Racconto di Michele Pingitore

(seconda pubblicazione – 24 luglio 2020)

 

 

Fino alla fine non riuscì a comprendere perché quello che accade, accade proprio a lui. Un mistero inspiegabile e un destino beffardo il suo. Perché il fato, il destino o come lo si vuole chiamare, si era impuntato proprio verso di lui? Cosa aveva fatto di male per meritarsi una cosa simile? Peccati di gioventù? Peccati e colpe recondite di cui lui stesso ignorava l’esistenza? Era un semplice impiegato e tra due anni sarebbe andato in pensione. Scapolo, non aveva né parenti e né amici da frequentare. Tutto il suo vivere era: casa ufficio, ufficio casa. Aveva speso tutta la sua esistenza nella burocrazia di cui era un perfetto e responsabile addetto! Esemplare per tutte le mansioni svolte negli anni. Modello per le future generazioni con il suo impegno e costanza verso il proprio lavoro. Invece di essere premiato per tutto ciò, qualcuno aveva invece voluto burlarsi di lui. Conferendogli quel colpo basso e facendolo piombare nella disperazione. Ad ogni modo, come la si vuole interpretare questa storia, bisogna tenere presente i fatti. E i fatti parlano chiaro. Burla o rivelazione in questi termini sono solo secondari.

Tutto ebbe inizio nel cuore di una notte d’inverno, quando all’improvviso suonò il telefono in casa sua. Quei squilli squarciarono il silenzio immobile della notte, destandolo nel buio della sua stanza nel letto dove dormiva, in quella casa in cui viveva da solo da sempre. Prima di alzarsi per andare a rispondere, assonnato perché si era appena svegliato di soprassalto dal quel suono cosi possente, pensò che si trattasse di uno sbaglio. Chi poteva chiamarlo a quell’ora insolita? Lui riceveva già raramente telefonate durante il giorno quando rientrava dal lavoro. Chi mai l’avrebbe potuto chiamarlo a quell’ora insolita? Il telefono di notte prima di allora non aveva mai suonato prima. Non era mai successo. Poiché continuava a squillare, ed ogni squillo sembrava diventare più forte di quello precedente, decise di alzarsi per andare a rispondere. Altrimenti avrebbe svegliato tutto il condominio in cui abitava.

Una volta alzata la cornetta, per mettere fine a quel bombardamento di squilli nel silenzio della notte, pronunciò una sola parola con la bocca ancora quasi addormentata: Pronto!

In un primo momento nessuno rispose. Tuttavia, con la cornetta appoggiata all’orecchio, poté udire in sottofondo delle voci incomprensibili e misteriose insieme a dei rumori molto sottili e sinistri. Ebbe l’impressione, lì su due piedi, come se giungessero da un qualche posto remoto. Lontano anni luce dalla terra. Chissà perché, ma penso proprio a queste cose in quei frangenti. E per come poi andarono i fatti, quella sua prima impressione, fu sul serio lungimirante.

Prima di mettere giù la cornetta, poiché nessuno rispondeva, volle di nuovo dire: Pronto!

Un ultimo tentativo. Pochi secondi di silenzio, quando ormai stava per mettere giù la cornetta, gli giunse una voce quasi baritonale, incisiva e solenne: – Sono Dio!

E così, dopo quella brevissima e lapidaria frase, la telefonata terminò.

Ritornò a letto. Perplesso pensava chi potesse avergli fatto uno scherzo di cattivo gusto del genere. Chi? Non aveva nemici lui! Era un tipo diplomatico e non dava confidenza a nessuno. Pensò uno scherzo di qualche squilibrato che soffriva d’insonnia o qualche ragazzaccio poco raccomandabile.

E di questo si persuase nei giorni a venire. Infatti, durante le due notti successive il telefono non squillò. La terza notte invece, ritornò a squillare, più o meno allo stesso orario di quella prima telefonata. Destandosi dal letto ebbe un sussulto, si era quasi dimenticato di quello che gli era accaduto pochi giorni prima. Attraversò il corridoio con il cuore in gola, per ogni suo passo felpato che lo faceva avvicinare a quell’apparecchio che sembrava urlare invece di squillare, nel silenzio della notte.

– Pronto!

– Sono Dio!

E di nuovo, come la volta precedente, la telefonata si interruppe bruscamente.

Ritornò a letto ma non chiuse più occhio, per quello che restava della notte. Rimuginò ancora su chi poteva fargli uno scherzo simile. Se la prima volta era stata una bravata, questa seconda telefonata lasciava intendere una sola cosa: dietro c’era qualcuno e probabilmente voleva tormentarlo. E su questo non aveva tutti i torti. Se la cosa proseguiva cosa avrebbe dovuto fare? Staccare di notte il telefono? Avvertire la polizia? Parlarne a qualche collega di lavoro?

