Racconto di Elda Cannarsa

(Prima pubblicazione – 28 dicembre 2018)

 

Ritmico, sibilante, penetrante, un suono mi sveglia nella notte.

Sembra la sveglia ma il mio orologio biologico mi dice che non é ancora ora di alzarsi, quindi no, non può essere. Non che i miei bio-orologi, come del resto i miei  campanellini d’allarme, siano infallibili. Anzi. Peró sarei pronta a giurare che non sono neanche le 6.00. Il suono si interrompe, poi riprende. Cavolo sì, è proprio la mia sveglia invece.

Mi tolgo un tappo e guardo il quadrante luminoso: le 4.40. E allora perché quest’imbecille suona?  Al mio fianco un brusco movimento della dolce metà mi scuote dalla riflessione notturna. Meglio controllare che abbia regolato l’ora giusta. Sì, è giusta. E allora? Allora niente, un errore della sveglia. La ripongo sul comodino, mi rimetto il tappo e mi rimetto fiduciosa sotto le coperte.

Ho i tappi sì, gialli e grassocci cuscinetti che mi spuntano dalle orecchie. All’ora di andare a dormire, mi aggiro per casa come un elfo dall’aria ebete. Metto i tappi perché la dolce metà russa. Il che di per sé non è una novità: il 50% delle coppie soffre di nevrosi perché uno dei due -generalmente lui- russa sonoramente. Ma il mio (anzi il suo) é un caso da manuale. È un russare poderoso, vulcanico, di quelli che trafiggono timpani e cervello a ritmo continuato.

Negli anni le ho provate tutte: ho dormito male sul divano; malissimo in poltrone-letto su materassini cm 10, svegliandomi con un mal di schiena da fisioterapia d’urgenza. Ho tracannato tisane, setacciato scaffali di innumerevoli farmacie alla ricerca dell’elisir di lungo sonno e ho trascorso notti insonni schioccando baci all’aria e al buio, girandomi e rigirandomi senza sosta e senza speranza.

Poi, un giorno, in preda ad una lucida isteria, ho restituito il problema al suo legittimo proprietario e sono passata all’attacco. Ho comprato i cerotti per l’ossigenazione da applicare sul naso durante la notte. Le istruzioni promettevano meraviglie: magica apertura dei canali di respirazione, massima riduzione dello spalancamento fauci (causa, pare, dello spiacevole Notturno) e sonni strepitosamente silenti. Avrei dormito sognando di dormire. Accade tuttavia che molte teorie soccombano all’applicazione. Il rimedio del secolo è durato esattamente 25 minuti. Allo scoccare dell’ultimo secondo del venticinquesimo minuto, la dolce, alquanto seccata metà, al grido di macchesiamopazzi, mi sento iperossigenato, questi cerotti se li mettono i calciatori quando corrono, io non devo correre , devo dormire, ha strappato il cerotto e le mie ultime speranze di fare bei sogni.

Sono sul punto di riaddormentarmi quando mi sembra di sentire di nuovo il suono ma i tappi alterano l’udito. Me ne tolgo uno. <<Ma che fai?>> tuona il vulcano al mio fianco, <<perché suona? A che ora l’hai messa? Ma hai ricontrollato? Ma spegnila no?>> Ecco, meno male che c’è Lui, sempre disponibile. Nella buona e nella cattiva sorte.

Senza tappo il suono mi arriva chiaro e distinto. Potrei spegnere la sveglia e farla finita ma poi, domani, chi mi sveglia alle 6.45? Un lampo di genio mi attraversa la mente inebetita dal sonno: posso spegnere questa sveglietta antiquata e insolente e attivare quella tanto più affidabile del cellulare. Detto fatto, spengo la sveglia, mi alzo e vado in cucina, dove ho lasciato il telefonino. Fuori la tempesta pronosticata imperversa. Domani sarà una giornatina coi fiocchi, e due belle borse sotto gli occhi non me le leva nessuno. Con il fischio minaccioso del vento in sottofondo, accendo il cellulare, seleziono la sveglia, digito 6.45 . Ecco fatto. Problema risolto. Buonanotte.

