Racconto di Giovanni Filomena

(Prima pubblicazione – 22 febbraio 2019)

 

Quella sera d’autunno, seduto in macchina con la partita alla radio e la pioggia battente, mi pareva uno di quei soliti giorni che seduto delle mezz’ore – a volte ore – attendevo l’arrivo di mia moglie dal lavoro o dall’uscita con le amiche.

Aspettare così a lungo non era mai stato un caso: arrivare prima mi permetteva di gestire meglio ogni imprevisto.

Ma quella sera non era la stessa sera di sempre. Un dettaglio la cambiava: una uno bianca. Alla radio davano il Bologna, ma io di Bologna tifo solo la Fortitudo. Ma al fascino del derby non resisto, tanto più che la radiocronaca era così appassionata e avvincente che non potevo proprio esimermi dal seguirla.

Pochi istanti dopo, venni attirato da una frenata lunga: era una Uno bianca che si era appena fermata dall’altro lato della strada. Scesero 4 uomini che a passo spedito si diressero nello shop della stazione di servizio dove avevano fermato l’auto.

Con lo sguardo seguii i 4 entrare nello shop e un uomo restare al volante della uno. Poi mi guardai un po’ attorno per assicurami che tutto procedesse come sempre, ma la pioggia e la poco luminosita’ dello stradone non permettevano di scorgere gran chè; così riaccesi la radio e ritornai a seguire la partita.

Appena ritornato col l’attenzione sulla radiocronaca, dallo shop del benzinaio sento esplodere un paio di colpi di pistola. D’istinto mi sdraio sul sedile a fianco e attendo che la uno riparta.

I minuti passano concitati ma non sento nulla, nessuna voce, nessun motore pronto a partire. Così mi rialzo e do’ un’occhiata dal finestrino. La uno bianca è ancora lì.

“Ma cosa aspettano a scappare via?”

Immediatamente dopo sento sparare e il rantolo di un uomo: hanno rapinato e ucciso il benzinaio.

Sta volta non ho avuto tempo né l’istinto di nascondermi nell’auto come in precedenza. E impietrito fisso il finestrino davanti a me, che ricoperto da pioggia non mi permette di vedere nulla di chiaro, nitido. Ho solo una serie di pensieri che mi si accavallano: “Mi ha visto!

L’uomo al volante mi ha visto! Forse l’uomo al volante non mi ha potuto vedere! Io però ho visto loro! Cioè no, li ho sentiti arrivare, sparare, ammazzare! Cosa devo fare ora? Tenermelo per me o aiutare le autorità? Si, devo aiutare a fare giustizia, specialmente ora che non riesco più ad abbassarmi, a far finta di nulla”.

E pure il tempo sembrava essere dalla mia, perché la uno era ancora lì e perché chi stava al volante l’aveva lasciata incustodita.

Così scivolai dal lato passeggeri dell’auto, e avvicinatomi alla uno, presi nota della targa.

“Ecco fatto, ce li ho in pugno” pensai una volta rientrato in macchina. E pensando che da lì a poco avrei riabbracciato mia moglie, non stavo più nella pelle immaginando cosa le avrei raccontato.

Ma fu solo un attimo. Poi sentii solo una mano aprire la portiera, una voce intimarmi di scendere ed inginocchiarmi, uno sparo nella fronte e la pioggia battere incessante sul mio corpo inerme.