Dopo quindici giorni, quelle telefonate continuavano a susseguirsi, ormai quasi ogni notte. Sempre allo stesso orario nel cuore della notte, tant’è che ormai si era abituato ad addormentarsi dopo aver risposto. Prima non ci riusciva, perché era troppo ansioso nell’aspettare da un momento o l’altro quella chiamata.

– Pronto!

– Sono Dio!

Più o meno, dopo venti giorni, un pomeriggio chiamò il centralino. Un’operatrice molto gentile gli rispose.

– Buongiorno! Volevo sapere, avete per caso il numero telefonico di Dio?

– Di Dio? – Rispose senza scomporsi troppo. – Un attimo, resti in linea, devo controllare.

Dopo qualche istante gli disse: – Mi dispiace signore! Non è nell’elenco dei nostri contatti. Non abbiamo il suo numero! Forse non ha il telefono.

Vista la situazione creatasi stava pensando di chiamarlo lui. Sì, voleva chiamarlo di persona. Per sapere cosa volesse da lui. Voleva sapere perché ogni notte lo chiamava, e se era realmente lui a chiamarlo o qualcuno che si burlava di lui.

Nulla da fare. Non sapeva il suo numero e non poteva chiamarlo. Dove avrebbe potuto trovare il suo numero? Dove?

Allora, iniziarono a dimorare nella sua mente i pensieri e le ipotesi più stravaganti, riguardo quella vicenda. Magari giusto per qualche minuto o secondo. S’interrogava se Dio lo stava chiamando al telefono per confidargli di essere lui il nuovo messia. Lui un semplice impiegato il nuovo messia? E cosa avrebbe predicato? Lavoro, ufficio e casa, invece di pace amore e solidarietà? Oppure lo chiamava per nominarlo il tredicesimo apostolo! Se lo chiamava ci doveva pur essere un motivo.

Passarono diversi mesi e le telefonate continuarono, più o meno, in modo costante. Ogni tanto qualche notte, chissà per quale motivo, non chiamava nessuno. Se era un sollievo, era solo temporaneo. Inutile illudersi, perché l’indomani notte la telefonata giungeva immancabilmente.

E per settimane e mesi continuò così in quel modo. Aveva provato anche a staccare il telefono qualche notte. Ma fu del tutto inutile, perché ormai era entrato in un circolo vizioso in cui non poteva fare a meno di quegli squilli notturni. Facevano ormai parte della sua esistenza, volente o nolente. Quelle due o tre notti in cui l’aveva staccato, al contrario di quello che pensava, non riuscì a dormire neanche un istante. La terza e ultima notte in cui lo fece, a un certo punto in preda ad un’ansia quasi disperata, si alzò per riattaccare il telefono. Sperava così di potersi addormentare, come ormai faceva di solito, dopo aver risposto alla chiamata. Ma non ci fu. Pensò, forse era già stata fatta quando l’apparecchio era staccato. Quella notte, in preda all’insonnia ebbe quasi paura. Si aspettava da un momento o l’altro che il telefono squillasse. Invece di essere contento e sollevato, perché forse non sarebbero più arrivate, si preoccupò di quello strano silenzio notturno. Ma tutte quelle inutili preoccupazioni, svanirono la notte successiva, quando il telefono squillò di nuovo nel cuore della notte. Al primo squillo, si fiondò di corsa lungo il corridoio per andare a rispondere. Percorrendo velocemente quel tragitto, in cuor suo, era felice di sentire risuonare il telefono.

– Pronto!

– Sono Dio!

Avrebbe voluto dirgli, se la telefonata come al solito non si fosse interrotta bruscamente: – Grazie signor Dio, mi stavo preoccupando, poiché in quest’ultimi giorni non mi avevate più chiamato.

Oppure avrebbe potuto dirgli: – Scusi signor Dio, ma è sicuro che non sta sbagliando numero! Io non ho fatto niente di male. E poi mi può spiegare, se lei è veramente Dio, perché mi chiama continuamente nel cuore della notte!

Ma non poté dirgli niente di tutto ciò. I giorni passavano e i suoi nervi stavano cedendo. Non sapeva cosa fare e come poter uscire da quella situazione, ormai fuori controllo. Nel frattempo però, si era quasi convinto che a chiamarlo quasi ogni notte fosse sul serio Dio. Non prendeva più in considerazione l’ipotesi di qualche scherzo malsano da parte di qualcuno. Insomma, era convinto che Dio lo chiamasse sul serio. Ma per dirgli cosa? E poi perché proprio a lui? Questo non riusciva a spiegarselo o a trovare una ragione valida.

Anche per questo motivo decise di rivolgersi al prete della sua chiesa. Una domenica mattina, dopo aver assistito alla messa, entrò nella sacrestia e chiese udienza in forma privata. Il sacerdote ci mise un po’ a capire chi fosse, poiché non era un abituale frequentatore di quella parrocchia. Ma visto lo stato di abbattimento palese del suo interlocutore, volle dedicargli qualche minuto.

– Padre lei ha rapporto con Dio?

– Certo! Attraverso la preghiera e la meditazione comunico con lui.