Ma Morfeo non si presenta all’appello e per ottimizzare il tempo (non voglia mai che mi rilassi) rifletto sul perché il mio campanellino d’allarme sia rimasto impietosamente silente nei momenti del bisogno. Un episodio in particolare mi convince che forse la mia deficienza da allarme è cronica.

All’inizio di questo nostro amore Lui ed io guardavamo insieme la televisione. Guardavamo si fa per dire, perché come regolarmente accade da quel dì lontano, dopo 5 minuti lui ronfa sonoramente e io guardo i programmi con i sottotitoli poiché il russare sovrasta ogni capacità uditiva. Ma allora, giovane di belle speranze, una sera, allo scoccare del ronfo ruggente mi avvicinai delicatamente all’orecchio di Lui e sussurrai: tesoro? Stai giá russando, e sorrisi amabile  in attesa dello scusa, amore ma veramente? non me ne ero accorto. Ti ho disturbata? . E invece mi arrivò un fragoroso macheccavolomisvegliafare, che ci posso fare se russo! Ecchepalle! Il campanellino in quell’occasione ebbe un fremito ma poi si spense. Il traditore.

Sará autosuggestione ma in quel della riflessione sento il suono ovattato di un campanello. Forse è il mio finalmente operativo. Intempestivo ma meglio tardi che mai.

<<Machecavolofailavuoispegnerestámaledettasvegliaono?>> ulula la dolce metà scuotendomi dai pensieri.  Che sveglia? Ma se l’ho spenta!  <<Non é possibile>>  dice (pressocché sempre) Lui  <<non senti che continua a suonare? Lavuoispegnereche devo dormire!?>>

Comunque, non gli posso dare tutti i torti: non é possibile che l’allarme sia ancora attivo. Sono sicura di aver spento la mia sveglia. Ho anche regolato quella del cellulare. Me lo ricordo benissimo. E’anche vero che da quando siamo sposati mi succede spesso di dubitare delle mie convinzioni e dei miei ricordi,  peró a me sembra proprio che tutte queste cose io le abbia fatte veramente. Ricontrollo. La sveglia é spenta ma ci deve essere qualcosa che non va. Resta una sola cosa da fare (l’alternativa è il ricovero psichiatrico). Anche un’ignorante in svegliologia come me sa che la pila é l’anima di un dispositivo. Cosí la tolgo, al buio. Non voglia mai che il sonno dei giusti al mio fianco venga disturbato. E sempre al buio sistemo sul comodino i vari pezzi:  telefonino, sveglia e pila, poi torno a infilarmi sotto le coperte, cum fidis tappis ma zero fiducia ormai in un incontro ravvicinato con Morfeo.

E infatti, poco dopo, il suono riprende. La stanchezza non mi aiuta a ragionare. <<Machecavolooo!! Ma perché non la spegni stá sveglia?>>, lo sbraitare al mio fianco nemmeno. Riecco l’invito a spegnere la sveglia spenta e senza pila. Chissà come mai non gli viene in mente che tutto ciò potrebbe anche non dipendere dalla mia incapacitá di spegnere una sveglia.

<<Ho tolto la pila>> comunico gelida.

<<Come hai tolto la pila?>>  bofonchia << non é possibile. Sei sicura? >>

Ah! Ecco la dubitativa di rito. Una vita scandita dal sei sicura? porterebbe chiunque al manicomio. I dialoghi si svolgono tutti più o meno così:

<<Hai comprato il latte biologico da 1 litro e mezzo?>>

<<no, non c’era >>

<<sei sicura? la settimana scorsa c’era. Io l’ho trovato la settimana scorsa. Ma sei andata al negozio giusto? Avrai sbagliato negozio>>

<<………..>>

<< Hai preso tu i miei occhiali? >>

<<no>>

<<sei sicura? Ma se erano qua. Sei sicura che non li hai presi tu?  Non é possibile, scusa. Qua siamo solo io e te. Io non li ho presi. Quindi…. magari non ti ricordi>>

<<………..>>

<<Ma, e il dentifricio?>>

<<é finito>>

<<sei sicura? L’ho visto tre giorni fa. Chi l’ha finito? Io no, sicuro. L’ho visto. Me lo ricordo benissimo. Non l’avrai buttato senza accorgertene?>>

<<………..>>

E via all’infinito. La comunicazione quotidiana verte sull’accertamento delle mie capacità visive, uditive e motorie. Per il resto, un rapporto di cieca fiducia . Tanto che ora anche io mi domando continuamente se quello che ho visto l’ho visto veramente, quello che ho detto non l’ho solo pensato e  quello che ho sentito non è frutto della mia fantasia. Una specie di nevrosi dubitativa galoppante.

