Racconto di Lori Marchesin

(Sesta pubblicazione)

 

 

Quando Vania ricevette la lettera di Piera, non un’e-mail, proprio una lettera, busta rettangolare e foglio, accuratamente piegato in tre, di colore beige, riconobbe subito la scrittura tondeggiante e aggraziata della sua ex amica.
Ex amica da quando Toni aveva rotto la loro relazione e sposato Vania.
Piera non era rimasta a guardare la loro felicità, aveva lasciato Venezia per una lunga permanenza negli Stati Uniti: nessuna notizia in quasi due anni.
Vania cominciò a leggere con curiosità e speranza; forse l’amica aveva superato la rabbia, il rancore e voleva riallacciare la loro amicizia.
Ricordava le loro prime uscite di notte scavalcando le finestre per percorrere le calli deserte e raggiungere il Ponte di Rialto dove, sedute sui gradini fumavano e aspettavano i compagni del Liceo sempre forniti di alcolici. Poi le prime cotte, lo scambio delle esperienze. Non avevano segreti. Entrambe si erano iscritte a Lingue e, dopo la laurea, Piera aveva incontrato Toni e parlava all’amica dei loro progetti per un futuro imminente.

Una forte attrazione aveva cancellato timori, rimorso, sensi di colpa. Era successo e basta.
Toni e Vania avevano cercato di dare spiegazioni a Piera, ma la smorfia di dolore e disgusto e le accuse sputate da labbra livide avevano cancellato tutto il passato.

Credo sia arrivato il momento di incontrarci e di ricucire, per quanto possibile, un’amicizia che ci ha legate per tanti anni. Sono a Venezia; vorrei tu venissi a cena da me. Telefonami per prendere accordi. –
Firma e numero di telefono.
Era un messaggio conciso e freddino, ma pur sempre un riavvicinamento.

Vania sospirò; un sospiro profondo che la fece sentire più leggera. Era quello che aveva sperato a lungo: una riconciliazione. Telefonò immediatamente e presero accordi per il sabato successivo. Sentire la voce musicale di Piera, le sue parole, la sua risata gorgogliante le riportarono la Piera di sempre, la sua amica.

Quella sera Vania indossò tubino e sandali neri. Un abbigliamento semplice ed elegante come i gusti di Piera. La padrona di casa era impeccabile in un lungo vestito verde acqua e bellissima. I lunghi capelli neri le incorniciavano l’ovale perfetto, gli occhi color ambra luminosi e penetranti e le labbra carnose dischiuse in un sorriso che metteva in risalto le fossette sulle guance.
Si abbracciarono. La commozione era intensa come il desiderio di piangere di Vania, pianto di gioia e liberazione dalla cupezza della colpa che non l’aveva mai lasciata.
“Mi spiace che Toni non sia presente. Mi hai detto che è in viaggio.”
“Sì, è a Milano tornerà la settimana prossima. C’è qualcuno nella tua vita, Piera?” Era una domanda naturale tra amiche.
“Più di qualcuno, ” rispose ridendo, “ma niente d’impegnativo. Devo pensare alla mia carriera, poi si vedrà.”

Dopo la cena raffinata e scambio di ricordi divertenti, Piera le disse che voleva mostrarle la sua stanza segreta dove si rifugiava a leggere o scrivere. Era parte della casa ma separata da un pianerottolo e una scala. In passato doveva essere stata una cantina: muri spessi e un’unica finestra sulla laguna.
La prese sottobraccio e scesero i pochi gradini che portavano al – rifugio – di Piera. C’erano tre lampade di Murano, rosse, che diffondevano una luce rosata come gli ultimi sospiri del tramonto. Il
silenzio cullato dallo sciabordio dell’acqua.
“ Bellissima, Piera. Con queste luci e il sottofondo musicale della laguna, sembra una grotta incantata, ideale per lavorare.”
“Di solito la stanza è più fresca ma quest’ondata di caldo africano s’insinua ovunque. È anche un luogo di meditazione per me… Che sbadata! Ho dimenticato di portare qualcosa da bere. Torno subito, Vania, tu intanto guardati intorno, goditi l’atmosfera.”

Vania, nell’attesa, guardò lo scaffale pieno di libri, si affacciò alla finestra, ma la puntura di una zanzara la fece desistere. Tornò ai libri e vide un album di fotografie. Cominciò a sfogliarlo e già dalle prime pagine la colse un malessere, un senso di nausea: tutte le fotografie risalivano a due, tre anni prima, immagini di Piera e Toni, Toni e Piera in luoghi diversi, ma sempre in atteggiamenti amorosi. Si rese conto che in qualche foto avrebbe dovuto esserci anche lei, ma quelle foto erano state tagliate, lei, Vania, era stata eliminata. Ritrasse le dita e rimise l’album sullo scaffale chiedendosi quale fosse il vero intento dell’invito e della visita a quella stanza.
Passarono diversi minuti, Piera non tornava. Vania si sedette in poltrona ma le zanzare non le davano tregua: il viso, il collo, le braccia. Le schiacciava e tracce di sangue rimanevano sulle dita, sulle braccia.
Cominciò a respirare con fatica. Doveva chiudere la finestra, ma i vetri erano bloccati ai lati..Chiamò ancora Piera ma non ricevette alcuna risposta. Corse alla porta per uscire da quella prigione; con sgomento si rese conto che era chiusa a chiave. Batté i pugni sul legno, invocò Piera di farla uscire. Solo silenzio e il battito del cuore che rombava negli orecchi.
Lei era preda facile per le zanzare; era allergica e si premuniva con spray repellenti ma non quella sera. Si era documentata su questo nemico estivo: l’anidride carbonica le attirava e lei ne stava emettendo in quantità con la sua respirazione affannata. Cercò di controllarsi. Doveva pensare, calmarsi, chiamare ancora Piera. Aveva letto che le zanzare sono attirate dal nero e dal rosso. Perfetto! Il suo vestito nero, le lampade rosse. Cercò l’interruttore le spense, ma c’era ancora luce che entrava dalla finestra spalancata e il suo vestito nero era una calamita.
Il respiro si fece ancora più affannato, ora la paura scuoteva il suo corpo come percorso da scosse, mentre con gesti frenetici continuava a schiacciare le aggressive nemiche, a grattarsi le bolle che si formavano. Le sentiva tra i capelli nelle narici, sugli occhi, Si mise a gridare, ma il silenzio era rotto solo dalle sue grida. Aveva bisogno di un medico subito, una corsa al Pronto Soccorso.
Piera sapeva della sua allergia, sapeva che era vittima designata delle zanzare, sapeva che non avrebbe resistito a un attacco studiato da lei in tutti i particolari. Il cuore era impazzito, lei annaspava in cerca d’aria. Non c’era più stanza, solo zanzare e le parve di sentire in lontananza una risata rauca e gorgogliante, poi il ronzio insistente, continuo, ossessivo, poi niente.

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