–  Quindi, comunica con lui?

– Sì, come tutti i credenti!

– Allora padre, può intercedere per me verso di lui?

– Questo lo può fare anche lei, pregando o meditando come tutti i credenti!

– Sì, ma nel mio caso vorrei che fosse lei a farlo. Se fosse possibile. Intercedere per conto mio!

– Riguardo cosa?

– Ecco, deve dire a Dio di non chiamarmi più al telefono! Oppure di dirmi cosa vuole.

– Cosa?

Rimase stupito e sbalordito da quest’ultime parole. Ma anche molto preoccupato, poiché iniziò ad osservarlo in modo diverso.

– Lei mi sta dicendo che il nostro signore la chiama al telefono?

– Sì! Proprio così! Quasi ogni notte!

– Ma cosa dice! Lei sta bestemmiando! Lei sta nominando invano il nome di Dio! Bestemmiatore! Deve essere un pazzo! Vada Via!

Scappò subito via dalla sacrestia, inseguito dalle urla del prete furibondo, fino a quasi al sagrato esterno: – Via! Via! Vada via! Pazzo bestemmiatore! Pazzo!

Quella notte il telefono squillò di nuovo e così la notte successiva e quella ancora.

Poi una notte, dopo mesi e mesi, andando a rispondere si aspettava la solita procedura:

– Pronto!

– Sono Dio!

Ma invece questa volta aggiunse:

– Ci vediamo domani!

Stava per rispondere:

-Dove?

Ma la telefonata terminò come al solito.

Inutile dire che quelle tre nuove parole lo scombussolarono per sempre. Non si diede pace, non dormì più quella notte, poiché era stata pronunciata una nuova frase. E una valenza o un significato dovevano pur averlo, pensava. Cosa?

Il giorno dopo, in ufficio, ripensò per tutto il tempo a quelle nuove parole: “Ci vediamo domani!” Cosa intendeva dire? Si sarebbero visti dove? In un bar a prendersi un caffè? Al cinema? In piazza? Al supermercato? Magari era un semplice appuntamento con Dio in qualche posto, pensò in modo superficiale come voler scrollarsi di dosso tutta la tensione accumulata negli ultimi mesi. Così avrebbe potuto raccontarlo a qualche collega d’ufficio: – Sai ieri ho preso un caffè al bar con Dio!

– Con chi?

– Con Dio!

– Sul serio?

– Sì!

– A sì? E Dio come l’ha bevuto il caffè con panna o senza? Non farmi ridere!

Il giorno successivo non andò in ufficio. Il suo direttore non vedendolo arrivare si preoccupò, da quando lo conosceva non era mai successo una cosa del genere. Telefonò a casa sua ma il telefono risultava staccato. E la cosa lo insospettì ancora di più. Conoscendo la sua diligenza e costanza verso il lavoro, iniziò a pensare che gli fosse accaduto qualcosa di grave. Attraverso la sua segretaria non impiegò molto tempo a rintracciare il portiere dello stabile, dove abitava. I suoi sospetti non erano infondati, anche il portiere stranamente quella mattina non l’aveva visto recarsi al lavoro. Appena sarebbe andato sopra nel suo appartamento gli avrebbe fatto sapere qualcosa.

Quella telefonata al direttore non tardò a giungere. Il portiere aveva suonato e bussato più volte alla porta, ma non c’era stata nessuna risposta. Concordarono che avrebbe riprovato più tardi. Il portiere salì e scese sopra il pianerottolo fino al primo pomeriggio, e ogni volta nessuno rispondeva. Sembrava la casa dei fantasmi tanto era silenziosa. Verso sera giunsero i vigili del fuoco e un’ambulanza. Sfondarono la porta. Trovarono il suo corpo senza vita, nel corridoio accasciato sul pavimento. Teneva ancora in una mano la cornetta del telefono. Come verificarono in seguito, era morto per un malore improvviso, mentre stava parlando o rispondendo al telefono la notte precedente. Il personale addetto dovette faticare a staccare la sua mano dalla cornetta, al punto che il rigor mortis l’aveva quasi pietrificata. Dovettero amputargli un paio di dita. La stretta era così incisiva e pressante, come se negli ultimi istanti di vita si fosse attaccato con una forza veemente, chissà per quale motivo sconosciuto a quella insospettabile cornetta. Ma con chi stava parlando? Con chi comunicava nel cuore della notte? Rintracciarlo sarebbe stato molto utile per comprendere la dinamica della sua morte. Passarono diversi giorni e alla fine quel numero venne alla luce. Scoprirono anche che da quel numero erano state effettuate verso di lui, negli ultimi otto mesi, svariate chiamate nel cuore della notte. Purtroppo però era un numero cablato. Un numero truccato attraverso qualche collegamento abusivo. Adoperato da qualcuno per non farsi rintracciare.

Proprio così.

Comunque, per chi volesse saperlo, ma ormai non ha più nessuna importanza per come si è conclusa questa storia, il numero era: 000.666.000.