Questa volta però, nonostante una vita vissuta con un inquisitore che manco Torquemada, non ho dubbi. Accendo la luce e gli metto la pila davanti al naso sibilando <<eccola qua la pila. L’ho tolta. LA VEDI ?>>

Poi mi alzo, vado nello studio e soffoco la sveglia sotto un cuscino. Perché, vediamo, sono proprio sicura? E se le pile sono due e io ne ho tolta una sola? E se la pila che ho brandito non è quella della sveglia?  E se nell’accendi-spegni-riaccendi, alla fine  questa maledetta sveglia l’ho riaccesa?  Maledizione. Ci sono ricascata. Dannato Torquemada.

Torno a letto. Spengo la luce, mi rimetto i tappi e penso a come sarebbe bello dormire dieci ore filate senza tappi, vibrazioni sonore e vulcani roboanti. Ma il destino mi è avverso e il diabolico suono ricomincia.

Ma se l’ho uccisa. L’ho soffocata con le mie mani e ora giace senz’anima sulla scrivania dello studio, a tre camere di distanza. Insomma, qui è arrivato il momento di ragionare con lucidità. Anche perchè sono le sei e trenta e buonanotte ai suonatori. Anzi, buongiorno. Riaccendo la luce, mi tolgo entrambi i tappi e mi dispongo all’attesa. Non può essere la sveglia. Deve essere qualche altro stupido congegno elettronico. Magari è uno dei suoi ninnoli superdigitali o dei 50 cellulari ultimo modello di cui non si poteva fare più a meno ma le cui multiple funzioni sono ancora un mistero. Oppure il televisore. O anche il timer del forno programmato per errore…

<<Eorachecavolofai? Ma la vuoi spegnere stà luce? Ma sono le sei..ma io non capisco, guarda… veramente>>

Non capisce. Certo, io notoriamente nel bel mezzo della notte accendo sempre la luce all’improvviso. Così, per divertimento. Un diversivo alla monotonia del sonno. Sono anche famosa per  accendere e spegnere sveglie alle ore più impensate, la strana abitudine di soffocarle periodicamente (le sveglie) e giocare a “ chi ha tolto la pila”. Purtroppo a pagare per queste follie sono i giusti , ma, come si dice, a ognuno la sua croce. A Lui è capitata una tipa labile con l’ iperattività notturna. A me un uomo meraviglioso con la pazienza di Giobbe e la saggezza di Mosè. Un evidente contrasto che fa di me una donna fortunata che proprio non si può lamentare. Neanche la mattina dopo l’ennesima notte insonne, visto che Giobbe-Mosè da anni saluta il nuovo giorno con la storica, improbabilissima frase di mi sento stanchissimo, stanotte non ho dormito proprio . Lui. A volte mi chiedo se non mi prenda clamorosamente per i fondelli.

Luce accesa, orecchie tese, corpo proteso, attendo un segnale che mi illumini. L’operazione di localizzazione richiede la massima concentrazione. Sono pronta. Il mio radar è più all’erta di quelli della NASA. Eccolo che arriva. Si interrompe, riprende. Questa volta sembra più vicino. Proviene da un angolo della camera da letto. Affino il radar. Ci siamo. L’angolo è quello dove si trova il comodino della mia ignara e beatamente addormentata metà. Ritmico, sibilante, penetrante, l’allarme della SUA sveglia superdigitale, impreziosita da stazione meteorologica, termo igrometro, rilevatore umidità e altre amenità, trilla gaia e indisturbata nella notte che è già mattina.