Racconto di Myriam Ambrosini

(Prima pubblicazione – 14 maggio 2019)

 

Ieri parlavo con una mia pianta triste e sgualcita, poi mi accorsi che lei, sforzandosi di protendere i suoi rami da quella parte, guardava verso un fiore reciso, ormai scolorito ed a capo reclino, già preda del disfacimento

Anch’io mi misi allora ad osservare il declino di quel fiore e soltanto allora mi accorsi che era della stessa specie che produceva la pianta.

“Quasi un suo figlio” pensai allora.

Non so cosa accadde, ma la pianta – forse con una telepatia a noi ignota – parve leggermi nel pensiero e sentii chiaramente la sua voce affermare.

<Perché strapparlo? Perché violentarlo?

<Ma è soltanto un fiore!> risposi, portando avanti quel dialogo così surreale <La sua funzione è proprio quella di adornare gli ambienti di una casa e rilasciare contemporaneamente il suo profumo.>

<Il suo è un profumo di morte … di annientamento.> obiettò la pianta, facendo oscillare i suoi rami come noi siamo soliti scuotere la testa.

<È infatti già morto quando viene colto … senza più né radici, né contatto alcuno con la pianta madre.>

Sospirò.

Sospirò?

<Seguitate a lasciarli vivere sulla pianta a cui appartengono … quella è la vera autentica bellezza. La sua vita avrà ugualmente termine – anche se in tempi assai più dilatati –, ma la sua sarà una fine naturale e sarà lieto di rilasciare in ultimo un profumo ancora più intenso e duraturo. Sarà …>

E la voce tacque sul mio risveglio da un sonno nel quale non mi ero accorta di scivolare.

Confusa guardai la pianta accanto a me; qualcosa ancora oscillava alla lieve brezza che entrava dalla finestra aperta, ma nel vaso di cristallo il grande fiore rosso era crollato sul suo stelo.