al muro e si assopì.