Racconto di Melania Ferrari

(Quarta pubblicazione)

 

Leyla, sì Leyla, perché in un piano dritto dritto su cui nascere, vivere e continuare a vivere, in cui la nebbia ama tanto accoccolarsi tra le case e le strade, per avere dell’esotico o ci si affida all’ananas sulla pizza o al nome. I genitori di Leyla avevano optato per la seconda, forse per darle anche una possibilità di aprire lo sguardo o per un bisogno inconsapevole di fuga.

Comunque lei, quella domenica mattina di gennaio, si era infilata in macchina con la testa stranamente leggera grazie a un elenco dei doveri abbastanza scarno per quel giorno: saluto alla mamma e perlustrazione al supermercato.

Era uscita dal garage con l’animo piatto pensando che fosse anche un bene visti i cavalloni della vita su cui si ritrovava spesso, senza averlo neppure chiesto. Ma ormai aveva acquisito qualche competenza da surfista dell’esistenza. Non quella però che la situazione che i pochi metri percorsi fuori dal garage le stavano per richiedere.

Davanti al cancello che con lenta diligenza si apriva, sulla macchina che internamente stava reagendo alla rigida temperatura esterna, tranquilla, Leyla aveva girato in volto verso sinistra, come se sulla tabella dei doveri fosse comparsa una nuova voce.

Scorse nel cortile, a pochi metri dalla recinzione che separava lo spazio privato dalla strada pubblica insolitamente ferma, un sacchetto. Nella sua testa si accese subito una preghiera per bloccare il suo sesto senso, partito in automatico e così allenato dalle linee della sua vita. Ma lui non volle saperne suggerendole che non si trattava del solito foglio con le promozioni di profumi e detersivi da cui ritagliare i coupon.

Scese quindi dall’auto e raccolse quel sacchetto imperlato dalla nebbia caduta, quasi stanca di esserci sempre, che recava IKEA stampato su un griglio che faceva pendant con il cielo imbronciato. Salì frettolosamente in macchina come obbediente a una voce che le diceva di proteggersi e aprì quell’inaspettato “regalo”. Vi trovò due fogli bianchi piegati pronti a sorprendere con il loro contenuto, un accendino e un pacchetto di caramelle di quelli che si trovano prima di chiudere veramente i conti alla cassa.

D’istinto estrasse i fogli perché la curiosità era riuscita per un momento a mettere all’angolo la paura che nel frattempo stava guadagnando spazio nel suo corpo, dopo essersi presa la sua mente.

Il primo svelò due semplici, ma inquietanti parole tracciate con lenta mano che aveva impugnato un pennarello viola con punta fine: GAME OVER. Fine del gioco? Fuori dal gioco? Ma stava forse Leyla partecipando a un gioco? Lei sicuramente non lo pensava e soprattutto non lo voleva. Certo tra le tante metafore con cui si può vestire la vita c’era anche quella del gioco, ma niente nell’ultimo anno aveva avuto minimamente il sapore del divertimento e del ludico per lei. Anzi.

Affamata sempre più dalla voglia e dal bisogno di sapere, dopo quel poco gradito assaggio, aprì il secondo foglio che recitava letteralmente così, grazie a una stampa che estrometteva la mano umana dalla scrittura delle parole che avrebbe letto, ma non una mente e questo cominciava a terrorizzarla:

 

Ingiustizie, cattiverie e voluti tradimenti

Secondo il mio sincero e onesto sentir

Sono violazioni, da punir, agli umani comandanti.

Il mio punir qui si conclude.

S’apre un anno nuovo ed è tempo di voler storie nuove.

Le vecchie, ora, vanno solo raccontate. E scritte. San di polvere. Ripugnante melodia.

Il tutto concluso in modo “aulico”:

Principessa del pisello, primavera, mi congedo.

 

Il cervello umano è strano perché Leyla, prima di offrirsi completamente al panico, iniziò ad analizzare stilisticamente il testo pensando: “Comandanti non fa rima con tradimenti nella prima terzina. Lo stupido che ha scritto forse pensava a una consonanza o non è riuscito a scrivere comandamenti che rima con tradimenti? La punteggiatura è posizionata correttamente. Bravo! Bene anche la scelta lessicale”. Finite queste considerazioni, si immolò però sull’altare della paura. Le lacrime cominciarono a scenderle, vari vortici di pensieri si formarono nel suo animo e comunque mise in moto nuovamente l’auto per allontanarsi da quel posto sentendosi quasi violata, sporcata in quello che lei considerava quasi uno spazio sacro: casa sua.

Nel guidare assaggiò disperazione, disillusione verso l’intero genere umano, ansia che puzzava di paranoia per il sospetto di avere qualcuno che la seguisse. Dentro di lei sembrava fosse proiettato un colossal hollywoodiano alla Via col vento.

Dopo cinque minuti arrivò alla meta che era la prima prevista per quella mattinata. Scesa quasi furtivamente dalla macchina perché si sentiva ormai degli occhi addosso, varcò la soglia del cimitero: doveva comunque andare a salutare sua madre che riposava lì da quasi 10 mesi. Per Leyla il pellegrinaggio era quotidiano perché aveva bisogno dell’illusione della presenza di fronte a un’assenza palese, ma non emotivamente accettabile.

S’affrettò per raggiungere il luogo dove sua madre poteva guardarla ieraticamente dal tondo della sua foto e le confessò tutto condendolo di lacrime e singhiozzi. Nel percepire di essere sola in quella parte del cimitero, si permise anche di condividere una ricca lamentela sulla natura umana così microscopica, così assorbita da chissà quale idiozia, da chissà quale ignoranza, da chissà quale incapacità di arginare i propri fallimenti, segnata però dalla sicura competenza nel gettare i propri rifiuti sugli altri. Proseguì per dieci densi muniti poi sentì prepotente quella sensazione di essere possibile vittima di un invisibile cecchino e tornò celermente in macchina. Aveva bisogno di protezione, di un guscio per tutelare il suo essere inerme.

E di un modo per non subire quella violazione.

Cancellò quindi tutte le altre “leggere” destinazioni di quella mattinata e, allenata dalla bizzarria che l’umanità le aveva permesso di conoscere nel corso degli anni, pensò all’elenco delle persone da chiamare: doveva creare un gruppo di re-azione. Non era più tempo di subire, non era neppure tempo di vendetta: era tempo di eleganza.

E così si mosse.

(aggiornamento in tempo reale, a gennaio 2024)

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