Racconto di Sandra Saporito

(Prima pubblicazione – 14 febbraio 2019)

 

Non so se è stato un sogno o un ricordo lontano, forse era semplicemente lo sfogo di un grido represso per generazioni: “È colpa della maledizione di Eva!” mi sentii sussurrare all’orecchio, un sussurro pesante come le zolle di terra buttate su una bara, pesante come il corpo di un uomo ubriaco e violento, pesante come la vergogna delle donne per il loro sangue, per quel sangue che scorre con la luna.

Non ho mai sentito un dolore così viscerale e sordo allo stesso tempo. Nel mio incubo, osservavo la pozzanghera di sangue nel letto che specchiava il corpo di un bimbo senza vita, un altro bimbo che non sarebbe mai cresciuto tra le braccia di quella madre che, ancora provata dal supplizio del parto, urlava di dolore.

Il dolore e la febbre la facevano delirare, urlava che voleva prenderlo sul suo seno e che sarebbe riuscita a svegliarlo, lei era sua madre: ne aveva il potere! Ma le altre donne glielo portarono via. Non poté mai vedere il viso di quel bimbo che aveva portato dentro di sé per tutti questi mesi.

Io ero lì, vicino al letto di quella donna dal volto coperto di sangue e sudore, i suoi capelli disfatti erano sparsi sul cuscino; il suo corpo, piccolo e minuto, era disperso in mezzo alle lenzuola che erano state bianche, una volta.

Una vecchia levatrice stava facendo il giro della stanza, raccogliendo i vecchi stracci bagnati di sangue che giacevano a terra intorno al letto. “Meglio suora che sposa”, mi disse con lo sguardo stanco e rassegnato. Dopo aver raccolto tutti gli stracci in un cesto, lo posò ai piedi del letto e alzò bruscamente il lenzuolo che copriva la nudità della donna ormai svenuta: “Bene, ha smesso di sanguinare. Dovrebbe farcela.”

Io stavo accarezzando i capelli della povera madre, che da lì a qualche giorno, avrebbe dovuto assistere al funerale del suo piccolo. Era il quarto bimbo che aveva perso nell’arco di 5 anni.

Il mio sguardo vagò dagli stracci insanguinati alla macchia sul letto e poi, sentii all’improvviso un dolore nel basso ventre, come se qualcuno mi aprisse in due. Urlai a squarciagola e poi, mi svegliai.

La luce filtrava appena attraverso le tende, era una giornata di sole. Feci per alzarmi quando il mio sguardo si fermò sulle lenzuola bianche e su una pozzanghera di sangue tra le mie gambe.

“La prima Luna…” sussurrai.